Musica

“Io e gli Iron Maiden”, l’intervista de L’Opinionista a Dennis Stratton

ROMA – Partecipò al primo, storico disco degli Iron Maiden, il cui titolo coincideva con il nome stesso del gruppo. Poi abbandonò la band per divergenze artistiche. I Maiden, però, gli sono sempre rimasti nel cuore, e nel 2020 ha deciso di celebrare il quarantennale del loro debut album con alcuni concerti speciali. Stiamo parlando del chitarrista Dennis Stratton, che è appena stato in Italia per un mini tour tra Chieti, dove ha tenuto due live, e Roma (tutto esaurito nella mitica Locanda Blues). Abbiamo incontrato il musicista a margine della prima data allo Stammtisch di Chieti. Ecco la nostra intervista.

Quest’anno “Iron Maiden” compie 40 anni. Come vede oggi questo lavoro?

“È difficile capire come, nel tempo, questo disco sia stato iconico e quanto abbia cambiato la vita delle persone. Nel 1979 avevamo le canzoni pronte e, una volta firmato il contratto con la Emi, la stessa casa discografica ci chiese di iniziare a registrare un album. Non sapevamo, però, come i fans avrebbero accolto questi pezzi. Inoltre non conoscevamo il produttore e volevamo vedere come avrebbe trattato i nostri brani”.

Insomma, ignoravate che cosa sarebbe successo nel vostro futuro…

“Sì. Tra l’altro, all’epoca, avevamo un tempo limitato per incidere perché la Emi voleva assolutamente pubblicare l’album, e desiderava farlo il prima possibile. Il risultato fu un lavoro “punky”. Quando riascolto oggi ‘Iron Maiden’, penso che avrei voluto più tempo a disposizione per poter ottenere un sound migliore. E invece, appena finito il missaggio, dovemmo partire subito per andare a fare un tour nel Regno Unito. Di conseguenza, potemmo dedicare poca attenzione ai suoni”.

Il suo rapporto con l’Italia si è intensificato soprattutto nell’ultimo ventennio.

“18 anni fa sono stato contattato da Marco Gamba (uno dei maggiori biografi degli Iron Maiden, ndr) perché il manager dei Clairvoyants era interessato a portarmi nel vostro Paese per farmi esibire con questa tribute band. Io e i Clairvoyants siamo stati insieme per 12 anni suonando in tutta Italia, poi loro si sono sciolti. A quel punto ho iniziato a collaborare con i Children of the Damned, fino a quando, l’anno scorso, si è presentata la possibilità di fare concerti nel sud Italia con i Maiden Division. I due live di Chieti e quello di Roma rappresentano le prime date del nostro tour italiano”.

Come vi state trovando?

“Ci stiamo trovando molto bene. I ragazzi sono forti e per me il gruppo è come una famiglia: non amo cambiare spesso i musicisti con cui suono. È una cosa che sinceramente non mi piace. In ogni Paese in cui mi esibisco, ho una band di fiducia”.

Oltre alle celebrazioni per il primo album degli Iron Maiden, lei si prepara a tornare anche con i Lionheart. Può anticiparci qualcosa al riguardo?

“I Lionheart si sono riformati nel 2017, e immediatamente ci è stato chiesto di fare un album. Così nel 2018 abbiamo registrato in maniera molto veloce e con grande semplicità: il disco è piaciuto, è stato votato come primo album Aor del 2018, e di conseguenza ci hanno chiesto di realizzarne ancora un altro. Abbiamo iniziato a lavorarci un anno fa, facendo tante sessioni. Quando Steve Mann doveva andare a suonare con Michael Schenker, ci fermavamo. Abbiamo accumulato ritardo perché più volte siamo stati costretti a uno stop. Ora posso annunciare che il nuovo album dovrebbe essere pronto per aprile 2020. Subito dopo partiremo per un tour”.

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Redazione L'Opinionista

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