“È nata quasi per caso, una sera, dopo qualche bicchiere di troppo, pianoforte e voce. Ha poi trovato una forma definitiva grazie agli arrangiamenti e alla produzione di Ferdinando Montone, che è riuscito ad amalgamare una scrittura cantautorale tradizionale con un sound moderno e particolare”
“Il Futuro” (Himalaya Dischi/Artist First) è il singolo che segna il debutto discografico di Oceani, progetto di Emanuele Guidoboni. Il brano, in radio e disponibile sulle piattaforme digitali da venerdì 5 novembre, è una ballad post-moderna che alterna pianoforte e linee melodiche pop a synth granulari e archi campionati e distorti. Attraverso l’immagine di una relazione che va in frantumi si cerca di riflettere sul fatto che spesso quello che succede è completamente diverso da ciò che ci si aspettava perché, in realtà, abbiamo ben poche cose sotto il nostro diretto controllo.
Oceani ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Il Futuro” è il tuo singolo d’esordio, di che cosa si tratta?
È il singolo che anticipa la pubblicazione di un EP che avverrà nei prossimi mesi. Si tratta di una specie di biglietto da visita, “eccomi qua. mi presento”, ma si tratta anche di una specie di terapia: nel testo della canzone faccio parlare una sorta di alter-ego che altro non chiede di essere abbracciato ancora qualche secondo dall’altra persona, prima che questa se ne vada via la mattina dopo. È capitato anche a me? Onestamente non ricordo, forse sì: ogni canzone è un po’ autobiografica, ma pesco anche dalle vite degli altri.
Cosa vuoi trasmettere con questo brano?
Che non bisogna aver paura di esporsi e che fa sempre bene parlare chiaro, rivelare delle parti di sé. Nelle mie canzoni ritorna spesso il tema della difficoltà nel comunicare. A volte questa cosa ci provoca rabbia, altre volte solo incomprensione. Altre volte ancora, si prova addirittura gioia perché ci si sente unici. Però quello che voglio dire che se si hanno delle cose da dire, vanno dette. In questo caso: dire a una persona che ci manca, se ci manca.
Che tipo di accoglienza ti aspetti?
Spero buona, sarà una sfida: non ho l’età anagrafica per essere considerato un “pischello” della scena indie o della scena pop e onestamente le classifiche e le categorie non mi fanno impazzire, vorrei che fossero le canzoni a parlare per me: non sono canzoni dall’appeal immediato né vogliono esserlo. Siamo in un’epoca in cui c’è una proposta musicale immensa: spero che questa canzone, e il resto che verrà, sia apprezzato per le differenze che porta rispetto alla massa.
Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
Sono anni che suono prevalentemente il basso (ma anche chitarra, tastiera e chi più ne ha più ne metta). Nel corso degli anni ho suonato in tantissime situazioni diverse, da gruppi che sono durati qualche mese a situazioni molto più consolidate come i Thegiornalisti. A un certo punto mi sono reso conto che, anche nelle situazioni a me musicalmente più affini, non riuscivo mai a trovare un senso di coinvolgimento completo verso le canzoni che suonavo. Perciò dall’anno scorso ho iniziato a farle da me: ho vinto un concorso su Indiepanchine con un brano che -fatalmente- si chiama “Cantautore” (e che sarà incluso nell’EP di prossima pubblicazione) e grazie a questo, conosciuto le persone con le quali attualmente collaboro.