Quando si pensa alla tendenza dell’arte a rifiutare la forma visibile si tende a considerare questo tipo di espressività come manifestazione intensa di un tumulto interiore, di sensazioni che premono per uscire perché troppo a lungo mantenute celate e protette in un mondo intimo da cui poi improvvisamente quanto impetuosamente devono fuoriuscire. L’artista di cui vi racconterò oggi sceglie invece di osservare tutto ciò che è intorno a lei con sguardo poetico, quasi incantato, ed è di quella sensazione positiva e magica che narra nelle sue opere.
Intorno agli anni Quaranta del Novecento la situazione europea e mondiale era fortemente instabile, incerta a causa del secondo conflitto mondiale che aveva tolto serenità e punti di rifermento anche agli artisti i quali sentirono la necessità non solo di trovare un linguaggio espressivo più adeguato al disorientamento emotivo ed esistenziale che il mondo dell’arte stava attraversando, ma anche di scoprire la modalità più adatta a esprimere il loro rifiuto di quella forma esteriore, del legame con un’estetica che in quel contesto particolare non aveva più senso. Dunque il gesto pittorico divenne in sé già un’opera d’arte, un modo irrazionale e impulsivo di comunicare emozioni, sensazioni, disagi e moti interiori solo attraverso l’uso dei colori, senza alcun filtro da parte di quella ragione che avrebbe dovuto essere chiamata in causa nel caso della rappresentazione di una forma definita. Il movimento che fece proprio questo intento, quello dell’assoluta libertà espressiva, trasformandolo nelle linee guida alla sua base fu l’Espressionismo Astratto che fu contraddistinto da una forte eterogeneità degli artisti aderenti i quali però ebbero il punto comune di manifestare le loro emozioni secondo la modalità più affine alla propria indole e alle proprie caratteristiche. L’irruenza dell’Action Painting veniva affiancata dalla calma del Color Field, le atmosfere cupe di Franz Kline e Robert Motherwell si confrontavano con quelle monocrome di Ad Reinhardt, tanto quanto gli intrecci frenetici di Mark Tobey dialogavano con lo sguardo positivo e solare di Helen Frankenthaler e di Hans Hofmann.
Il fascino delle loro tele era costituito esattamente da quell’abbandono totale e completo della forma per dare spazio e voce alla non forma, quell’universo indefinito dentro il quale le emozioni trovavano la loro collocazione più adeguata perché fu proprio attraverso le loro tele che gli appassionati riuscirono a sentirsi coinvolti in maniera profonda, immediata. Jagoda Lessel, artista di origine serba ma ormai da moltissimi anni residente a Vienna, appartiene a quella categoria di artisti che non riesce a sottostare alle regole della figurazione, malgrado in alcune sue tele lasci trasparire un leggero disegno, un tratto impalpabile che definisce più l’emozione narrata nel titolo che non l’immagine in sé; l’esigenza di confrontarsi con i colori è tanto istintiva quanto fondamentale per il suo personale linguaggio creativo che tende verso la positività, l’interpretazione musicale e poetica di ciò che le ruota intorno e su cui il suo sguardo si sofferma, coinvolto e trasportato dalle sensazioni che riceve. Si lascia ispirare dalla musica, dalla natura, dalle circostanze dell’esistenza Jagoda Lessel, come se il suo mondo interiore avesse bisogno della connessione, del contatto con l’esterno, per comprendere meglio se stessa ma anche ciò che la circonda.
Ogni tela diviene un’esperienza interpretativa e narrativa, proprio perché l’esplorazione, il contatto con la propria interiorità sono fondamentali all’artista per un’evoluzione da cui non riesce a prescindere, e dunque ciascun dettaglio, qualunque evento, qualsiasi riflessione, divengono attimi e circostanze da immortalare, da far parlare attraverso le sue tele.
In Aufbruch (Partenza) racconta di quella fase di allontanamento con cui tutti hanno a che fare nella propria vita, che sia di breve o lunga durata, ed è per questo che la gamma cromatica scelta da Jagoda Lessel è allo stesso tempo allegra per il senso di scoperta e di entusiasmo con cui si tende a vivere ogni viaggio, ma anche un po’ malinconica dal momento che di fatto ci si allontana da un affetto, da un luogo, da un’abitudine, cari all’interiorità; il suo astratto è tendente al figurativo, come se i colori dessero vita a ombre, a figure protagoniste dell’azione, come se quelle contrastanti tonalità costituissero le variegate e molteplici emozioni che contraddistinguono la partenza oppure l’insieme di persone con cui il viaggio si affronta, come se quel movimento, quell’andare fosse una metafora della vita stessa.
Nell’opera Tschaikowski 4 symphonie (Sinfonia n. 4 di Tchaikovsky) Jagoda Lessel interpreta la magia della melodia, associando i colori alle note musicali senza tralasciare il tratto sottile del disegno che diviene filo conduttore, accordo melodico senza il quale non sarebbe possibile ascoltare l’insieme della sinfonia; la gamma cromatica è in armonia con la struttura briosa e vivace della composizione e dunque le tonalità più vivide si accostano a quelle più calme e sfumate. È un accordo tra interiorità e mondo esterno quello che compie l’artista ogni qualvolta approccia la tela, una sinergia tra ciò che l’occhio vede e che l’interiorità accoglie, senza tralasciare il passaggio attraverso quella parte consapevole, e per questo più razionale, necessaria a delineare con maggiore chiarezza le sensazioni emergenti.
Quando sceglie di descrivere la natura, Jagoda Lessel svela il suo animo poetico, romantico e capace di lasciarsi trascinare e coinvolgere dalla semplicità di un fiore, di un giardino, di un sentiero mosso dal vento, perché in fondo sono quelli, suggerisce l’artista, i luoghi in cui è più bello perdersi, respirando un contatto diretto con tutto ciò che di profondo appartiene all’animo dell’individuo e che spesso viene dimenticato.
In Märchengarten (Giardino delle favole) appare tutta la sua meraviglia nel lasciare che un contatto visivo improvviso e inaspettato evochi memorie lontane, quelle della fanciullezza, una fase in cui si credeva che ogni cosa fosse possibile e in cui si poteva sognare liberamente, senza temere di cadere in terra davanti alla realtà; anche in questo caso la gamma cromatica è affine alla sensazione percepita, quell’essere immersa in un mondo piacevole e pervaso della magia sottile del ricordo e di un ingenuo modo di vedere la vita.
E ancora in Windiger Weg (Sentiero ventoso) i gialli e i rossi protagonisti trasmettono quel senso di movimento delle fronde, quell’agitazione naturale che si verifica quando il vento sopraggiunge a rompere il silenzio della natura, ed è proprio quello l’istante che cattura l’attenzione dell’artista che non può impedirsi di trasmetterlo sulla tela, raccontarlo e indurre l’osservatore a percepirne il sottile fruscio e a vedere il movimento delicato che viene generato. Jagoda Lessel è membro dell’Associazione Professionale degli Artisti Austriaci e delle Associazione Internazionali artistiche Arte MIX e Bild Recht. A partire dal 1999 ha partecipato a numerose mostre nazionali e internazionali, queste ultime in Ungheria, Francia, Repubblica Ceca, Germania, Corea del Sud (Seoul), Serbia, Italia, Slovacchia, Turchia (Istanbul), Grecia (Atene), Spagna e Bielorussia (Minsk).
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