Il lockdown ha costretto gran parte degli abitanti del Pianeta a rallentare il passo, aprendo la porta a una vita più semplice, fatta quasi esclusivamente di acquisti necessari handmade e sostenibili, meno sprechi e più tempo trascorso in famiglia. Secondo il The New York Times, la riscoperta dei valori del passato sarebbe da ricercarsi nella voglia di scappare dai problemi e dalle crisi della contemporaneità. Il fatto che oggi l’artigianalità sia uno straordinario valore aggiunto, capace di guidare le scelte del consumatore e incrementare le vendite, lo attesta anche uno studio pubblicato sul Journal of Marketing.
Il ricercatore della Cornell University, Stijn van Osselaer, e il suo team hanno, infatti, dimostrato l’esistenza di quello che è stato definito “handmade effect”: le persone sono più disposte ad acquistare, regalare o pagare una cifra più alta per oggetti o capi confezionati a mano. La ragione è presto spiegata: la differenza starebbe, secondo il campione, nel fatto che i prodotti handmade “contengono più amore” in quanto sono realizzati da un essere umano e non da una macchina. E che la ripartenza passi dagli artigiani lo dimostra anche un documento stilato lo scorso anno dalla Commissione Europea, dal quale emerge che le microimprese impiegano in Italia il 45% della forza lavoro, una percentuale altissima se comparata con quella media dell’Unione Europea che non raggiunge il 30%.
Un tessuto produttivo importante che CNBC descrive come la “spina dorsale” del Paese: caratterizzate spesso da una conduzione familiare, secondo i dati dell’UE, le PMI italiane generano un valore aggiunto del 67% contro il 57% della media europea. E la moda, uno dei settori trainanti per il Bel Paese, non è da meno: in particolare, nella produzione artigianale del comparto del fashion a giocare un ruolo chiave è la Lombardia, una delle aree più duramente colpite dalla pandemia. Secondo i dati elaborati nel 2019 dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, si attesta come la prima Regione per artigiani specializzati nella sartoria con quasi 2500 addetti, cifra che ha segnato un +15,6% negli ultimi 5 anni.
È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication su oltre 30 testate internazionali dedicate a tendenze e attualità nei campi della moda, del design e del lifestyle per Bigi Cravatte Milano.
“Ogni cravatta firmata Bigi viene confezionata rigorosamente a mano, con l’intento di portare avanti i valori che animavano il nonno, fondatore dell’azienda, ovvero artigianalità, ricerca di un’eleganza sobria e raffinata, rigorosa selezione delle materie prime – spiega Stefano Bigi, amministratore unico di Bigi Cravatte Milano – Il risultato è un prodotto classico e ricercato, che conserva il suo valore nel tempo. Oltre ad un approccio che limita al massimo gli sprechi di tessuto, a caratterizzare il nostro processo produttivo è la filiera cortissima e Made in Milan. Inoltre, da sempre una parte della produzione viene realizzata a domicilio, elemento che garantisce alle sarte di lavorare in tutta sicurezza anche in questo periodo: dei 27 dipendenti, infatti, la metà opera dalla propria abitazione. Questa forma di lavoro si tramanda nel nostro laboratorio fin dal secondo dopoguerra e rispecchia l’attuale smart working”.
Per Fashion United, nel dopo Coronavirus la produzione locale sarà protagonista di una fase di espansione e gli atelier artigianali vivranno un momento di rinascita. Parola chiave sarà glocalizzazione, un approccio che consiste nel mantenere le specificità locali, aprendosi però a un mercato globale. L’eleganza e il rigore sono tornati in auge e diversi stilisti hanno manifestato l’intenzione di abbandonare una produzione pressoché illimitata di capi, creando una sola collezione per stagione. Anche i consumatori sembrano intenzionati a fare scelte più green: come riporta The state of fashion, il 15% degli statunitensi e degli europei acquisterà capi più sostenibili sia a livello ecologico sia sociale.
Secondo il professor Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda al Politecnico di Milano: “La pandemia cambierà i valori intorno alla sostenibilità, intensificando il dibattito che ruota attorno al materialismo, al consumo eccessivo e alle pratiche commerciali irresponsabili. Non so se il fast fashion abbia imboccato il viale del tramonto, ma sicuramente la moda dopo questo evento sarà molta diversa perché saremo diversi noi, le nostre necessità e, forse, i nostri bisogni”.
Non solo nella moda, anche negli altri settori i consumatori optano per meno plastica e sprechi, più oggetti di qualità e confezionati a mano e prediligono le verdure a km 0 e il trasporto sostenibile. In quest’ottica, coltivare ciò di cui si ha bisogno diventa un modo per vivere in modo più sostenibile e fare economia: la vita di campagna sbarca quindi in città con orti urbani, che crescono in casa o sui terrazzi. In crescita, poi, il fenomeno dello “urban farming”, in grande espansione soprattutto in Germania, come riporta lo Spiegel, e in Francia dove è stato progettato un edificio di sei piani nei quali cresceranno all’incirca 10 quintali di frutta e verdura al giorno. Nell’ottica di ritrovare il contatto con la natura dopo i lunghi mesi passati in casa, tantissime persone stanno approfittando degli assolati weekend primaverili per trascorrere tempo circondati dal verde.
Non sono da meno le celebrities come dimostrano le foto in campagna, fra pony e coniglietti, postate recentemente da Chiara Ferragni o gli scatti fra la natura della Val Camonica di Paola Turani. Per quanto riguarda il cinema c’è chi preannuncia un ritorno del drive-in che, come riporta il Wall Street Journal, sembra essere fatto apposta per una pandemia, dal momento che permette di evitare contatti diretti con il resto del pubblico. Nella cucina, invece, si riscopre il piacere del pane fatto in casa: come racconta l’Economist le vendite di farina hanno registrato un forte aumento e le ricerche online legate a questo argomento sono cresciute esponenzialmente, così come i post dedicati all’home baking. Nei trasporti, infine, sembra essere la bicicletta il mezzo su cui puntare per evitare le affollate metro cittadine: secondo Le Parisien, nella capitale francese il numero dei ciclisti è cresciuto addirittura dell’85%.
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