Leggerezza e intensità espressiva del corpo umano nell’Espressionismo di Rita Tripodi

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bagliori

L’essere umano con la sua fragilità esistenziale e il suo bisogno di compiere un percorso di consapevolezza prima di comprendere a fondo la propria essenza, è il fulcro della produzione artistica di alcuni creativi che mettono al centro tutto ciò che va oltre l’oggettività e si sintonizza sul sentire attraverso un approccio empatico di ascolto, verso se stessi e anche verso l’altro. Questo tipo di ricerca espressiva è la base della nuova serie pittorica della protagonista di oggi che mette in primo piano il corpo affidandogli il compito di spiegare ciò che nell’arte visiva non è narrabile attraverso le parole bensì si palesa con un’immagine che, in questo caso, sa rendere perfettamente chiaro il senso di instabilità ribilanciato dall’intensità delle sensazioni.

La ricerca sulla centralità dell’uomo, delle sue angosce, delle ansie e delle instabilità generate da un periodo storico incerto e portatore di conflitti, iniziò nel primo ventennio del Novecento, quando l’arte che voleva ancora restare attaccata all’immagine, pur modificandola e allontanandosi dalla riproduzione perfetta e armonica che aveva contraddistinto i movimenti di fine Ottocento, mise in evidenza tutto quel mondo interiore, quel sentire soggettivo precedentemente escluso ma che apparteneva indissolubilmente all’essere umano. Il Surrealismo si concentrò però sulla dimensione onirica, sul mondo del subconscio, su quegli incubi generati dall’insicurezza, dalle atrocità viste durante la prima guerra mondiale, sui timori di veder crollare il mondo così come conosciuto delineando scenari apocalittici irreali quanto in realtà appartenenti all’inconscio collettivo; l’Espressionismo invece ebbe un approccio più esistenzialista, più orientato a esplorare l’atteggiamento e la reazione dell’individuo a tutto ciò che lo circondava rendendo la sua vita cosciente angosciante e deprimente come il mondo degli incubi, ma sottolineando quanto il malessere interiore fosse visibile anche all’esterno al punto di modificare l’aspetto e l’ambiente circostante. Al di là degli eccessi di Salvador Dalì e di Max Ernst da un lato, e di Edvard Munch e di Ernst Ludwig Kirchner dall’altro, vi furono in entrambi i movimenti dei rappresentanti con uno sguardo più moderato che seppur distanti tra loro dal punto di vista espressivo, convergevano sull’osservazione più esistenziale, più legata al pensiero, alla riflessione, all’introspezione e alla considerazione dei propri bisogni interiori. René Magritte fece virare il Surrealismo verso una dimensione quasi metafisica, dove ogni elemento era un simbolo necessario a sottolineare la presenza di energie esterne all’uomo, Egon Schiele di contro utilizzò il corpo umano, spesso anche il proprio, per narrare le difficoltà di vivere in un periodo post bellico in cui tutto ciò che restava era la consapevolezza di sé, del proprio corpo e dei propri bisogni primari, tra cui l’abbraccio sensuale che aveva una funzione salvifica. Erede di questo tipo di interpretazione dell’Espressionismo, nonché grande esponente della Scuola di Londra, fu Lucian Freud che nei suoi ritratti prediligeva persone sovrappeso, imperfette, spesso contrite, proprio per sottolinearne la sofferenza interiore che si ripercuoteva verso l’esterno, così come la debolezza e l’incapacità di uscire dalla propria gabbia emotiva. Nella contemporaneità grandi esponenti di questa sfaccettatura espressionista sono le britanniche Jenny Saville che concentra la sua analisi prevalentemente sui corpi femminili imperfetti, rappresentando tutta la gamma di sentimenti e di emozioni che appartengono all’essere umano, e Cecily Brown, tendente verso l’Astrattismo delle sue figure, la quale invece si focalizza sulla moltitudine, sulla spersonalizzazione del singolo che però ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo per affermare e realizzare la propria identità. L’artista Rita Tripodi si avvicina all’intensità narrativa di Egon Schiele, di Lucien Freud e di Cecily Brown, anche se in lei l’Espressionismo è più armonico, meno deformante perché è al contesto che affida la voce interpretativa, come se i suoi corpi fossero emanatori di quell’energia che poi si diffonde intorno e ne diviene propulsore; dunque l’osservatore è attratto dalla perfezione delle figure rappresentate ma poi si apre a quel mondo percettivo stimolato dagli sfondi che enfatizzano il sentire dei personaggi e la loro inconsapevole spontaneità.

