La scena di Verona ha un suono rock? Sapete che non lo immaginavo così rock…?
Verona ha sempre avuto una scena rock. La “golden age” sicuramente sono stati gli anni ’90: c’erano diversi club che richiamavano artisti nazionali e internazionali e poi tutta una scena locale che spaziava dal blues al rock, passando dal punk e al jazz. Penso che la scena di una città, di un paese, vada di pari passo con l’esistenza o meno di locali che propongono musica live. In questo momento Verona sta vivendo un momento di passaggio e dopo alcuni anni più statici adesso c’è del fermento in giro. Ci sono festival rock importanti e club con una programmazione interessante. I gruppi non mancano (come non sono mai mancati), sta al pubblico scoprirli e ai gestori dei locali dar loro la possibilità di esibirsi.
È un disco che mi richiama gli anni ’90 (almeno) e un certo glam rock di star internazionali. È anche un modo di vivere per voi?
Be sì le nostre radici affondano proprio in quegli anni. Negli anni ’90 abbiamo iniziato a suonare dal vivo e il rock era il genere che andava per la maggiore. Ascoltavamo di tutto e senz’altro in quel periodo eravamo anche affascinati dallo stile e dall’estetica di certe band e nel glam rock che tu hai citato questo era piuttosto evidente. Il rock è uno stile di vita e se ti entra dentro è difficile che ti abbandoni. Ovviamente certe dinamiche sono cambiate rispetto a quegli anni, ma se alla radio sento partire l’arpeggio di chitarra di “Don’t cry” dei Guns mi scende ancora una lacrima…
L’estetica e il vestire: curate anche questo?
Diciamo che non è l’aspetto che curiamo con più meticolosità, ma avendo avuto, appunto, una formazione hard rock ’80 – ’90 è impossibile non prestare attenzione allo stile. Noi lo intendiamo in maniera più concettuale forse e nelle date di supporto al nostro album “Frequencies from nowhere” abbiamo cercato di riprendere il colore della copertina ovvero il fucsia in alcuni dettagli. Andrea (voce) per esempio indossa un cappello di quel colore, o magari possiamo portare dei braccialetti fucsia, delle bandana, ecc…
Ci piace anche curare l’immagine della band a livello grafico e visivo. Tutto quello che concerne logo, artwork, booklet lo abbiamo seguito direttamente noi ed è un processo creativo che amiamo molto.
Parlando di suono che tipo di ricerca avete fatto? Quali radici avete voluto ripercorrere?
Il nostro è un hard rock che affonda negli anni 80 e 90 questo è chiaro, ma ci piace colorarlo con elementi più moderni o soluzioni personali. I gruppi che ci hanno influenzato sono davvero tanti e sarebbe difficile fare un elenco; poi gli stArt sono formati da 6 musicisti e ognuno di noi ha i propri gusti e ha fatto i propri ascolti. Per guanto mi riguarda Europe, Toto, Pink Floyd sono gruppi che ho ascoltato tanto e senz’altro qualche loro influenza nel nostro disco si può sentire. Dal punto di vista compositivo ci piace la melodia, ma sempre sostenuta da una ritmica possente. I due chitarristi (Jonathan Gasparini e Giorgio Velotti) rendono il nostro sound solido e graffiante mentre le tastiere hanno il compito di tenere tutto unito.
Abbiamo lavorato molto in studio (Le Pareti Sconnesse) durante la fase di produzione con il fonico Pasquale Ronzo cercando di sviluppare e definire il nostro suono e, anche se avevamo le idee abbastanza chiare, ogni singolo arrangiamento o suono veniva provato più volte. Mi ricordo un episodio in particolare legato alle registrazioni della batteria. Dopo vari tentativi con diversi macchinari per equalizzare al meglio il rullante, il fonico non era soddisfatto del suono e ci ripeteva quanto le frequenze del rullante fossero determinanti per il sound finale. Così, a fine giornata, Pit (Pietro Micheletti) dopo aver provato diversi rullanti ha ri-registrato in un’unica take i brani che aveva suonato quel giorno. Nei giorni successivi ha sempre usato quello strumento e credo che la produzione della batteria sia uno dei punti di forza del disco.
Esiste anche una dimensione di ricerca personale?
La dimensione di ricerca personale è rappresentata nei testi di Andrea (Andrea Vettore, voce). Tutto il concept dell’album prende spunto dalle sue esperienze personali che ha racchiuso al meglio nei singoli testi. La sua è stata senz’altro una ricerca introspettiva che è riuscito a raccontare nelle canzoni e sono convinto che l’ascoltatore si possa immedesimare in questo viaggio proprio perché i temi toccati da Andrea sono universali: la solitudine, la meraviglia, l’abbandono e la rinascita sono fasi della vita che riguardano un po’ tutti. Utilizzando sia la lingua inglese che italiana c’è stata anche una ricerca stilistica che inizialmente ha rappresentato la nostra scommessa, ma a disco finito ha soddisfatto tutti, fonico compreso!! ; )
IL DISCO SU SPOTIFY: https://open.spotify.com/intl-it/album/5BQdQuyHIGOHKeaTa2INRK?si=RujwwFmgR2mksWTljhkplw
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