Storia di un artista “contro”: l’ironia, il rifiuto di adeguarsi alle masse, la provincia, Parigi, il Minestudio, l’anti-pop
RECANATI – Maurizio Minestroni, in arte Mines, è nato nel 1966 a Recanati. Formatosi come autodidatta, ha sempre perseguito coerentemente un determinato stile di vita da artista fedele alle sue idee.
Non si è inebriato per le sirene dei media quando una sua canzone, “Per diventare gay”, fu trasmessa ripetutamente da “Viva Radio Due” di Fiorello e Baldini.
Si è cimentato in recitals come “Il Divertimento Cosmico”, in cui c’è un brano che ricorda nel tema, sia pur con contenuti personalizzati, “Space Oddity” di David Bowie. Si tratta di “Incontro col Maggiore Tom”.
Quest’ultimo, insieme ad altre tracce come “Ex” ed “Eva e il Serpente”, raggiunge una dimensione più eterea rispetto ad altri, tuffandosi in contrasti e pulsioni interiori.
Eppure anche queste tracce hanno un filo che le lega a brani melodicamente più orecchiabili. Se infatti in “Tutto è volgare” o “Disintossicami” (solo per citarne un paio) la critica, seppur vasta, si concentra sulla varietà umana,
il serrato confronto tra Eva e il serpente e le gesta degli astronauti spingono verso considerazioni sul cosmo e sulla divinità. Esse trattano inoltre la condizione umana, esplorando ciò che può sfuggirle o trascenderla. Nelle centinaia di canzoni di Mines c’è molto altro e potremmo dilungarci sul periodo di “Les Antipop” o delle altre collaborazioni con vari musicisti e attori.
L’artista non teme di scandalizzare, inoltre, quando si spinge a riferimenti espliciti al sesso, dileggiando il perbenismo di provincia e i suoi tabù (Cosa facciamo Annalisa, Pipper Pan, Second Life, Il Depravato et cetera).
Abbiamo avuto l’opportunità di rivolgergli alcune domande via email e ne è venuta fuori una intervista molto interessante.
Raccontaci qualcosa della tua infanzia ed adolescenza tra le belle colline di Recanati e delle Marche.
“Da bambino (erano gli anni ’70) non andavo a giocare volentieri a pallone o con i fucili a gommini assieme agli altri bambini. Passavo delle ore nel corridoio di casa di mia nonna a suonare perché nei palazzi antichi c’è un riverbero naturale molto bello. Non avevo strumenti ma cantavo e sbattevo le mani su un tavolino di legno (mano destra: pugno per suono cassa – mano sinistra aperta per suono rullante).
In quelle ore favolose immaginavo di essere uno dei miei idoli (Lennon o McCartney, di cui conoscevo tutti le canzoni a memoria) oppure andavo in camera di mia nonna Adalgisa dove c’era un pianoforte antico molto scordato; avevo individuato i tasti meno danneggiati (i diesis) e potevo suonare solo quelli: avevo infatti imparato gli accordi… tutti sbagliati.
Quando uscivo passavo tante ore dentro all’unico negozio di dischi del paese a sfogliare uno ad uno i vinili in esposizione, immaginandone il suono solo dalla copertina, visto che nel 1973 non c’era internet; per ascoltare un LP dovevi comprarlo o chiedere al negoziante di metterlo sul piatto. Poi tornavo a casa e chiedevo ogni giorno 5000 lire a mio padre per comprare il disco. Mio padre non me la dava ogni giorno ma ogni mese… allora tentavo di registrare le musicassette dalla radio. La radio però non mandava mai i Beatles ma Rita Pavone.
C’era un juke box nella piazza del paese dove potevo ascoltare l’unica canzone decente: “Aqualong” dei Jethro Tull. Mentre la ascoltavo già pensavo “non mi piace molto ma mi devo accontentare. Qua non c’è niente. Me ne dovrei andare da questo posto di merda”.
E iniziavo a farmi domande del tipo: “Come posso continuare a vivere qua, tra questi contadini? “..avevo 7-8 anni. Sono domande che ho poi continuato a farmi durante l’adolescenza e fino a che non me ne sono andato.
Oggi, dopo aver girato in lungo e in largo, avendo capito che la provincia non è Recanati (o le Marche) ma l’Italia intera, mi sono rassegnato. E così sono tornato a vivere quasi stabilmente nella mia collinetta. Sognando non più un luogo diverso, ma un mondo diverso”.
Che rapporto hai con la tua città e il tuo territorio?
