Non sono stati molti gli artisti del Novecento, e men che meno i contemporanei, che hanno saputo mantenere vivi e riattualizzare movimenti i quali, pur avendo avuto un forte impatto nell’epoca nella quale si sono affermati, non sono riusciti a riscuotere consensi ed essere fonte di ispirazione per i decenni seguenti. Il protagonista di oggi invece ha saputo coniugare e attingere proprio a quelle correnti più in ombra rispetto alle altre, per tracciare una linea unica nel panorama artistico attuale.
Gli anni Venti del Ventesimo secolo furono un periodo di riscatto e di rinascita dalla distruzione e dalle brutture della Grande Guerra, un periodo in cui era necessario riappropriarsi della bellezza e di quella ‘joie de vivre’ che nel periodo buio era stata dimenticata e che proprio in virtù di ciò doveva essere esaltata anche attraverso una ricerca puramente estetica dell’arte. Fu proprio questo il contesto in cui nacque il movimento Art Decò che coinvolse tutti gli ambiti creativi e, di conseguenza anche la pittura; Tamara de Lempicka, ma anche José de Amalda Negreiros, ritrassero soggetti in pose languide e in abiti impeccabili, a testimoniare la tendenza verso il lusso e il benessere che in quegli anni si respirava. Non era fondamentale la riproduzione perfetta e fedele della realtà bensì l’esaltazione del gusto e dell’eleganza, oltre alla percezione del benessere dei protagonisti delle opere. Tale ricerca estetica non poté non associarsi alle prime immagini pubblicitarie e alle copertine patinate delle riviste di moda che costituirono un’importante parte del lavoro creativo della de Lempicka. Allo stesso modo, oltreoceano, si sviluppò una personalizzazione e modificazione delle linee guida di un altro movimento che cercava un’esaltazione della semplicità, del buon vivere, seppur diverso dall’attrazione verso il lusso dell’Art Decò, e della dimensione ideale, quasi fiabesca: il Naif. In America Latina questa corrente perse le caratteristiche europee legate a personaggi e paesaggi miniaturizzati, di cui uniche eccezioni furono Henri Rousseau e Antonio Ligabue che seppero dare un tocco interpretativo personale alle loro opere, per dare più spazio a dettagli ed espressioni anche in primo piano ma, soprattutto, mettendo in evidenza una dimensione ideale, suggestiva, incantata ma sempre caratterizzata dalla narrazione di piccoli e semplici gesti quotidiani. Linda Carter Holman in Messico e il celeberrimo Fernando Botero in Colombia sono due chiari esempi di quanto la corrente Naif abbia subìto trasformazioni affascinanti e completamente differenti dalle linee guida originarie. Piero Sempreboni, artista veronese con alle spalle una lunghissima carriera iniziata negli anni Settanta del secolo scorso, ha un timbro pittorico assolutamente unico, un linguaggio espressivo nel quale ha saputo mescolare sapientemente la semplicità, la mancanza prospettica, la colorazione piena con contorni netti, tipica del Naif, alle pose estetiche, plastiche e quasi un po’ vanitose, oltre alle tonalità vive ma eleganti, appartenenti all’Art Decò.
Nell’opera Mia moglie è evidente l’impulso di Sempreboni a evidenziare la serenità dell’ambiente che circonda la protagonista, come se quel mondo sicuro costituisse una protezione ideale da tutto ciò che è esterno, come se fosse importante per l’artista sottolineare la condizione idilliaca che si genera quando tutto volge verso la semplicità e la familiarità. Gli oggetti di uso comune come la sedia, il tavolino, la carta da parati, fanno da sfondo e da guscio per la padronanza che traspare dall’espressione della donna, permettendole di sentirsi a proprio agio pur sapendo di essere in posa.
La tela Martina si avvicina di più alla frivolezza civettuola dell’Art Decò, il vezzoso cappello in paglia, le ortensie che riprendono in gradazione il colore della camicetta della protagonista creano quell’armonia estetica ricercata dalle illustrazioni e dalle prime immagini pubblicitarie degli anni Venti; anche in quest’opera emerge l’attitudine di Sempreboni a muoversi tra realtà del quotidiano e narrazione della vita dei suoi personaggi, rinchiudendoli in un mondo suggestivo e delicato nel quale tutto è piacevole, rasserenante, dove ogni cosa è esattamente dove dovrebbe essere: al suo posto.
L’opera Maternità è un simbolo di questo equilibrio che contraddistingue la produzione pittorica di Piero Sempreboni, quell’essere in posa perfetta, nella sua casa che riveste il ruolo di nido, di protezione dall’esterno dentro cui chiudersi e dove costruire la realtà desiderata, quell’universo rilassante e distensivo nel quale dar vita ai sogni, non quelli grandi, quelli piccoli, quelli da realizzare giorno per giorno.
Le nature morte, Melanzane e Natura morta con sedia, sono costantemente permeate dalla medesima atmosfera rassicurante, confortante, che si riceve solo dalla familiarità degli oggetti, gli stessi che fanno parte di un quotidiano che piace a Sempreboni, e che diviene la sua poetica della consuetudine imprescindibile dall’atto creativo.
Nei paesaggi infine sembra avvicinarsi alla geometricità e alla plasticità paesaggistica degli artisti della Scuola romana, in cui era fondamentale l’equilibrio tra lo spazio oggettivo e il senso di ordine dato dal colore e dalla luce, dall’alternarsi del chiaroscuro essenziale a definire il volume ma anche l’essenzialità di scorci e panorami solitari, in cui l’essere umano sembra essere escluso tanto quanto invece è protagonista di tanta parte dei suoi dipinti.
Si muove su una sottile linea di demarcazione tra realtà e incanto Piero Sempreboni, definendo quello che è il suo pensiero filosofico sulla vita che in fondo per lui è fatta di piccole cose, quelle capaci di regalare la felicità grazie all’equilibrio, alla serenità, che si avvicina molto a quel mondo ideale che tutti sperano di raggiungere cercandolo spesso nei luoghi sbagliati invece di comprendere che è lì, a portata di mano. Nel corso della sua lunghissima carriera Piero Sempreboni ha sempre scelto di non partecipare a mostre collettive ma questo non gli ha impedito di avere un ampio seguito di collezionisti e appassionati su tutto il territorio nazionale; tre invece sono state le mostre personali, una a Praga, una a Parma e una terza presso la cantina di un viticoltore di Verona, città dove vive e opera.
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