Nel sopraggiungere delle prime tecniche fotografiche l’arte ha sentito l’esigenza di doversi difendere, di dover prendere le distanze dalla riproduzione fedele della realtà per dar vita a un linguaggio inedito e nuovo che non poteva in alcun modo essere rappresentato da quella fotografia in grado di testimoniare tutto ciò che era davanti agli occhi. Da quei tempi però le nuove tecnologie hanno compiuto passi da gigante fino a trasformare i limiti e congiungere due approcci completamente differenti che però sono riusciti a trovare un punto di incontro. Il giovane protagonista di oggi si è posto l’ambizioso obiettivo di usare la macchina fotografica come un pennello in grado di esprimere emozioni e sensazioni.
Martin Luisi, austriaco nato e cresciuto a Vienna, comincia il suo percorso nell’arte nel modo più classico, come pittore, incoraggiato dal padre a cui era molto legato; l’approccio verso l’astratto era un’inclinazione naturale che gli rendeva impossibile il non assecondarla. Le sue emozioni, i moti interiori trovavano uno sfogo più istintivo avvicinandosi a quell’Espressionismo Astratto che tanta libertà ha portato nell’arte del Novecento, riuscendo a imporsi in un mondo accademico ancora rigido e non predisposto ad accogliere linguaggi nuovi se non rientranti all’interno di schemi e di definizioni già esistenti. Il coraggio di Jackson Pollock e della Scuola di New York di opporsi al sistema e di indignarsi per l’esclusione del loro movimento dal progetto del Metropolitan Museum of Art di una mostra sulla pittura contemporanea statunitense, ha costituito un importante passo in avanti verso l’accettazione dell’innovazione di cui si erano fatti portatori. La necessità di approdare al linguaggio astratto era emerso agli inizi del Novecento per creare quella spaccatura, quella distanza volta a sottolineare la superiorità della manifestazione artistica e dell’atto creativo dalle immagini riprodotte fedelmente dalle macchine fotografiche che tuttavia non riuscivano a trasmettere l’intenzione, l’anima che fuoriusciva da un’opera d’arte. Ma il bisogno di dare vita a qualcosa che, sulla base delle conoscenze dell’epoca, non sarebbe mai stato raggiunto dalla innovativa tecnica di riproduzione delle immagini indusse un enorme gruppo di artisti a distaccarsi dalla figurazione per lasciar prevalere l’incontro tra colori, forme indefinite che erano in grado di avvolgere e affascinare l’osservatore inducendolo a studiarne e comprenderne il senso.
Mai sarebbe stato possibile prevedere, a quel tempo, quando velocemente il progresso avrebbe permesso anche alla fotografia e alla successiva tecnologia di evolversi a tal punto da riuscire a costituire un nuovo e inedito modo di fare arte, attraverso la digitalizzazione delle immagini ma anche di inediti approcci creativi che riescono a permettere agli artisti di manipolare gli scatti fino a plasmare il risultato come molti fanno invece con colori e pennelli.
Martin Luisi sceglie di avvicinarsi alla tecnica che è divenuta suo segno distintivo nella fase attuale, al termine di un percorso, dunque non come punto di partenza, dando così vita a una splendida sintesi tra manipolazione tecnologica e istinto artistico di trasmettere, o per meglio dire immortalare, l’emozione indefinita del momento. Le sue opere fluide sembrano sul punto di dissolversi, come se quel frangente, quella sensazione di un istante fosse in procinto di cambiare e modificarsi secondo la legge eraclitea del “tutto scorre, tutto si trasforma”, impedendo alla realtà di restare uguale a se stessa; non solo, gli spostamenti, le trasformazioni rappresentano per Martin Luisi un percorso indispensabile, fondamentale per conoscersi più a fondo ma anche per confrontarsi con l’esterno, quell’altro da noi che ci induce ad aprirci a un modo differente di guardare la realtà.
Opere come Seelenübergang (Transizione dell’anima) e Schwimmende Dorade (Orata galleggiante) rappresentano l’esigenza dell’artista di interrogarsi sulla necessità di accettare il cambiamento come parte fondamentale del percorso di crescita, ma al tempo stesso anche la presa d’atto che le circostanze possono condurre verso situazioni inimmaginate fino a poco prima, rappresentate da quel galleggiare nel mare della vita, che permettono di raggiungere consapevolezze a cui, senza quegli specifici lenti o repentini spostamenti, non si potrebbe mai arrivare.
Eppure l’esigenza di celare l’essenza dietro veli, maschere, sipari, sembra essere una costante delle opere di Luisi, una cognizione che spesso pur avendo conosciuto ed essere entrati in contatto con la propria vera natura, la tendenza autoconservativa a volersi proteggere prevale sull’istinto di mostrarsi, o forse invece è il timore di non conoscersi abbastanza a fondo accettando i punti di forza come quelli di debolezza, a indurre l’uomo contemporaneo a nascondersi per non permettere alle profondità di affiorare alla superficie, alla vista di tutti.
In merito alla particolare tecnica di Martin Luisi non si tratta di una manipolazione tecnologica dell’immagine bensì di scatti reali di fluidi in movimento che l’artista crea e prepara per ottenere il risultato che il suo impulso creativo gli suggerisce, dunque il suo è un autentico gesto pittorico che però immortala attraverso uno scatto fotografico, coniugando alla perfezione due mondi, due diverse maniere di intendere l’espressività che non necessariamente devono restare separati. Martin Luisi ha all’attivo numerose mostre collettive in Austria e in Germania, è membro della IG Bildenden Kunst e dell’Associazione Professionale degli Artisti Visivi e gli è stata riconosciuta la Carta d’Artista Internazionale. Nel 2019 ha esposto in una collettiva a Miami dove ha avuto consensi di pubblico e di collezionisti.
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