Cultura

Intervista a Marcello Romanelli, giornalista da più di 20 anni e scrittore per passione

Oggi è più difficile comunicare perché proprio attraverso i social in molti si improvvisano giornalisti

Definisce il suo lavoro, quello del giornalista, “il più bello del mondo”, Marcello Romanelli. Grande professionista del vasto mondo dell’ Informazione, dopo il successo riscontrato “E vissero tutti felici e distanti” (Rossini Editore) sta pensando che non sarebbe affatto una cattiva idea lavorare al secondo…

Marcello, il suo testo è stato molto elogiato dalla critica e dal pubblico, quali sono state le parole – tra tutte quelle che le hanno rivolto – che ha maggiormente gradito?

Sono state tante le recensioni e i commenti, ma sono rimasto colpito da questa breve recensione che in sintesi riesce a dire tutto: “è un libro capace di raccontare un periodo difficile della nostra vita senza far perdere al lettore la speranza e la fiducia nel futuro”.

Il titolo è- chiaramente- un richiamo al finale della favole. Quanto è stato importante crederci durante il primo estenuante lockdown?

Mi sono difeso con la scrittura. E proprio attraverso questo libro giorno dopo giorno ho sperato e creduto in un finale che ancora oggi non è del tutto scontato, ma nella vita io sono un ottimista di natura alla ricerca sempre di quella felicità che può durare anche un solo istante, ma importante che ci sia…

I più colpiti a livello psicologico sono stati i bambini ma anche le persone sole. Possiamo dire che la solitudine sia ancora il male del secolo?

Di certo questa pandemia ha messo tutto il mondo a dura prova. E i bambini sono quelli che hanno subito più di tutti un primo lockdown caratterizzato dal silenzio, dalle città deserte e da questa mancanza di abbracci e di baci che riscaldano l’anima. Ho sempre pensato in quei giorni alla distanza tra un nonno e un nipote. La solitudine può essere sempre affrontata in vari modi. E chi in quel periodo si trovava solo per vicende della vita personali ha dovuto affrontare anche questa prova che indubbiamente ha lasciato uno strascico mentale in molta gente.

I Social possono abbattere distanze e barriere ma sovente si rivelano fallaci e molte persone poi confondono la vita reale con quella virtuale. Come si può trovare il giusto equilibrio?

Con il mestiere che svolgo ogni giorno per me i Social sono importanti, ma proprio perché li ritengo importanti li uso con dovuta cautela. Per non confondere la vita reale con quella virtuale basta soltanto non mettere sui social i tuoi sentimenti. Perché i sentimenti vanno condivisi nella vita reale. E vedrete che cosi pian pianino si arriva al giusto equilibrio.

Lei che utilizzo ne fa oggi?

Il mio utilizzo dei social è prettamente professionale. E ogni tanto mi diverto a condividere canzoni, commenti sulla notizia del giorno e sfottò calcistici. Tutto qui…

Lei ha scelto per mestiere di comunicare e informare. Quanto è difficile farlo oggi e come è cambiato negli ultimi anni il mondo del Giornalismo?

È il mestiere più bello del mondo. E lo è perché ci consente ogni giorno di scoprire una storia nuova, un racconto nuovo, un angolo nuovo di mondo. Oggi è più difficile comunicare perché proprio attraverso i social in molti si improvvisano giornalisti, ma il giornalismo è qualcosa di diverso da un commento senza filtri. C’è più traffico di notizie, anche false e il lettore è disorientato, ma credo ancora nella qualità del giornalismo e quindi ritornerà l’ordine in un disordine esagerato.

Quando ha capito che era quella la strada da percorrere dal punto di vista professionale?

L’ho capito quando ben due direttori hanno risposto ben due direttori di testate giornalistiche non ai miei curriculum, ma a delle lettere scritte a forma di articolo. Le loro risposte sono state non solo positive, ma veri e propri inviti a far parte prima della squadra di cronisti del Quotidiano della Calabria e dopo di quella del Messaggero. Nella mia vita non smetterò mai di ringraziare Ennio Simeone e Roberto Napolitano. Rispettivamente direttori in quegli anni di Quotidiano della Calabria e del Messaggero.

Che cosa ha provato la prima volta che ha visto un suo articolo pubblicato? Vuole ricordare con noi quel momento?

Una grande gioia. Vedere per la prima volta la mia firma in una testata cartacea è stata una vera e propria festa del cuore. Un cuore matto per questo mestiere che svolgo sul campo da oltre 22 anni.

E poi quali sono gli step successivi che l’hanno portata a essere il grande professionista che è oggi?

Sono stati tanti i passaggi che ho affrontato in questo mestiere. Sono partito come cronista sportivo raccontando le partite del Rende Calcio per poi diventare nel giro di qualche anno il cronista mondano della città di Cosenza. I miei articoli erano molto letti anche perché erano delle cronache di quello che accadeva nelle feste una città che sa vivere. Poi il passaggio al Messaggero e gli articoli per Dagospia. Dal 2014 sono nello staff del sindaco di Rende (città in provincia di Cosenza) e naturalmente mi occupo della comunicazione istituzionale.

Marcello ieri, oggi e domani… Come è stato, com’è e come sarà?

Marcello ieri, cronista innamorato del calcio e quindi il sogno di diventare un giornalista sportivo era un sogno che coltivavo ogni giorno, Marcello oggi con il successo del mio primo libro dopo tanti anni di giornalismo coltivo l’idea di scriverne un altro per farlo diventare un film o un musical e domani il mio grande sogno è quello di viaggiare per lavoro e fare delle belle interviste a chi nella vita riesce ad emozionare. Perché senza emozioni non è vita.

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Pubblicato da
Laura Gorini
Argomenti: Interviste

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