Cosa scrivo?… Eppure qualcosa debbo mettere su questo foglio! Non posso oziare tutta la giornata. “Già, mi sento dire, guardati intorno!…”.
Chi ha parlato?, mi chiedo? “Il foglio che ti sta davanti”.
Ma non può essere: cos’ho mangiato di tanto pesante?
“No, ti ripeto: guarda fuori!”,
Beh, ci sono le solite cose: il ragno che fa la tela, il sole che lo riscalda eci illumina ogni cosa, come sempre.
“Eh no, bello mio: cosa succederebbe se il sole non riscaldasse più?”.
Non è mai successo.
“Se la Terra non gli girasse attorno per avere i prodotti che servono a te, cosa mangeresti?”.
Su, non fare il filosofo! Ti dico che la vita è sempre la stessa e così sarà sempre.
“Non è detto. Avrai letto, su fogli scritti da sapienti, che niente è eterno, che ci sono determinate condizioni che permettono la vita, Per avere il giorno e la notte, la Terra deve girare su se stessa ventiquattrore ogni giorno; l’anno è lo spazio di tempo che serve al pianeta per completare il giro attorno al sole. Tutto è scritto su fogli come me”.
Non mi farai scrivere queste cose!…
“Già, hai ragione… Sei grande abbastanza per scrivere ben altro”.
Sì, avrei tante storie vere per farne un romanzo, ma non sono uno scrittore.
Per esempio, nel ’45 successe una cosa che non ho mai capito. L’Italia era distrutta, non c’erano più nè strade nè ponti, le città erano state bombardate, la gente era stremata dalla fame, ma successe una cosa che non saprei definire, come se fosse scoppiata una bomba ad alto potenziale nelle nostre menti che c’indicasse mille vie d’uscita, le più disparate.
Le seguivamo senza sapere dove ci portassero, come mossi da una forza soprannaturale. Non importava a nessuno conseguire il successo, che non si conosceva. Ognuno, scuotendo la testa, diceva: “Proviamo!”.
Qualcun altro corresse: “Provare, produrre, progredire, ecco il nostro programma! Le tre P!”.
Qualunque cosa si riuscisse a guadagnare era una vittoria, fosse stato anche un solo pezzo di fame. Quel fenomeno fu definito “miracolo”, e lo fu.
“Continua…poi cosa avvenne?”.
Fu un periodo di miseria, ma di grande fratellanza.
Ognuno dava una mano all’altro e insieme si lavorava per il bene comune. La volontà non conosceva limiti e faceva capolino, qua e là, di tanto in tanto, la speranza.
Eravamo un popolo che cercava di rialzarsi compatto. Tutti, proprio tutti, ragazzi compresi, cercavamo di fare qualcosa, d’inventarci un mondo che sembrava impossibile.
Ci volevamo bene, veramente eravamo tutti sulla stessa barca. Politici, intellettuali, operai, ognuno nel proprio campo suggeriva, si affiancava, discuteva: qualche volta, perchè no?, si litigava per cercare d’imporre l’idea ritenuta migliore. Ad un popolo compatto sembrava proprio essere tutto possibile.
“Continua, che mi sto interessando. Farò morire d’invidia certi fogli miei fratelli che stanno in biblioteca!”.
Hai detto invidia? Noi non la conoscevamo, eravamo troppo impegnati a sfamarci tutti. Inoltre, si donava all’altro quello che uno aveva a disposizione. E che ricchezza c’era nel ringraziamento da parte del bisognoso!
“Non preoccuparti: quello che hai scritto lo conserverò con cura, per ricordartelo quando necessario!”.