“Ora decisamente di distacco. Mi sentirei meglio in una grande città. Ho poco in comune con il carattere dei marchigiani che sono tendenzialmente introversi, nebulosi, mesti, indolenti, riservati…. provinciali che amano le canne, le sagre, le maldicenze, le bestemmie e (come tutti i bigotti) il sesso fatto di nascosto. La mia non è una posa ma è una condizione reale quella di essere caratterialmente diverso da loro. Io sono un lib(e)ro aperto, loro dei ciauscoli (insaccati) chiusi. Da questi opposti ne è conseguito, inizialmente un rapporto di odio/amore risoltosi poi, oggi, dopo varie fallimentari scopate, nella sopportazione reciproca”.
Come è nata la tua passione per la musica?
“Spontaneamente. Non ho mai studiato musica alle scuole. Sto per dire una grande banalità: “la musica è qualcosa che hai dentro”. Ok, l’ho detta”.
Ho letto da qualche parte che hai suonato anche all’estero. Dove esattamente? Com’è la scena musicale fuori dell’Italia?
“Negli anni ’90 frequentavo i cantautori, a Parigi in quell’epoca (succedeva anche in Italia) i piccoli locali ci permettevano di suonare per intrattenere la clientela; io proponevo (oltre alle mie canzoni) brani di Conte, Battiato… con qualche altro classico rivisitato della canzone d’autore italiana, e la canzone francese (il mio adorato Gainsbourg in particolare).
Andavo a suonare da solo, con il mio impiantino, una chitarra, una tastiera e una fisarmonica, in cambio di qualche franco. Suonando però tutte le sere al “Saint Jean” e al “Front Page” riuscivo a guadagnare abbastanza per potermi mantenere in quella città. Tuttavia tornavo a casa sempre sbronzo e dormivo di giorno, un tipo di vita che si può fare per solo per un determinato periodo…(anche se io l’ho fatta fino a 40 anni).
La scena musicale francese, malgrado esistessero già all’epoca forti contaminazioni multiculturali, non era troppo differente da quella italiana; il pop stereotipato in classifica, in tv, in vendita; tutto il resto relegato ai margini. Esisteva però un variegato pubblico attento e curioso, che apprezzava la musica dal vivo; un fenomeno che per varie ragioni oggi non esiste quasi più, né in Italia né all’estero.
Ai tempi d’oggi, in cui l’economia è in calo e in cui la musica gratuita su internet ha decretato un forte ridimensionamento della discografia, come ti sei fatto strada? Dev’essere stato molto faticoso. So che hai anche uno studio di registrazione personale.
Già molti anni fa, visto che non ricavavo nulla dalla produzione delle mie canzoni, (ed essendo stufo di suonare nei locali musiche dal vivo su richiesta per mantenermi), mi sono fatto strada…cambiando strada. Ma invece di mettermi a fare un mestiere diverso dalla musica, ho iniziato ad investire nel mio home recording per farlo diventare uno studio professionale.
Dopo alcuni anni di rodaggio ho raggiunto dei buoni risultati che hanno convinto diversi musicisti locali a venire a registrare da me. Successivamente ho iniziato ad occuparmi di altri lavori in studio (dai corsi di lingua alle canzoni per bambini, dagli audiolibri agli spot pubblicitari). Fino ad affrontare (finalmente) produzioni musicali più interessanti e complesse nelle vesti di produttore/arrangiatore.
A 49 anni, avendo maturato una certa esperienza anche in questo ruolo, posso ritenermi molto soddisfatto di aver potuto collaborare sia con artisti di spessore che con giovani emergenti, per la realizzazione di nuovi progetti musicali, originali e di qualità.
Stare in studio di registrazione a stretto contatto con i musicisti (quella lunga fase che presuppone notti in bianco alla ricerca del riff giusto, della take giusta, del suono giusto, del mix giusto…fino ad arrivare ad un risultato finale soddisfacente), è l’esperienza che mi affascina oggi più di ogni altra cosa nella musica.
La nota dolente è che questi “prodotti” finiti, frutto dell’ingegno e del lavoro di tante persone, difficilmente poi trovano una collocazione di mercato quando un mercato… non esiste più.
Mi duole dover rispondere a chi mi chiede con entusiasmo che cosa farne dopo, della sua bella registrazione: di metterla su web per cercare visibilità in cambio di nulla.
Ti do un numero di righe infinito per dire peste e corna di chi vuoi, sia riguardo a qualsiasi argomento, sia riguardo all’industria musicale italiana e straniera, che non sembrano particolarmente illuminate.
Ti ringrazio molto per questa chance ma è meglio di no guarda….mi ci vorrebbero 3000 pagine! Risulterei anche molto pesante e non vorrei dunque….possiamo passare alla prossima domanda?
