La società contemporanea vive in costante equilibrio tra le certezze rassicuranti di un passato ormai compiuto e le riflessioni su un presente incerto e indefinito, quasi in contrapposizione con le sicurezze acquisite; molti artisti scelgono di essere testimoni di questa incoerenza esistenziale e di manifestare il proprio personale pensiero e su aspetti e concetti del mondo attuale.
Nella sua nascita, intorno alla metà del Diciannovesimo secolo, il Realismo si pose come obiettivo principale quello di rappresentare la realtà dell’epoca senza abbellimenti, senza allegorie, senza orpelli stilistici bensì semplicemente narrando la vita quotidiana di una società lavoratrice, operaia, di un panorama europeo che andava lentamente verso la democratizzazione e l’evoluzione imprenditoriale della nuova borghesia. Proprio per questa attenzione alle tematiche sociali il Realismo assunse anche connotazioni di propaganda politica, come in Russia dove divenne di fatto mezzo di divulgazione del governo stalinista, o in Messico in cui il muralismo, di cui fu massimo rappresentante Diego Rivera, si trasformò in contestazione contro il regime dittatoriale dell’epoca, contro la Chiesa e a favore della rivoluzione che condusse il suo popolo a liberarsi dalle catene imposte dallo stato autoritario. Anche Giuseppe Pelizza da Volpedo, seppur in maniera meno sovversiva rispetto a Rivera, volle immortalare nel suo Il quarto stato le proteste di una classe sociale che pur lavorando ed essendo il cardine della catena produttiva, era costretta a vivere in condizioni ai limiti della povertà. Nel corso del Ventesimo e del Ventunesimo secolo però il movimento realista perse la sua accezione politica e reazionaria e si trasformò in racconto del vivere quotidiano, nelle città e negli interni, divenendo documento di usi e costumi della collettività del periodo in cui le opere venivano eseguite. Le immagini sono sempre avvolte da una sorta di sentimento, di emozione, di atmosfera che ha la capacità di trascinare l’osservatore all’interno delle opere come Jack Vettriano, grande esponente del Realismo contemporaneo nonché uno degli artisti viventi più quotati, riesce a fare in modo magistrale immortalando uomini e donne di oggi e di ieri sospesi in un tempo indefinito ma al tempo stesso incredibilmente attuale e in grado di far vibrare le corde emotive.
Salvatore Dangelo, artista di origini calabresi ma residente da anni a Reggio Emilia, necessita l’approccio realista per raccontare le proprie emozioni e un personale punto di vista sul vivere attuale, su quei concetti che spesso vengono trascurati o sottovalutati ma che costituiscono per lui gli irrinunciabili punti fermi da cui l’uomo moderno non dovrebbe allontanarsi.
Si muove su una linea di confine l’artista, quella tra un passato importante, considerevole, che ha segnato tutto il percorso su cui l’uomo moderno si muove oggi, e quello tra un presente che appare disorientato, incerto, in cui tutte le certezze vengono messe in discussione e trasformate in un cammino differente che induce l’individuo a perdere il senso reale delle cose. Le opere Butterfly, ma soprattutto La libertà di essere donna, sono una celebrazione a un universo femmineo che non trova più la dimensione precedente in cui il rispetto e l’accettazione di sé erano consolidati all’interno di regole sociali che sono andate perdendosi nella contemporaneità. In entrambe le opere Dangelo racconta della leggerezza, la grazia e la bellezza insita in ogni gesto, che contraddistinguono una donna la quale vive però il contrasto tra lo svelarsi e il proteggersi, cercando di tenere al guinzaglio l’emotività innata che potrebbe non essere compresa e accettata in mondo divenuto troppo pragmatico e materiale.
In Butterfly la ballerina senza volto diventa il simbolo di un desiderio di elevarsi e di lasciarsi andare alla lievità dell’esistenza, pur comprendendo di non poterlo fare se non per il breve tempo di un ballo; in La libertà di essere donna invece la protagonista sembra voler narrare quanto il suo corpo sia troppo spesso considerato semplicemente un oggetto, un dettaglio della società dell’immagine che tende a dimenticare l’anima, l’essenza reale e interiore di chi vorrebbe essere semplicemente osservato e accolto nella sua complessa interezza. Il tritacarne rappresenta dunque l’omologazione e il livellamento che riduce il corpo femminile a un puro prodotto da esporre e catalogare mentre, suggerisce Salvatore Dangelo, dovrebbe esserne osservata la bellezza nel senso più elevato del termine, sia esteriore che interiore, quella che lui rappresenta attraverso i petali di fiori che fuoriescono dalla parte opposta. Il legame dell’artista con il passato si esprime attraverso la rappresentazione, o per meglio dire l’omaggio, a opere appartenenti a un periodo Classico che però deve necessariamente continuare a costituire il fondamento dell’arte come della vita contemporanea.
Nelle tele Re David, Il bronzo di Riace e Il bacio, le atmosfere si fanno più soffuse, evanescenti, proprio per sottolineare il fascino di un tempo andato ma ancora fortemente iconico e rappresentativo di origini che non devono essere lasciate alle spalle anzi, devono essere riferimento costante per il presente; Il bacio invece esce dagli schemi più tradizionali per avvicinarsi all’Espressionismo di Egon Schiele, in quell’abbraccio intenso eppure delicato, quasi a sussurrare l’esigenza dei due protagonisti di continuare ad aggrapparsi l’uno all’altra, come hanno fatto per tutta la loro vita insieme, per cercare rifugio e rassicurazione in un’esistenza che diviene via via più indefinita e sfuggente dentro la quale l’unica certezza è l’intensità del sentimento presente, oggi come ieri. Rimasto lontano molto a lungo dal suo sogno artistico, Salvatore Dangelo ha cominciato recentemente a seguire corsi di pittura per perfezionare la propria tecnica e attualmente partecipa a mostre collettive che gli stanno permettendo di riscuotere notevole successo di pubblico e di attrarre l’attenzione degli addetti ai lavori.
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