movimenti di energia
1 Movimenti di energia – olio su tela, 50x70cm

Il tratto grafico, fortemente presente, passa da una maggiore stilizzazione quando l’artista desidera mettere in evidenza la leggerezza dell’essere, quel momento di pausa dall’urgenza della contingenza durante la quale è possibile astrarsi da tutto ciò che ingabbia l’essenza, a un più evidente Realismo quando invece le sensazioni sembrano fuoriuscire in modo talmente spontaneo da apparire inconsapevoli, e dunque è ciò che è intorno al soggetto a rarefarsi mettendo in evidenza la purezza espressiva dell’individuo quando si lascia sorprendere dalle piccole bellezze piacevoli della vita.

sublime il passo di afrodine
2 Sublime il passo di Afrodite – olio su tela, 80x100cm

L’esistenza, sembra suggerire Rita Tripodi, è costituita dall’alternanza del bello e del brutto, del positivo e del negativo, dell’oppressione per il susseguirsi di alcuni eventi e della leggerezza nel buttarsi tutto alle spalle per rinascere e ricominciare; ecco dunque spiegato il motivo per il quale alcune opere nella scena circostante i soggetti presentano colori scuri, quasi tempestosi, proprio per evidenziare quanto, malgrado le difficoltà della vita, si possa mantenere un atteggiamento positivo e resiliente grazie al quale resistere e rialzarsi. I corpi femminili spesso nudi sono dunque metafora della Fenice, del suo tendere verso l’alto inteso come nuova vita, ed è questa la sensazione che si riceve osservando le tele di Rita Tripodi, quella necessità interiore di ascendere, di evolvere dal vecchio sé per raggiungere nuovi livelli di equilibrio interiore e di stabilità emozionale.

stato di leggerezza
3 Stato di leggerezza – olio su tela, 50x60cm

L’opera Stato di leggerezza esprime ed esalta in pieno questo concetto, perché il corpo stilizzato della donna sembra essere avvolto da un’aura magica che lo sospinge verso l’alto, lo distacca dal buio del lato sinistro della tela e lo fa protendere verso la luce del lato destro, quasi come se il percorso effettuato in precedenza le avesse permesso di spogliarsi, ecco il motivo della nudità, dalle convinzioni e dai limiti che avevano costituito la base delle sue sicurezze permettendole di prendere atto di altre opzioni, di inedite possibilità e nuovi punti di vista grazie a cui osservare tutto da una visuale diversa. Il corpo nudo dunque non è più manifestazione di fragilità, di debolezza e di sofferenza interiore come nel caso di Schiele e di Freud, bensì diventa manifestazione di forza generata dalla ritrovata leggerezza della coscienza.

io danzo da sola
4 Io danzo da sola – olio su tela, 60x100cm

In Io danzo da sola, la figura è talmente semplificata da indurre l’osservatore a concentrarsi solo sulla sostanza del movimento, su quel sollevare la testa della protagonista che spiega a se stessa, in un dialogo profondamente introspettivo, che è solo non appoggiandosi a nessun altro che potrà rafforzarsi e imparare a stare in piedi autonomamente fino al giorno in cui sarà in grado di scegliere il suo ballerino, quello altrettanto forte ed equilibrato da divenire un compagno di viaggio e non più un traino o un sostegno. Lo sfondo beige, che evoca appunto la leggerezza con cui Rita Tripodi esalta l’essenzialità della figura femminile, sembra invitare la donna a lasciarsi andare a quel percorso necessario.

l'abbraccio
5 L’abbraccio – acrilico su tela, 70x80cm

In L’abbraccio infatti, quasi come se questa tela fosse la conseguenza logica della precedente, l’artista evidenzia l’importanza del dualismo, dell’abbraccio d’amore più intenso e forte in grado di confortare, di lasciar fuoriuscire tutto ciò che molto spesso le parole non riescono a spiegare; qui il tratto grafico si fa più realista, perché la presenza del sentimento è predominante su tutto il resto dell’opera, non c’è prevalenza dell’uno sull’altro, dell’uomo sulla donna o viceversa, c’è solo l’intensità di un’emozione condivisa e in grado di fermare il tempo. Le spatolate di colore dello sfondo che passano dal rosso alla scala di grigi, sembrano sottolineare la differenza della natura dell’uomo e della donna, i quali però hanno bisogno l’uno dell’altra come nel Tao cinese, dove lo Yin, con la sua forma definita e matura, non può essere completo senza lo Yang.

