Musica

“False Ipotesi” è il nuovo singolo di International Washing Machines

“False ipotesi è un brano che cerca di instaurare una connessione tra l’astratto e il concreto, tra il dettaglio e il generale, tra il razionale e il sentimentale”

Venerdì 17 settembre è uscito False Ipotesi, il nuovo singolo del progetto musicale solista di Matteo Scansani, International Washing Machines. False Ipotesi è un brano dove si intrecciano sintetizzatori, chitarre, batteria e basso, il tutto è accompagnato da una musica rilassante, onirica, ricercata. Benvenuti in un mondo fuori dagli schemi, dalle mode, dalle dinamiche delle playlist e delle condivisioni. Questo progetto, sfacciato e sincero, è la follia emotiva di chi non ha ancora smesso di sognare nella propria cameretta.

Matteo Scansani ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“False Ipotesi” è il tuo nuovo singolo, di che cosa si tratta?

“False ipotesi” è un brano che cerca di coinvolgere l’ascoltatore interamente, creando un’atmosfera quasi onirica. Il lavoro svolto si basa sul mischiare chitarre e sintetizzatori, senza far prevalere l’uno o l’altro, per dare così importanza anche al testo, che potrebbe sembrare non-sense, ma che mira a descrivere situazioni che sono metafore di sensazioni, come se venissero rese concrete, trasformate in qualcosa di tangibile.

Cosa vuoi trasmettere con questo brano?

Beh, sicuramente vorrei stimolare il pensiero astratto e forse nascosto di ogni ascoltatore. Vorrei far porre domande, cosa che spesso risulta scomodo soprattutto per chi vuole far finta che certe cose non esistano. La cosa che principalmente vorrei trasmettere è il senso di abbandono e perdizione, di viaggio senza meta, un continuo essere colpiti da immagini che hanno bisogno di tempo per essere metabolizzate e capite. Vorrei che chi ascolta il brano si fermasse un attimo a pensare, si prenda 3 minuti per se stesso, si lasci andare. Abbiamo bisogno di pause in questo mondo troppo frenetico, troppo esigente.

Che tipo di accoglienza ti aspetti?

A questa domanda sinceramente non so rispondere. Non lo so, tendo sempre a non aspettarmi nulla, così da non rimanere deluso se qualcosa non andasse come pensavo/volevo andasse. Credo sia forse più un metodo di autodifesa, direi proprio che sia così. La speranza è che venga capito. Più che capito, vorrei che gli venisse dedicato il tempo che serve per comprendere un brano musicale, che non venisse preso come l’ennesimo prodotto di una persona che fa musica tanto per (non c’è definizione che mi dia più fastidio), che non venisse giudicato prima ancora di ascoltarlo, che venisse preso “sul serio”.

Come nasce il tuo progetto musicale?

International Washing Machines nasce da un bisogno. Ho sempre avuto molte cose nella testa che non sapevo né comprendere né tradurre, non avevo uno sfogo, e avevo bisogno di qualcosa che mi mettesse ordine all’interno. Ho capito che la cosa che potesse darmi ordine fosse la musica quando mi resi conto che ascoltandola o suonando trovavo un momento in cui tutto aveva un senso, in cui tutto riusciva a non essere più confuso, in cui la nebulosa che avevo in testa prendeva una forma definita. Naturalmente non riuscivo a trovare un brano o un artista che mi rispecchiasse al cento per cento, interamente, per il semplice fatto che, essendo tutti diversi, non era possibile che una persona diversa da me riuscisse ad esprimere esattamente e solo quello che io provavo nel dettaglio, minuziosamente. Così ho deciso di iniziare a farlo io, di iniziare a descrivere le mie sensazioni, i moti della società, il mondo, attraverso i miei occhi e le mie parole, mosso anche dalla speranza che qualcuno ci si possa in parte rivedere e non sentirmi solo. Inoltre volevo anche trovare qualcosa di innovativo, che si distaccasse dall’omologazione da canzoni da radio che il nostro paese vive. Così nasce il mio progetto, International Washing Machines. Un tentativo di andare fuori dagli schemi, con metodi non consoni alla maggior parte dei musicisti, ma che a me, in fondo, vanno bene. Un tentativo di contrastare il menefreghismo, la superficialità, il grigiume figli della società in cui viviamo. La rivolta parte da se stessi, per essere poi condivisa.

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Pubblicato da
Francesco Rapino
Argomenti: Intervistesingolo

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