Nel mondo artistico contemporaneo l’imperativo di molti creativi è quello di manifestare, raccontare, liberare in maniera più o meno irruenta sensazioni ed emozioni che appartengono al loro mondo interiore, permettendo così all’osservatore di essere coinvolto in maniera istintiva, primordiale da quel sentire comune proprio perché appartenente all’essere umano. L’artista di cui vi racconterò oggi sceglie un approccio nostalgico alla tela per svelare il suo mondo fatto di emozioni e di ricordi.
La necessità di esprimere le passioni, i tormenti e i moti interiori da parte degli artisti iniziò a manifestarsi agli inizi del Novecento ma a diventare un imperativo dopo i conflitti mondiali, periodi in cui ogni certezza era stata perduta e destabilizzata, in cui ogni accadimento aveva tormentato la fragile sensibilità di molti creativi per cui era impossibile attenersi a una forma estetica che non aveva più senso a seguito degli eventi recenti, né tanto meno a schemi figurativi che costituivano una gabbia per il fluire impetuoso delle emozioni. L’Espressionismo Astratto si pose come movimento pittorico rivoluzionario, dove la non forma, il distacco dalla realtà osservata o la sua interpretazione individuale, entrarono in contatto con un mondo interiore palpitante che doveva necessariamente essere espresso, contrariamente a quanto teorizzato dall’Astrattismo Geometrico in cui l’atto creativo era puro gesto plastico privato delle influenze del sentire dell’esecutore dell’opera. Nell’ambito della corrente di cui fu fondatore Jackson Pollock gli stili espressivi degli artisti aderenti erano poliedrici, profondamente differenti gli uni dagli altri eppure tutti legati dal filo conduttore che contraddistinse l’Espressionismo Astratto, cioè la capacità di esprimere e comunicare le emozioni; nello stesso periodo, intorno agli anni Cinquanta del Novecento, e sulla scia della scuola statunitense, nacque in Italia l’Arte Informale, che attinse dai colleghi d’oltre oceano l’approccio istintivo verso la tela e la rinuncia alla forma visibile, ma poi si sviluppò introducendo nell’opera la materia che generò un nuovo equilibrio tra esternare e meditare, tra liberare ed enfatizzare, tra presentarsi all’osservatore e spingersi verso di lui cercando la terza dimensione. Tra i maggiori esponenti dell’Arte Informale italiana fu Sergio Scatizzi a mantenere il legame più forte con l’immagine conosciuta, nascondendo le forme con pennellate dense e tendenti a celare senza però mai coprire quell’apparenza di realtà osservata che permetteva al fruitore di sentirsi maggiormente coinvolto e attratto dalle sue opere. L’artista sardo Salvatore Stelletti, formatosi da autodidatta ma non per questo meno apprezzato dalla critica e dai collezionisti di tutto il mondo, mantiene con la realtà il medesimo equilibrio di Scatizzi perché le sue tele sono una costante velata rappresentazione di ciò che il suo sguardo emotivo aveva osservato e che solo in un secondo momento, quello del ricordo, sente l’esigenza di liberare sulla tela.
La sua tendenza astratta si mescola e si sinergizza con quella traccia figurativa necessaria per il racconto interiore, quel sentire nostalgico che non può fare a meno di legare al mare della sua terra davanti a cui si è posto domande, ha affidato sensazioni, ha liberato riflessioni sugli accadimenti o su frammenti di vita colti dal suo occhio sensibile; e così il suo stile resta sospeso tra il visibile e l’invisibile narrando l’energia sottile che si propaga quando le emozioni entrano in connessione con il mondo intorno, quell’ambiente che le circonda e sembra restare assoggettato al loro fluire. I colori principali sono gli azzurri e i blu che si legano all’acqua e al cielo, allo spazio illimitato in cui non si può che perdersi o affidargli i pensieri, le meditazioni, le manifestazioni più intime di un animo in costante evoluzione perché capace di mettersi in discussione e di assorbire le forze magnetiche e inspiegabili che ruotano intorno all’esistenza.
