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Giancarlo Fantini, tra ricordi di attimi e ritmi delle stagioni

L’arte figurativa spesso ci conduce all’interno delle nostre sensazioni più intime, quelle racchiuse nella memoria emotiva legata a luoghi che le hanno evocate la prima volta, e che ripercorrendole non possono fare a meno di riportarci in quegli stessi posti. L’artista di oggi riesce, attraverso la sua evidente sensibilità, a ricreare quella magia nelle sue opere.

Raccontare un’emozione non è impresa semplice, soprattutto se la strada artistica che si percorre è quella paesaggistica, perché dipingere la natura è forse alla base di quasi tutti gli inizi pittorici; la differenza però emerge quando dall’opera che si sta osservando sembra fuoriuscire una voce, una storia narrata che permette allo sguardo di seguire il filo del ricordo, della memoria che è scritto in maniera chiara davanti a sé. Giancarlo Fantini non descrive la natura, lui racconta frammenti di vita che possono essere i suoi come quelli di chiunque altro si sia emozionato davanti a un tramonto, alle foglie autunnali, alla spiaggia deserta, e lo fa in modo lieve, con una sensibilità fuori dal comune ponendo l’accento sulla connessione tra l’essere umano, solo nella sua interiorità, nel suo pensare, e la natura che lo avvolge e lo circonda come se volesse accompagnare il ritmo di quei pensieri morbidi, di quegli attimi indimenticabili che saranno per sempre impressi nelle pieghe della sua anima. Allo stesso modo le stagioni sottolineano questo forte legame, questa correlazione tra momento meditativo e attimo invece più gioviale, più luminoso; predilige l’autunno, la notte, la solitudine della spiaggia dopo che i bagnanti se ne sono andati, le foglie sull’acqua. Sembra un inno alla serenità il suo impulso creativo, magari chissà, faticosamente raggiunta dopo le vicissitudini della vita, giungendo a quella fase di equilibrio in cui il ritmo lento, la riflessione e la calma sono prioritari rispetto alle rapide e ai vortici affrontati in altri momenti, in tempi passati in virtù dei quali comprendere e apprezzare maggiormente un senso nuovo, quello della rilassatezza e del raccoglimento, nello sguardo verso se stessi.

Opere come La pausa ai bagni Vittoria non possono non riportare alla mente le lunghe estati dove tutto era possibile, dove tutto sembrava poter cambiare per sempre per tornare poi, dopo che gli ombrelloni venivano chiusi e la stagione volgeva al termine, a essere di nuovo uguale a prima ma rinnovato di un nuovo bagaglio di sapori, odori e ricordi indelebili.

O come Rosso di sera, dove le tonalità rosate del cielo al tramonto sembrano voler accompagnare la mente a non dimenticare tutto ciò che è accaduto prima, davanti a quel lago, tutto ciò che ha condotto un lungo e caldo giorno verso la sua naturale fine che cederà a breve il passo alla notte. L’osservatore si sente dentro le opere proprio grazie alla capacità di Fantini di collocarlo, collocando se stesso, all’esterno della scena, come se aprisse delle finestre mostrando e indicando al pubblico la veduta di fronte, viva e intensa perché guardata da protagonista e al tempo stesso da regista, come se facendo un passo o allungando una mano si potessero toccare le foglie, bagnarsi con le onde, o cogliere i fiori delicati e colorati dell’opera In fondo al giardino.

Forse è per questo che preferisce non introdurre figure umane perché l’umano è colui che guarda, metafora del mondo moderno in cui spesso ci si ritrova ad aver bisogno di una guida, di un sollecito invito a soffermarsi e apprezzare ciò che si ha davanti e che spesso sfugge nella velocità della vita quotidiana, lasciando l’uomo a volte indifferente davanti alla bellezza, quella più genuina e naturale, ben diversa da quella effimera dell’esteriorità apparente che è diventato un imperativo esistenziale.

La natura diventa scenario e palcoscenico senza attori, dove chiunque può scrivervi dentro la propria commedia, la propria storia, i propri ricordi, quelli suscitati da Un filo di luna, in quelle fasi in cui si è sollevato lo sguardo e si è interrogato l’astro per avere risposte a domande a cui non si riusciva a dare un senso, per ricevere soluzioni a vicissitudini di cui non si riusciva a trovare il bandolo nella vita terrena.

E ancora, Mi inebrio d’autunno, ricordo di vendemmie, di acini rubati durante una gita in campagna, di corse lungo le strade sterrate con il golfino sulle spalle perché l’aria fresca della nuova stagione arrivava a spazzare via i colpi di coda dell’estate appena conclusa.

L’unica opera in cui pone l’uomo al centro della scena è Io e il mare, ma lo raffigura di spalle, nascosto per lo più dalla spalliera della sedia e quasi in trasparenza, come se non fosse importante se non nel contesto delle emozioni, come se quell’uomo potesse essere l’Uno, nessuno e centomila di pirandelliana memoria, come se potesse essere lì o in qualunque altra parte del mondo. Sperimenta e utilizza materiali corposi, come sabbie, terre e segature che gli sono necessari per rendere al meglio le superfici e le profondità dei suoi emozionanti lavori.

Dipinge da sempre Giancarlo Fantini, ma è solo dal 1994 in avanti che mette l’arte al centro della sua vita, iniziando a esporre le sue opere in molte mostre personali e collettive in Italia e in Europa. Nel 2003 fonda l’associazione ArteAdAronA, di cui è presidente; Ex docente di Botanica ed Ecologia ha messo la natura al centro del suo percorso artistico e del suo impegno quotidiano verso l’eco-sostenibilità degli ambienti.

GIANCARLO FANTINI-CONTATTI
Email: giancarlo_fantini@alice.it
Sito web: https://www.giancarlofantini.net/
Facebook: https://www.facebook.com/giancarlo.fantini

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Pubblicato da
Marta Lock

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