velocità di fuga
6 Velocità di fuga – acrilico e fondo affresco su tela, 97x140cm

Ma Rita Tripodi a volte abbandona completamente la rappresentazione dell’osservato, come nella tela Velocità di fuga, per lasciare spazio a un Espressionismo Astratto che sta a sottolineare la temporaneità del disorientamento, dello sguardo negativo verso gli accadimenti e della necessità di allontanarsi dalla cupezza, ecco perché il titolo allude a una fuga che osservando l’immagine sembra essere impossibile; eppure il bianco striato nella parte superiore destra dell’opera mostra un cammino diverso, l’opportunità di risalire velocemente dal buio per ricominciare a vivere di luce.

la fine di un emozione
7 La fine di un’emozione – acrilico su tela, 45x55cm

Rita Tripodi, laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria e Docente di Arte e Immagine a Trieste, città dove vive e lavora, ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive e fiere internazionali su in Italia e all’estero – Barcellona, Londra, Amsterdam, Koping (Svezia), Bruges (Belgio), Seul, New York, San Pietroburgo, Zurigo, Miami – e cinque importanti mostre personali sia in Svizzera che in Italia.

RITA TRIPODI-CONTATTI

Email: artrip03@gmail.com

Sito web: www.ritatripodi.com/biografia/

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Lightness and expressive intensity of the human body in Rita Tripodi’s Expressionism

The human being with his existential fragility and his need to undertake a path of awareness before fully understanding his own essence, is the focus of the artistic production of some creatives who put at the centre everything that goes beyond objectivity and tune into feeling through an empathic approach of listening, towards oneself and also towards the other. This type of expressive research is the basis of the new pictorial series of today’s protagonist, which places the body in the foreground, entrusting it with the task of explaining what in visual art cannot be narrated through words, but rather is manifested through an image that, in this case, is able to make perfectly clear the sense of instability rebalanced by the intensity of sensations.

Research into the centrality of man, his anxieties, anguishes and instabilities generated by an uncertain and conflict-ridden historical period, began in the first two decades of the 20th century, when art, which still wanted to remain attached to the image, albeit modifying it and moving away from the perfect and harmonious reproduction that had characterised the movements of the late 19th century, brought out all that inner world, that subjective feeling previously excluded but which belonged inextricably to the human being. Surrealism, however, focused on the oneiric dimension, on the world of the subconscious, on those nightmares generated by insecurity, by the atrocities seen during the First World War, on the fears of seeing the world as we know it collapse, outlining apocalyptic scenarios as unreal as they actually belong to the collective unconscious; Expressionism, on the other hand, had a more existentialist approach, more oriented towards exploring the individual’s attitude and reaction to everything around him, making his conscious life as distressing and depressing as the world of nightmares, but emphasising how much the inner malaise was also visible on the outside to the point of changing the appearance and surroundings. Beyond the excesses of Salvador Dali and Max Ernst on the one side, and Edvard Munch and Ernst Ludwig Kirchner on the other, there were in both movements representatives with a more moderate outlook who, although distant from each other in terms of expression, converged on the more existential observation, more related to thought, reflection, introspection and consideration of one’s own inner needs.

René Magritte made Surrealism veer towards an almost metaphysical dimension, where every element was a symbol necessary to underline the presence of energies external to man. Egon Schiele, on the other hand, used the human body, often even his own, to narrate the difficulties of living in a post-war period in which all that remained was self-awareness, of one’s own body and one’s primary needs, including the sensual embrace that had a saving function. Heir to this kind of interpretation of Expressionism, as well as a great exponent of the London School, was Lucian Freud, who favoured overweight, imperfect, often contrite people in his portraits, precisely to emphasise their inner suffering that was reflected outwards, as well as their weakness and inability to break out of their emotional cage. In contemporary times, the great exponents of this expressionist facet are the British artist Jenny Saville, who concentrates her analysis mainly on imperfect female bodies, representing the whole range of feelings and emotions that belong to the human being, and Cecily Brown, who tends towards Abstractionism in her figures, and who instead focuses on the multitude, on the depersonalisation of the individual who nevertheless needs to feel part of a group in order to affirm and realise his own identity. The artist Rita Tripodi comes close to the narrative intensity of Egon Schiele, Lucien Freud and Jenny Saville, although in her, Expressionism is more harmonious, less deforming because it is to the context that she entrusts the interpretative voice, as if her bodies were emanators of that energy that then spreads around and becomes a propeller; thus the observer is attracted by the perfection of the figures represented but then opens up to that perceptive world stimulated by the backgrounds that emphasise the feeling of the characters and their unconscious spontaneity.

