Il linguaggio fotografico ha sempre assunto molteplici aspetti sulla base dell’utilizzo che se ne fa ma anche della sensibilità di chi si trova dietro l’obiettivo e attraverso quello esprime il suo punto di vista, fa sentire la propria voce in merito a ciò che viene osservato. In molti casi, e con caratteristiche differenti, è divenuto il mezzo attraverso il quale alcuni grandi maestri hanno regalato al pubblico immagini indimenticabili, rimaste per sempre nella memoria comune e nella storia della fotografia. L’artista di cui vi parlerò oggi oltrepassa i confini della riproduzione della realtà e trasforma in arte ciò che il suo sguardo coglie.
Fin dal suo avvento, la macchina fotografica suscitò opposizioni e aperture da tutti i letterati e gli artisti tra fine Ottocento e gli inizi del Novecento, e sebbene furono in molti a criticarne la meccanicità e la mancanza di tocco creativo che invece apparteneva indissolubilmente a tutte le forme d’arte, vi furono dei maestri che si distinsero proprio per quella sensibilità, per quella capacità di cogliere un attimo in grado di emozionare non solo l’osservatore ma il mondo intero, trasformando quelle immagini in simboli della società dell’epoca. Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Robert Doisneau, René Burri, furono i giganti della fotografia mondiale delle prime decadi del Ventesimo secolo, così come Alex Webb, Steve McCurry ed Annie Leibowitz lo furono negli anni successivi, quando l’avvento del colore richiese l’abilità di rendere un’atmosfera più intensa oppure più rarefatta, assecondando il sentire del fotografo. Già nel caso di Man Ray si generò una contaminazione tra la nuova tecnica di riproduzione delle immagini e la creatività artistica, o per meglio dire l’aperta adesione a un movimento pittorico che tracciò un solco profondo nella storia dell’arte internazionale, parlo ovviamente del Surrealismo. A quel punto, e grazie alle emozionanti immagini dei maestri sopra citati, la fotografia entrò di diritto nel mondo dell’arte consapevole della sua naturale tendenza a un’evoluzione che si manifestò poco dopo con la Digital Art e con l’avvento delle fotocamere digitali in grado di ampliare la gamma di possibilità e di opzioni di ripresa, durante e anche dopo l’inquadratura. Irmin Bernstädt, fotografa, artista e ideatrice di installazioni, ha un approccio decisamente Metafisico nei confronti della fotografia, in virtù della sua particolare attenzione a un apparentemente piccolo e trascurabile dettaglio che invece, sotto il suo sguardo attento, emerge fino a diventare assoluto protagonista dello scatto.
Alla luce della sua lente delicata e rapita da ogni singolo particolare che la natura offre, la stessa natura dentro la quale ama perdersi per trovare ispirazione alla sua creatività, una foglia, un bosco in autunno, un ramo di un albero fiorito si trasformano in spunti di riflessione sull’esistenza, quel palcoscenico in cui l’individuo sembra essere un protagonista distratto e inconsapevole di tutto ciò che gli ruota intorno e che lo accoglie.
La bellezza dei semplici elementi naturali diviene un amplificatore di sensazioni per la Bernstädt, un modo per trovare quel contatto spesso perduto dentro le difficoltà e l’impazienza del vivere quotidiano che allontana l’essere umano dalla capacità di avvicinarsi in maniera spontanea e fanciullesca verso tutto ciò che, al contrario, dovrebbe invece essere un’oasi in cui ritrovare se stesso, in cui tornare a meravigliarsi dei colori, degli scorci di luce, dei riflessi delle gocce di rugiada che sono di per sé splendidi affreschi del mondo che abitiamo. Ma, ed è qui che si libera la creatività dell’artista, probabilmente lo sguardo attento non è sufficiente per focalizzare su di sé l’attenzione necessaria e dovuta e quindi Irmin Bernstädt sente il bisogno di agire sull’immagine immortalata come fa un pittore con la sua tela, dipana il concetto più metafisico e dirige le sue opere verso l’Espressionismo realizzato attraverso la Digital Art, una modificazione delle tonalità reali per accordarle alle sue corde emotive, quelle che avevano vibrato nell’istante in cui la sua macchina fotografica era diventata interprete di quel sentire immediato e istintivo.
L’opera Autumn in the wood (Autunno nel bosco) attrae l’osservatore per quell’aderenza alla realtà ma subito dopo ha la capacità di condurlo all’interno di un luogo incantato, affascinante, come se appartenesse alla dimensione del sogno, della fiaba, con quei colori fluidi e a tratti innaturali ma tuttavia vicini alla realtà, quasi come se l’artista volesse condurlo in un universo parallelo fatto di sensazioni più vive, più intense, più coinvolgenti.
E ancora in Leaf (foglia) lo sfondo scuro vuole essere un naturale teatro dove la leggerezza si fonde con la spontanea magia delle gocce di pioggia per imprimere nell’osservatore la sensazione di magia che avvolge ogni singolo dettaglio di quell’opera prima che è lo spettacolo della natura; la foglia caduta rappresenta il ciclo della vita che si ripete costantemente di stagione in stagione, la morte che lascia però spazio alla rinascita rappresentata dalle gocce d’acqua che da sempre genera e nutre la nuova vita. È questo il luogo dove la Bernstädt ama condurre i fruitori delle sue immagini, quello della bellezza che si nasconde e che si svela solo davanti a un occhio attento, delicato ed emotivo, perché sa coglierne le sfumature che uniscono l’estetica al senso delle cose.
In Venice (Venezia) sembra voler non solo raccontare un affascinante scorcio della città, bensì, grazie al gioco di sovrapposizione, ne racconta anche la vita, quel viavai di gondole e le tipiche pareti dei palazzi, che pone al di sotto della superficie dell’acqua, quasi come se volesse suggerire quanto in questo caso un dettaglio, pur permeato di bellezza, non può essere sufficiente a regalare l’atmosfera magica e senza tempo che nella città lagunare si respira e che avvolge chiunque la visiti.
Ma la sensibilità artistica di Irmin Benstädt non riesce a fermarsi alla fotografia Metafisica contaminata con la Digital Art, è necessario e vitale per lei sperimentare altri linguaggi creativi come la pittura astratta, la fotografia minimalista in bianco e nero e le installazioni; risale proprio al 2019 uno dei suoi più grandi traguardi professionali realizzando insieme a Yoko Ono un’installazione per l’evento acquatico di Lipsia Peace is Power. Nel corso della sua carriera Irmin Bernstädt ha esposto nelle più importanti fiere ed eventi artistici internazionali delle maggiori città del mondo – New York, Barcellona, Madrid, Milano, Berlino, Israele, Manila, Zurigo -, ha vinto il Premio Internazionale Caravaggio, è stata finalista al Global Art Award di Shangai nel 2018 e semifinalista all’Art Basel di Miami.
IRMIN BERNSTÄDT-CONTATTI
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