È una pellicola di denuncia che tocca le corde profonde della percezione della donna, vittima in Marocco della cultura patriarcale. Per le leggi marocchine, tutte le persone di sesso opposto che abbiano una relazione sessuale fuori dal matrimonio sono punibili con il carcere. Sofia ha 20 anni e vive con i suoi genitori a Casablanca. Nessuno in famiglia sa che aspetta un figlio, avuto fuori dal matrimonio.
È un po’ sgraziata e introversa; non le deve essere facile confrontarsi con la personalità della zia Leila (Lubna Azabal), della madre, e ancor più della cugina Lena (Sarah Perles), che è svelta d’intuito e disinvolta. Quest’ultima ha il padre francese che vive ad Anfa in una casa spettacolare sull’oceano, e se non bastasse è una brillante specializzanda in oncologia.
Durante un pranzo di famiglia, Sofia ha violenti crampi allo stomaco. Per Lena, che viene in suo aiuto, è presto chiaro che la cugina è incinta, e che lei per prima ha ignorato i sintomi della gravidanza. Usando come scusa la necessità di recarsi in farmacia, Lena prende l’iniziativa di portare Sofia all’ospedale: grazie alle sue conoscenze, riesce a farla entrare e qui dà alla luce il bambino, fuori dal matrimonio, quindi illegalmente. Al momento del parto l’ospedale le lascia 24 ore per fornire i documenti del padre del bambino prima di avvisare le autorità.
La regista Meryem Benm’Barek ha dichiarato: “Quando ero adolescente, mia madre mi raccontò la storia sconvolgente di una ragazza che era stata accolta dai miei nonni. Aveva 17 anni e mia madre, che all’epoca era appena più grande di lei, una sera scoprì per puro caso che la ragazza era incinta, vicina al parto. Fu quindi necessario organizzare un matrimonio il più rapidamente possibile. Queste storie sono piuttosto comuni in Marocco, dove è vietato avere rapporti sessuali tra persone non sposate. Tutti hanno sentito parlare o conoscono qualcuno che ha sofferto per il rifiuto della gravidanza o per un bambino nato da genitori non sposati. È una situazione destinata a complicarsi perché sia la madre che il padre rischiano di essere perseguiti e condannati al carcere. Di conseguenza, il matrimonio è l’unica soluzione possibile”.
Continua poi affermando: “La storia è nata naturalmente chiedendomi come una tragedia come questa possa porre luce sui problemi della società, rivelando le varie crepe e lacune nel funzionamento di una società. Inoltre, è importante capire che in Marocco il matrimonio è ancora un segno di successo a cui tutti ambiscono. Permette di stabilire la propria posizione sociale: per questo i matrimoni devono essere il più possibile sfarzosi, appariscenti e lussuosi. Siamo in una società di apparenze, dove l’immagine che si offre di sé e della propria famiglia è molto importante”.
L'Opinionista® © 2008-2024 Giornale Online
Testata Reg. Trib. di Pescara n.08/08 dell'11/04/08 - Iscrizione al ROC n°17982 del 17/02/2009 - p.iva 01873660680
Pubblicità e servizi - Collaborazioni - Contatti - Redazione - Network -
Notizie del giorno -
Partners - App - RSS - Privacy Policy - Cookie Policy
SOCIAL: Facebook - Twitter - Instagram - LinkedIN - Youtube