Non solo. I risultati dello studio, che ha coinvolto 177 pazienti divisi in base alla presenza/assenza iniziale della manifestazione infiammatoria (81 con dattilite) – si legge nell’articolo – potrebbero essere particolarmente utili per la valutazione dello stato ed evoluzione della psoriasi sin dalla prima diagnosi, ma anche per la definizione dei soggetti da coinvolgere nei trial clinici randomizzati sull’efficacia e la sicurezza di nuovi trattamenti. Nella premessa, gli autori dello studio segnalano che “la presenza di una storia di dattilite aggiunge maggiore sensibilità e specificità nel processo di classificazione della psoriasi (criteri Caspar)” perché “si associa a un maggior danno radiografico in pazienti con malattia psoriasica conclamata cronica. Fino ad ora, però, non era mai stata effettuata una valutazione diretta dell’impatto di tale sintomo sulla manifestazione e sulla severità di malattia in toto nei pazienti all’esordio della psoriasi e ancora non trattati”.
Dai dati emerge – si legge nell’articolo – che i soggetti con dattilite avevano più articolazioni dolenti che tumefatte e livelli più elevati di proteina C-reattiva (Pcr), che segnala un’infiammazione acuta, rispetto a chi non presentava le dita di mani e piedi con il tipico gonfiore. La dattilite, inoltre, era presente maggiormente nelle dita dei piedi rispetto a quelle delle mani (68,2% vs. 31,8%). Su queste manifestazioni, un altro aspetto osservato dai ricercatori segnala che la dattilite “hot” (caratterizzata da dolore) era più prevalente di quella “cold” (non dolente) (83,4% a fronte di un 16,4%).
Da ultimo, sia la sinovite che le erosioni ossee, misurate mediante ecografia, sono risultate più frequenti nei pazienti con dattilite. Non sono state rilevate, invece, differenze sostanziali per quanto riguarda l’entesite ecografica. Gli autori dello studio concludono che “la dattilite dovrebbe essere considerata, a tutti gli effetti, un marker clinico di manifestazione più severa di malattia in pazienti con psoriasi all’esordio, e un fattore discriminante di tutto rilievo per la stratificazione del rischio nelle strategie di intervento farmacologico”.
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