Cultura

Intervista a Simona Pennisi, scrittrice e artista

Simona Pennisi è la scrittrice siciliana del romanzo “Pagghiola” – pubblicato dall’editore BookaBook di Milano – giovane casa editrice che si fonda sul sistema del crowdfunding. Un racconto che porta in vita la Sicilia e ciò che riconosciamo immediatamente come suo, tradizionale. Un romanzo ironico, irriverente e di sicuro divertente – ma che non manca di condurre il lettore a riflessioni secondarie e profonde.

Noi dell’Opinionista abbiamo avuto l’occasione di intervistare Simona Pennisi, nel tentativo di approfondire il suo rapporto con la scrittura – e con l’arte, più in generale – e di presentare al pubblico i retroscena del suo esordio letterario.

  1. “Pagghiòla”, un romanzo breve che molti definirebbero “fresco”. Eppure, non appena il lettore si trova a leggerlo capisce subito che si troverà davanti a qualcos’altro, che ciò che legge è solo una parte di ciò che la Pennisi vuole raccontare. Dietro l’ironia e gli strampalati abitanti del condominio dove prende vita il Suo esordio, c’è una tematica abbastanza evidente, quella del pregiudizio. Da siciliana trapiantata a Milano, crede che il pregiudizio e/o il cuttigghìu siano prerogative delle piccole realtà o piuttosto che siano un vizio comune a tutti gli esseri umani da nord a sud?

Credo che sia presente come al sud anche al nord, ma in piccole realtà. La differenza sta proprio dove si insidia, cioè, nei piccoli contesti di provincia, senza distinzione geografica. Mi hanno dato conferma di questo proprio i miei lettori e lettrici.

  1. In che modo, secondo Lei, al giorno d’oggi, la tendenza al pregiudizio – e al giudizio in generale – andrebbe considerata una responsabilità di tutti? In che modo potremmo provare a essere meno “cuttigghiari”? E perché è importante che tutti noi compiamo questo sforzo?

È una responsabilità collettiva quando non ci si ragiona ma ci si nasconde nel pregiudizio, perché di per sé i pregiudizi non sono sbagliati. Ci permettono di arrivare a un giudizio in maniera preventiva, partendo dalle nostre conoscenze ed esperienze. Se non fosse così, avremmo bisogno di un insieme infinito di dati che richiedono tempo e un processo mentale faticoso. L’importante è diventare consapevoli dei propri pregiudizi per riuscire a superarli quando è necessario. Dovremmo tutti imparare a guardare più dentro noi stessi che verso gli altri e l’esterno, in quel modo potremmo essere davvero meno “cuttigghiari”. Io spero che un domani ci evolveremo verso il non giudizio.

  1. Lei appartiene a una generazione differente da quella degli adolescenti di oggi, nonostante ciò, il Suo romanzo si presta a esser letto da adulti ma anche da giovani ragazzi e giovani ragazze. La stessa protagonista, Caterina, è una giovane studentessa che vive le pulsioni e le paure della sua età. Se secondo lei sussiste, in quale modo e secondo quale entità il personaggio principale del suo racconto potrebbe incontrare le affinità delle lettrici e dei lettori più giovani? Che cos’ha in comune Caterina con i giovani di oggi?

Vedo molto in comune con i ragazzi di oggi. Non sono una di quelle persone che crede che la vecchia generazione sia meglio di quella nuova. In questa generazione vedo più consapevolezza e rispetto verso il diverso, cosa che, secondo me, è presente nella protagonista del libro. Lei non si preoccupa di non diventare amica di una quarantenne, perché non vi è quel limite mentale.

  1. È molto attuale l’accusa rivolta alle nuove generazioni secondo cui ormai si preferisca la compagnia dei cani a quella delle persone. Anche Caterina, la protagonista di Pagghiòla, arriva nella sua nuova con la sola compagnia di un Pinscher: si può dire che abbiano un rapporto simbiotico, che condividano gli spazi quasi come due persone. In qualità di psicologa, crede che allevare animali domestici e prendersi cura di loro – anziché dei bambini – racconti più di quello che viene detto? Anche in virtù delle sue esperienze, che cosa pensa del rapporto tra uomo e animali?

