I tre saggi, scritti tra il 2003 e il 2020 insieme a colleghi e collaboratori da Daniel Kahneman, analizzano i bias cognitivi che molto spesso portano le aziende a prendere decisioni che si rivelano erronee: mettendo in discussione intuizioni e comportamenti, Kahneman evidenzia gli errori cognitivi che influenzano le scelte in azienda e invita a riflettere sulla complessità del processo decisionale e su come l’illusione di controllo e la paura del rischio possano condizionarci.
Nel primo, intitolato “Deliri di successo: come l’ottimismo mina le decisioni dei dirigenti”, il punto di partenza è la considerazione che la maggior parte delle grandi iniziative imprenditoriali – fusioni e acquisizioni, investimenti di capitale, ingressi nel mercato – non riesca mai a dare i frutti sperati. Da un lato, gli economisti sostengono che il basso tasso di successo riflette una valutazione razionale del rischio, con i ritorni di pochi successi che superano le perdite di molti fallimenti. Kahneman, esperto dell’analisi del processo decisionale, propone invece una lettura ben differente: la combinazione di pregiudizi cognitivi (tra cui l’ancoraggio – una sopravvalutazione positiva di ciò a cui si sta lavorando – e la sottovalutazione dei concorrenti) e di pressioni organizzative inducono i manager a formulare previsioni eccessivamente ottimistiche nell’analisi delle proposte di grandi investimenti. La classe dirigente aziendale esagera i probabili benefici di un progetto e ignora le potenziali insidie: in questo modo, si induce l’organizzazione a intraprendere iniziative che sono destinate a rimanere ben al di sotto delle aspettative. Kahneman ben sa che non si può sfuggire ai pregiudizi e alle pressioni, ma chiarisce che è possibile mitigarli, applicando un metodo di previsione molto diverso, che prenda in considerazione una “visione esterna”, più obiettiva del probabile risultato di un’iniziativa. Questa “outside view”, nota anche come “previsione della classe di riferimento”, ignora completamente i dettagli del progetto in questione e incoraggia, invece, i manager a esaminare le esperienze di una classe di progetti simili, e quindi a posizionare il progetto corrente in questa distribuzione. “L’outside view” ha più probabilità di quella “interna” di produrre previsioni accurate e molto meno di fornire previsioni altamente irrealistiche.
In “Prima di prendere quella importante decisione”, viene analizzato il momento in cui il dirigente fa, appunto, una grande scommessa, affidandosi al giudizio di un team designato che ha avanzato una linea strategica. Il gruppo dedicato avrà analizzato i pro e i contro molto più a fondo di quanto il dirigente abbia il tempo di fare. Ma il rischio molto alto, in questa circostanza, è che i pregiudizi si insinuino invariabilmente nei ragionamenti del team e spesso li distorcano pericolosamente.
Nel saggio “La vostra azienda è troppo avversa al rischio”, Kahneman racconta come funziona l’avversione alle perdite, un atteggiamento usuale nei manager delle grandi aziende, riluttanti a proporre e a supportare progetti rischiosi. In teoria, le aziende creano valore per gli stakeholder facendo investimenti proprio di questo genere. In pratica, però, rinunciano abitualmente a idee rischiose a favore di miglioramenti marginali, riduzione dei costi e investimenti “sicuri”. Perché i dirigenti delle organizzazioni gerarchiche sono così avversi al rischio? Kahneman chiarisce, riportando esempi e sondaggi svolti su campioni estesi di persone, come gli incentivi aziendali e i processi di controllo li scoraggiano attivamente dall’assumere rischi, mentre gli Amministratori Delegati considerino ogni investimento nel contesto di un “portafoglio” più ampio. L’invito è quindi quello di comprendere che anche il giudizio di manager di grande esperienza e competenza può essere fallibile e che un processo decisionale disciplinato, non il genio individuale, è la chiave di una buona strategia aziendale.
L’autore
Daniel Kahneman, autore di Pensieri lenti e veloci, il testo che ha ridefinito la psicologia cognitiva contemporanea, e premio Nobel per l’economia nel 2002, è professore emerito di Psicologia e Relazioni istituzionali alla Woodrow Wilson School e professore emerito di Psicologia all’Università di Princeton. Le sue ricerche, che porta avanti dagli anni Sessanta, attingono alla psicologia cognitiva per indagare il modo in cui le persone prendono le decisioni, soprattutto in ambito economico e lavorativo.
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