Le sue opere appartengono a frammenti di istanti nei quali Salvatore Stelletti ha colto un significato particolare, una sensazione entrata nella sua esistenza e in qualche modo è riuscita a modificarla, perché in fondo ogni accadimento, ogni circostanza permette all’individuo di progredire e di non essere più ciò che era un attimo prima; ecco dunque che l’artista non può fare a meno di narrare un secondo saliente, quei fermo immagine che gli hanno permesso di raggiungere una nuova consapevolezza, di arrivare a un livello superiore della conoscenza di sé.
La tela Ho perso l’anima raffigura l’attimo in cui l’artista si è confrontato con la reazione che una sua azione ha provocato, il rammarico di essere stato il responsabile di una conseguenza, un dolore, un distacco di cui non può fare a meno di assumersi la responsabilità uscendo più maturo da quell’esperienza, più conscio di quanto sia indispensabile mantenere il legame profondo con la propria interiorità, e con quella di chi ci circonda, per non permettere a un errore poi incancellabile di determinare il corso dei successivi eventi. Il mare è tempestoso, come a sottolineare il senso di pentimento, il rimorso verso qualcosa, o qualcuno, che non fa più parte della sua esistenza ma che ha lasciato una traccia indelebile.
In Penso in silenzio invece Stelletti racconta l’esigenza di lasciarsi trasportare dal flusso dei pensieri senza interferenze esterne, circondandosi di una dimensione al di fuori del tempo e dello spazio dentro cui lasciar fluire tutto ciò che nella sua mente è racchiuso, trovando risposte che senza l’approfondimento, il distacco dalla realtà oggettiva, probabilmente non sarebbero emerse. Sembra rappresentare l’infinito dell’Universo l’artista in questa tela, dove le macchie tondeggianti chiare ricordano le stelle ma in realtà sono una metafora della matassa di idee e sensazioni che affollano la mente e che riescono a mettersi in chiaro solo dopo essersi immersi nel mare calmo del buio intorno, l’indefinito silente che le avvolge e le accoglie.
Poi d’improvviso Salvatore Stelletti si distacca dalla propria interiorità e diviene interprete di un’espressione rubata, osservata magari di sfuggita ma che non ha potuto fare a meno di catturare la sua attenzione emotiva, come nella tela Ballo da sola, in cui immortala, stilizzandola, una donna nel momento in cui decide di liberarsi dalle catene costituite da ciò che la circonda, dalla folla spesso indifferente e altre volte invadente, per cominciare a ballare con il proprio ritmo, seguendo la propria musica, quella del suo intimo, quella che la guiderà nell’essere se stessa senza condizionamenti né vincoli. Le tonalità di quest’opera sono sfumate, fatte di colori primari come il bianco e il rosso a cui l’artista aggiunge l’ocra che sembra voler ancorare la protagonista alle sue certezze, alle sue abitudini, mentre il rosso si lega al fluire delle passioni da scoprire e da inseguire, che potrà trovare solo dopo aver compiuto il primo passo, quello di lasciar uscire alla luce la sua individualità.
Salvatore Stelletti ha esposto le sue opere in numerose collettive in Italia, in Europa e in America, riscuotendo grande consensi di pubblico e di addetti ai lavori.
SALVATORE STELLETTI-CONTATTI
Email: salvatore.stelletti@alice.it
Facebook: https://www.facebook.com/salvatore.stelletti
L'Opinionista® © 2008-2024 Giornale Online
Testata Reg. Trib. di Pescara n.08/08 dell'11/04/08 - Iscrizione al ROC n°17982 del 17/02/2009 - p.iva 01873660680
Pubblicità e servizi - Collaborazioni - Contatti - Redazione - Network -
Notizie del giorno -
Partners - App - RSS - Privacy Policy - Cookie Policy
SOCIAL: Facebook - Twitter - Instagram - LinkedIN - Youtube