“E’ stata una sfida difficile, dal punto di vista tecnico ma soprattutto emotivo – ha spiegato all’Ansa il regista Giorgio Verdelli – E’ stato fatto un lavoro da detective per scovare le centinaia di tracce lasciate da Bosso, un artista che ha fatto cose diverse, in situazioni anche fisicamente diverse, prima e durante la malattia, un artista che ha vissuto tante vite e tutte sempre in un’unica direzione: la musica”.
‘Ezio Bosso. Le cose che restano’, 104 minuti in cui l’arte di questo musicista, scomparso il 14 maggio 2020 a 48 anni per l’aggravarsi della malattia neurodegenerativa da cui era affetto dal 2011, si ascolta nella sua completezza. Ci sono gli inizi, il contrabbasso, il jazz, il teatro, poi il pianoforte adorato e le orchestre dirette, inclusa poi la fase popolare, quella in cui tutti hanno conosciuto Bosso, legata alla partecipazione nel 2016 al Festival di Sanremo, con la sua lezione di musica e vita indimenticabile.
Un film motivazionale? “Senza dubbio. E’ proprio questa – ha sottolineato Verdelli – la potenza del documentario. In ogni cosa che abbiamo scovato, documentato, c’è sempre questo messaggio: la musica soprattutto, nonostante tutto, la perseveranza, la tenacia, il talento esercitato ad ogni costo. Spero sia di riferimento per i giovani, quelli che vogliono lavorare nella musica ma in generale per tutti”.
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