Noi dell’Opinionista abbiamo avuto l’occasione di intervistare Simona Pennisi, nel tentativo di approfondire il suo rapporto con la scrittura – e con l’arte, più in generale – e di presentare al pubblico i retroscena del suo esordio letterario.
Credo che sia presente come al sud anche al nord, ma in piccole realtà. La differenza sta proprio dove si insidia, cioè, nei piccoli contesti di provincia, senza distinzione geografica. Mi hanno dato conferma di questo proprio i miei lettori e lettrici.
È una responsabilità collettiva quando non ci si ragiona ma ci si nasconde nel pregiudizio, perché di per sé i pregiudizi non sono sbagliati. Ci permettono di arrivare a un giudizio in maniera preventiva, partendo dalle nostre conoscenze ed esperienze. Se non fosse così, avremmo bisogno di un insieme infinito di dati che richiedono tempo e un processo mentale faticoso. L’importante è diventare consapevoli dei propri pregiudizi per riuscire a superarli quando è necessario. Dovremmo tutti imparare a guardare più dentro noi stessi che verso gli altri e l’esterno, in quel modo potremmo essere davvero meno “cuttigghiari”. Io spero che un domani ci evolveremo verso il non giudizio.
Vedo molto in comune con i ragazzi di oggi. Non sono una di quelle persone che crede che la vecchia generazione sia meglio di quella nuova. In questa generazione vedo più consapevolezza e rispetto verso il diverso, cosa che, secondo me, è presente nella protagonista del libro. Lei non si preoccupa di non diventare amica di una quarantenne, perché non vi è quel limite mentale.
Adoro gli animali, tutti. Un animale può davvero salvare la vita e aiutarti da un punto di vista psicologico. Quello che trovo poco sensato e il paragone tra animali e figli. Sono davvero due esseri viventi differenti, con bisogni diversi. Rispetto la scelta di non avere figli, ma non per forza l’accosto con la scelta di prendere un cane. Difatti ci sono molti amanti dei cani che hanno anche figli. Un figlio lo cresci e diventa un essere umano indipendente; invece, il cane dipende fino all’ultimo dal padrone.
Sì, voglio raccontare di donne, quindi l’affinità è stata colta appieno.
Amo le nuove generazioni perché le sento molto più convolti in questi temi rispetto anche solo alla mia. Purtroppo, adesso ci stiamo trovando in un periodo storico di lotta continua, anche di sopravvivenza, spero davvero che questo sia l’inizio di una meravigliosa rinascita per il genere femminile. Non possiamo arrenderci, dobbiamo fare fronte comune per i nostri diritti.
Il mio scopo è fare riflettere attraverso il mascheramento dell’ironia e del divertimento. Entrare a contatto con una storia che appare a tutti gli effetti divertente, leggera, per poi trovarti, senza saperlo, in temi importanti e attuali. Per ottenere questo, ho cercare di utilizzare un linguaggio semplice e senza fronzoli e di avvalermi del siciliano.
Un pubblico molto ampio che va dai 20 ai 80 anni, per lo più donne. Molti personaggi sono grandi di età. Mi immagino una nipote di circa 22 anni che legge il libro insieme a sua nonna di 75 anni, magari che abitano in un condominio simile a quello di Pagghiòla.
È a tutti gli effetti una professione, ma ognuno può decidere a che livello vuole arrivare. Nel senso che ci sono persone che scrivono per hobby a cui non interessa il successo del proprio romanzo. Per quanto riguarda me, avere scelto di pubblicare mi ha messo di fronte le dure verità dell’editoria. In quel momento, ho incassato i dolori (invece che i soldi), ma anche tante gioie. Immensa felicità ricevuta dai riscontri positivi dei miei lettori, che ringrazio.
Se lo si fa per guadagno o nel caso in cui non si riesce a trovare un editore, consiglio di autopubblicarsi con Amazon, continuando anche a utilizzare i canali social per promuoversi.
Divertente, riflessivo, curioso.
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