Cultura

La nascita

Era nato in piedi. Un parto difficile. Le doglie erano cominciate all’improvviso una sera di novembre. C’era la guerra. Di notte “Pippo”, l’aereo americano, bombardava i luoghi illuminati.

Pochi giorni prima era morto un ragazzo di diciannove anni a due chilometri di distanza. Suo padre aveva inforcato la bici: era il primo figlio e l’ostetrica diceva che bisognava portare la donna in ospedale. L’autista del paese si rifiutò di mettersi in strada: i fari accesi potevano attirare le bombe.

“Prendo il cavallo e il biroccio e ti accompagno in ospedale”.

No” disse la moglie, “se devo morire preferisco morire nel mio letto, non lungo una strada su un biroccio tirato da un cavallo!“.

L’ostetrica era vecchia e brutta, Salì sul letto e cominciò a dare pugni sulla pancia della donna. Il cordone ombelicale era girato intorno al collo e tirava indietro. Era una stanza da letto al primo piano di una casa di campagna, riscaldata da una Becchi a legna, La giovane cognata assisteva inorridita. Finalmente verso le sette e mezzo del mattino il bimbo si decise a nascere: era una mattina serena e fredda di novembre.

Era nato un pò sottopeso: un mese prima sua madre era caduta mentre vendemmiava in quell’ottobre piovoso del ’44. Saliva e scendeva dallo scaletto, per vuotare i cesti d’uva nelle cassette ed era scivolata, Nessuno l’aveva portata dal medico nè dal ginecologo. La placenta si era parzialmente staccata: il bimbo non si nutriva bene ed era nato con venti giorni di anticipo.

Fatelo battezzare subito: questo bimbo non la scamperà” disse l’ostetrica. “Che cosa vuoi che sappia quella brutta vecchia!” pensava la donna e confidava nella Madonna.

Era sposata da quasi tre anni e aveva desiderato tanto un figlio. Il bambino era nato nel sacco amniotico e la placenta non era stata espulsa. La vecchia infilò un braccio nell’utero e la strappò malamente. La suocera non aveva niente di pronto per quel parto prematuro. Avvolsero il bimbo in una vecchia sciarpa e lo posarono in fondo al letto.

Tre giorni dopo venne il prete a battezzarlo. Ma il bambino voleva vivere, con tutte le sue forze, nonostante quel parto traumatico, il cordone intorno al collo, i pugni sulla pancia di sua madre. Cominciò a succhiare avidamente il latte. Mangiava e dormiva. Dormiva e mangiava. La madre si avvicinava timorosa alla culla per sentirgli il respiro: no, non era morto. Diventerà  come “Rondinello”, pensava (un ometto piccolo e minuto del paese), invece crebbe robusto e forte.

In febbraio lo portarono in chiesa col cavallo per completare il rito del battesimo, che a casa non si era fatto. La madre lo portava in campagna con sè, nella carrozzina, quando andava a fare le fascine.

Per fare il primo vestitino tagliò un pezzo di una delle sue camicie da notte. Era una lunga camicia di crespo di seta coloro salmone.

Era una donna coraggiosa, determinata e tenace. Era una donna forte e amorevole. Era mia madre.

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Pubblicato da
Pino Ezio Beccaria

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