Per tutto il corso della storia dell’arte moderna, ciascun movimento ha voluto fortemente decretare un netto distacco dalla pittura e dalla scultura precedenti, come se per vivere la contemporaneità fosse necessario rompere, distruggere, ogni schema e regola che potesse impedire agli artisti di sentire la libertà espressiva di cui avevano bisogno. Tuttavia esiste un’altra tipologia di creativi per i quali la classicità è fondamentale per segnare il proprio cammino, per essere assorbita e poi riattualizzata di contemporaneità compiendo di fatto dei balzi temporali che non possono che affascinare il fruitore. L’artista di cui voglio raccontarvi oggi appartiene a quest’ultima categoria.
Il percorso effettuato durante i primi anni del Novecento dai maggiori esponenti dell’arte dell’epoca, quel prendere le distanze dall’approccio più classico alla pittura e fortemente legato alla figurazione, è stato essenziale per concedere ai creativi quella libertà, quella scelta di adeguare lo stile espressivo alla loro esigenza comunicativa, di decidere quale fosse il linguaggio che più si conformasse alle loro corde. I movimenti più significativi determinarono un netto discostamento dalla rappresentazione della realtà osservata per dare spazio all’indefinito, alla non forma, come in tutti gli stili derivati dall’Astrattismo, oppure a una distorsione completa dell’immagine per esplorare il visibile da angolazioni differenti, come nel Cubismo, o ancora a un’alterazione dell’oggettività per portare alla luce le inquietudini e le angosce più sotterranee e latenti, come nel Surrealismo. Dopo i primi cinquant’anni del Ventesimo secolo vi fu però un recupero dell’esigenza di tornare a esprimere la creatività in maniera più esplicita, più comprensibile dal fruitore, perché essenziale per condurlo all’interno di riflessioni psicologiche e filosofiche, di analisi di una società profondamente cambiata in virtù dei mezzi di comunicazione di massa ma anche di un approccio meno profondo all’esistenza, più orientato a inseguire il superfluo senza soffermarsi sull’interiorità. Fu sulla base di questi principi che negli Stati Uniti nacquero la Pop Art e il Realismo Americano, in grado di attrarre l’osservatore per la semplicità delle immagini attraverso la quale veniva poi introdotto a una dimensione più riflessiva, più profonda e concettuale che non poteva che coinvolgere proprio perché immersa in atmosfere comuni, conosciute, in cui era facile ritrovarsi ed entrare così in empatia. L’artista romana Pamela Pagano trova proprio nel Realismo la propria dimensione espressiva, al quale però mescola le esperienze e le tecniche più classiche, quelle dello studio del corpo umano, della fedeltà all’immagine conosciuta che trovò nel maestro del Rinascimento, Michelangelo, la sua massima espressione, dando così vita a uno stile personale e di grande impatto espressivo.
Ma non si limita a questo l’artista bensì sceglie di tendere la mano al passato riattualizzandolo e facendolo divenire metafora del presente, dunque le sue opere sono un costante equilibrio tra modernità e tradizione, tra contemporaneità e classicità per narrare e sussurrare all’osservatore quanto nei noi di oggi sia presente tutto il percorso che l’umanità ha compiuto ieri e quanto le sensazioni e le emozioni attuali siano state uguali, seppur con sfumature differenti, a quelle percepite secoli fa.
Ecco perché è necessario non perdere il contatto con quelle radici morali, etiche e anche estetico-artistiche che ci appartengono e che sono le fondamenta su cui si è sviluppata la conoscenza successiva. Una parte della produzione artistica di Pamela Pagano osserva il presente, i pensieri, le riflessioni, i turbamenti delle protagoniste che sembrano sospese in un’atmosfera senza tempo, dove tutto ciò che contorna i soggetti principali sembra avere un senso quasi metafisico all’interno della tela; ogni oggetto ha un suo specifico significato e ragion d’essere, una sua collocazione all’interno della composizione pittorica che si armonizza con i volti o con i corpi narrati dall’artista.
In Condivisione la donna sembra porgere il grappolo d’uva, che diviene simbolo di ciò che si possiede e che può essere donato se solo si sceglie di farlo, a un personaggio esterno alla scena, quasi come se la Pagano sottolineasse l’importanza del dare a prescindere dal destinatario dell’atto; l’espressione che avvolge la donna, sospesa in un tempo e in uno spazio indefiniti, è di sincera generosità, di partecipazione nei confronti della mancanza che intravede dalla parte opposta, e dunque l’offrire diviene quasi una necessità interiore.
Nell’opera Alzarsi in volo la ragazza è immortalata in una posa plastica, armonica, come se fosse ritratta in un momento di danza, disciplina che Pamela Pagano conosce molto profondamente, mentre il drappo su cui è seduta appare come un rassicurante sostegno ma al tempo stesso il trampolino, la base da cui sente la necessità di distaccarsi per seguire una strada differente; la muscolatura è messa in evidenza, quasi come se fosse necessaria tutta la forza, fisica e morale, per riuscire a sollevarsi e recuperare la sicurezza in se stessa. L’altro filone creativo della Pagano è quello legato alla mitologia, alla rappresentazione degli episodi salienti dell’Iliade in cui l’artista rivela tutta la fascinazione che su di lei hanno quelle storie di passioni senza tempo che hanno continuato a ripetersi nel corso dei secoli; la vicinanza alle debolezze e alle fragilità del vivere contemporaneo è evidente tanto quanto lo è il legame dell’artista con la figurazione classica, con il chiaroscuro, la profondità, la prospettiva, lo studio del nudo.
Atena, la dea della guerra e della sapienza, è raccontata dalla Pagano attraverso un’espressività corporea che ne esalta la forza e al tempo stesso la femminilità, la consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo ma anche del peso della responsabilità che il compito che le appartiene comporta; proprio come la donna contemporanea, costretta a misurarsi con la determinazione a far sentire la propria voce e guadagnarsi il rispetto e al tempo stesso con la coscienza di dover fronteggiare le incombenze che quotidianamente la aspettano.
E ancora, Patroclo, dipinto nel momento della sua fine, sembra una parafrasi della sofferenza dell’uomo contemporaneo, troppo spesso sopraffatto dalle circostanze e incapace di rialzarsi per continuare a combattere; oppure, se osservata da un’altra angolazione, la tela è una manifestazione di ammirazione dell’artista nei confronti di un ruolo, quello maschile, che è andato via via perdendo la propria forza, il proprio posto, disorientandosi e dimenticando quanto in passato fosse tutto diverso perché in realtà più semplicemente definito.
Artista da sempre Pamela Pagano solo recentemente ha trovato il coraggio di esporre le sue opere partecipando a importanti mostre collettive internazionali e da quel momento in avanti il suo stile ha affascinato esperti ma anche il grande pubblico: nel 2018 è tra gli artisti premiati a Spoleto Arte Festival, e nel 2021 sarà tra gli artisti presenti a Mostra d’Arte Italian Selection “Pace e amore” in occasione dell’Expo di Dubai-Abu Dabi.
PAMELA PAGANO-CONTATTI
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