The graphic trait, strongly present, passes from a greater stylisation when the artist wishes to highlight the lightness of being, that moment of pause from the urgency of contingency during which it is possible to abstract oneself from everything that cages the essence, to a more evident Realism when instead the sensations seem to escape in such a spontaneous way as to appear unconscious, and therefore it is what is around the subject that is rarefied, highlighting the expressive purity of the individual when he lets himself be surprised by the small pleasant beauties of life. Existence, Rita Tripodi seems to suggest, is made up of the alternation of the beautiful and the ugly, of the positive and the negative, of the oppression caused by the succession of certain events and the lightness of putting everything behind in order to be reborn and start again; hence the reason why some artworks in the scene surrounding the subjects present dark, almost stormy colours, precisely to highlight how, despite life’s difficulties, one can maintain a positive and resilient attitude thanks to which one can resist and rise again. The often nude female bodies are therefore a metaphor for the Phoenix, of her striving upwards, understood as new life, and this is the sensation one receives when observing Rita Tripodi‘s canvases, that inner need to ascend, to evolve from the old self to reach new levels of inner balance and emotional stability. The painting Stato di leggerezza (State of Lightness) fully expresses and exalts this concept, because the stylised body of the woman seems to be enveloped by a magical aura that pushes it upwards, detaches it from the darkness of the left side of the canvas and makes it lean towards the light of the right side, almost as if the path taken previously had allowed to strip herself, this is the reason for her nudity, of the convictions and limitations that had formed the basis of her security, allowing her to take note of other options, of new possibilities and new points of view through which to observe everything from a different point of view.

The naked body is therefore no longer a manifestation of fragility, weakness and inner suffering as in the case of Schiele and Freud, but becomes a manifestation of strength generated by the rediscovered lightness of consciousness. In Io danzo da sola (I dance alone), the figure is so simplified as to induce the observer to focus only on the substance of the movement, on that lifting of the protagonist’s head as she explains to herself, in a profoundly introspective dialogue, that it is only by not leaning on anyone else that she will be able to strengthen herself and learn to stand on her own two feet until the day she is able to choose her dancer, the one who is just as strong and balanced as to become a travelling companion and no longer a tow or support. The beige background, evoking precisely the lightness with which Rita Tripodi enhances the essentiality of the female figure, seems to invite her to let go of that necessary path. In L’abbraccio (The Embrace) in fact, almost as if this canvas were the logical consequence of the previous one, the artist highlights the importance of dualism, of the most intense and strongest love embrace capable of comforting, of letting go of everything that words very often fail to explain; here the graphic line becomes more realistic, because the presence of feeling is predominant over everything else in the work, there is no prevalence of one over the other, of man over woman or vice versa, there is only the intensity of a shared emotion capable of stopping time.

The splashes of colour in the background, changing from red to greyscale, seem to emphasise the difference in the nature of man and woman, who need each other as in the Chinese Tao, where Yin, with its defined and mature form, cannot be complete without Yang. But Rita Tripodi sometimes completely abandons the representation of the observed, as in the painting Velocità di fuga (Speed of Escape), to leave room for an Abstract Expressionism that emphasises the temporariness of disorientation, of the negative gaze towards events and the need to move away from gloom, which is why the title alludes to an escape that, observing the image, seems to be impossible; yet the white streaked upper right-hand side of the artwork shows a different path, the opportunity to quickly rise from darkness to start living in light again. Rita Tripodi, a graduate from the Academy of Fine Arts in Reggio Calabria and lecturer in Art and Image in Trieste, the city where she lives and works, has to her credit participation in group exhibitions and international fairs in Italy and abroad – Barcelona, London, Amsterdam, Koping (Sweden), Bruges (Belgium), Seoul, New York, St. Petersburg, Zurich, Miami – and five major solo exhibitions in Switzerland and Italy.