Adoro gli animali, tutti. Un animale può davvero salvare la vita e aiutarti da un punto di vista psicologico. Quello che trovo poco sensato e il paragone tra animali e figli. Sono davvero due esseri viventi differenti, con bisogni diversi. Rispetto la scelta di non avere figli, ma non per forza l’accosto con la scelta di prendere un cane. Difatti ci sono molti amanti dei cani che hanno anche figli. Un figlio lo cresci e diventa un essere umano indipendente; invece, il cane dipende fino all’ultimo dal padrone.

  1. I temi del Suo romanzo sono molteplici. Ma tra quelli fondanti non si può che evidenziare una forte attenzione al movimento femminista: le protagoniste del Suo esordio, infatti, sono perlopiù donne: forti, coraggiose, determinate verso i loro obiettivi – fatto che lei saprà non era certo molto diffuso cinquanta o sessant’anni fa. Quanto è causale questa affinità che abbiamo rilevato? Che cosa pensa dell’attuale condizione delle donne e, quali sono, secondo lei, i margini di miglioramento possibili?

Sì, voglio raccontare di donne, quindi l’affinità è stata colta appieno.

Amo le nuove generazioni perché le sento molto più convolti in questi temi rispetto anche solo alla mia. Purtroppo, adesso ci stiamo trovando in un periodo storico di lotta continua, anche di sopravvivenza, spero davvero che questo sia l’inizio di una meravigliosa rinascita per il genere femminile. Non possiamo arrenderci, dobbiamo fare fronte comune per i nostri diritti.

  1. Il linguaggio utilizzato per narrare “Pagghiòla” colpisce subito per la capacità di raccontare la storia di Caterina e degli altri condomini con uno stile asciutto, scevro di fronzoli letterari e ghirigori, che possa quindi arrivare immediatamente a tutti i lettor. Crede che la letteratura debba essere di facile fruizione? Qual è per Lei il suo scopo reale?

Il mio scopo è fare riflettere attraverso il mascheramento dell’ironia e del divertimento. Entrare a contatto con una storia che appare a tutti gli effetti divertente, leggera, per poi trovarti, senza saperlo, in temi importanti e attuali. Per ottenere questo, ho cercare di utilizzare un linguaggio semplice e senza fronzoli e di avvalermi del siciliano.

  1. “Pagghiòla” è un romanzo brioso, pregno di riflessioni e altrettanto impegnato, chi sono i lettori a cui ha pensato mentre lo stava scrivendo? Chi pensava l’avrebbe letto e chi lo avrebbe potuto amare?

Un pubblico molto ampio che va dai 20 ai 80 anni, per lo più donne. Molti personaggi sono grandi di età. Mi immagino una nipote di circa 22 anni che legge il libro insieme a sua nonna di 75 anni, magari che abitano in un condominio simile a quello di Pagghiòla.

  1. In qualità di scrittrice emergente, a seguito della sua prima pubblicazione, viene spontaneo chiederle se le sue aspettative siano state rispettate. Pagghiòla le ha dato più gioie o più dolori? Più speranze disattese o più colpi di scena? Che cosa consiglierebbe a chi ancora non ha trovato un editore e vorrebbe cimentarsi in quella che, come si evince dai suoi canali social e dal suo sito, è a tutti gli effetti una professione?

È a tutti gli effetti una professione, ma ognuno può decidere a che livello vuole arrivare. Nel senso che ci sono persone che scrivono per hobby a cui non interessa il successo del proprio romanzo. Per quanto riguarda me, avere scelto di pubblicare mi ha messo di fronte le dure verità dell’editoria. In quel momento, ho incassato i dolori (invece che i soldi), ma anche tante gioie. Immensa felicità ricevuta dai riscontri positivi dei miei lettori, che ringrazio.

Se lo si fa per guadagno o nel caso in cui non si riesce a trovare un editore, consiglio di autopubblicarsi con Amazon, continuando anche a utilizzare i canali social per promuoversi.

  1. Concludo la nostra chiacchierata rivolgendole una domanda che non manco mai di rivolgere agli scrittori: come definirebbe, in tre sole parole, il suo “Pagghiòla”, e perché dovremmo leggerlo tutti?

Divertente, riflessivo, curioso.

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Pubblicato da
Redazione
Argomenti: libri

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