“Sto cercando di stuzzicare la tua anima nera, allora rincaro la dose: nelle tue canzoni c’è spesso una divertente misantropia “Forse è la farsa del sociale”… “Voglio stare solo chiuso in casa ad aspettare, che il popolo ritorni a lavorare”… “Mi hanno dato un lavoro l’ho trovato volgare, poi ho provato col sesso, l’ho trovato volgare..(..) e la televisione è volgare, è volgare, la partita a pallone è volgare è volgare, io la popolazione la trovo volgare….
La mia è una canzone di protesta, ma non di protesta popolare intesa nel senso tradizionale del termine (stile cantautori anni ’70), bensì di protesta ANTI-popolare. Non a caso il mio ultimo album si chiama POP ANTI POP. Non me la prendo mai con le istituzioni ma con il popolo stesso, quello italiano, che passivamente le subisce.
Con l’italiano medio, la donna mediocre e i suoi luoghi comuni. I miei testi, al contrario di quelli delle canzoni pop che trovano largo consenso in quanto fanno leva su sentimenti popolari, non abbracciano il popolo ma ne prendono le distanze.
Nelle tue canzoni viene sondato abbastanza massicciamente il rapporto uomo-donna. Si ci incontra, si ci scontra, ma poi torniamo a cercare la lei che ci completi…
Ricollegandomi al discorso precedente: io non scriverei, né canterei mai una canzone d’amore, alla Biagio Antonacci per fare un esempio. Preferisco cantare: “Fammi una sega, Annalisa”, lo trovo molto più romantico!
Viviamo in un paese molto ipocrita in cui la menzogna, anche nel rapporto uomo-donna, è sempre presente. Ecco, io costantemente mi ribello a questa ipocrisia”.
Non sei più un ragazzo, ma, esteticamente, lo sembri. Forse è perchè non ti sei sposato?
“Come disse qualcuno…(ma non ricordo bene chi): “Perché rovinare questi bei momenti con un matrimonio?”. Nessuno di noi è nato per essere monogamo né per seguire la volontà di nessun Dio. Ma quella di rovinarsi la vita da soli è una scelta personale!
E quando non è neppure una scelta, ma un’accettazione passiva dei meccanismi imposti dalla propria società, cultura, religione, è ancora peggio! Il matrimonio è uno squallido contratto che nulla c’entra con l’amore….addirittura in molti casi è l’anticamera dell’odio. Personalmente mai sposerei nessuna delle mie adorate amiche in quanto le amo tutte!”.
Com’è nata la tua amicizia con il giornalista e romanziere noir Andrea Pinketts?
“Io e Andrea, accomunati dall’amore per le bionde (medie), per le ore piccole, per le parole giuste, per l’ironia misurata, per l’egocentrismo smisurato e per tanti altri importantissimi (ma indicibili) difetti, ci siamo conosciuti nell’estate 2000 a Sanremo in occasione di un talk-show che celebrava i 50 anni dalla morte di Fred Buscaglione.
Lui nelle vesti di Pinketts ed io in quelle dell’anonimo turnista che con la sua swing band allietava il pubblico con la musica di Fred.
Prima dell’evento, durante i preparativi della serata iniziati verso le 15, Andrea, Pogo il dritto ed io ci siamo intrattenuti al bar della villa per una impressionante maratona alcolica, che mi ha proiettato direttamente dalla triste realtà a quella (fantastica) di uno dei suoi romanzi.
Avendo potuto scoprire di persona che le storie assurde e rocambolesche scritte da quest’uomo non sono unicamente frutto della sua fantasia, ma vissute realmente, sono rimasto terribilmente colpito.
Alla sera ci siamo ritrovati, non esattamente sobri, in questa trasmissione RAI condotta da Dario Salvatori, con un pubblico di un migliaio di ottantenni fans di Buscaglione.
Sul palco è successo di tutto…. è stata una serata indimenticabile che ha decretato una censura della Rai e una profonda amicizia tra me e Andrea”.
Chi ti piace, tra gli artisti emersi negli ultimi cinque anni?
“Emersi? Non vedo nessuno…. dove devo guardare? Ho forse perso la vista…”.
Cosa consigli ai giovani musicisti che vorrebbero fare della musica il proprio lavoro?
“In Italia? Dipende: se sono dei giovani musicisti a cui piace suonare ai concorsi, alle sagre, ai matrimoni, alle feste della birra, del patrono, del primo Maggio e dell’ultimo dell’anno, consiglio di imparare un repertorio di cover facili e brutte, che tutti conoscano.
E di sorridere sempre mentre le suonano. In tutti gli altri casi……di emigrare immediatamente!”.