Il desiderio di elevarsi dalla realtà contingente per tendere verso un ideale più affine alle proprie corde emotive costituisce una costante in molti artisti del passato ma anche e soprattutto, tra quelli appartenenti alla contemporaneità, proprio in virtù della pesante contingenza che l’essere umano, nel corso dei secoli, ha sempre dovuto affrontare. Nella protagonista di oggi il desiderio di trascendere la tangibilità per trovare un rifugio più elevato, più spirituale, è evidente in ogni tela, andiamo a scoprire come.
Il vivere attuale mostra molteplici sfaccettature in virtù le quali è fin troppo facile perdersi dentro la quotidianità e i risvolti complessi che da essa derivano, dall’attaccamento alle cose materiali al dover spasmodicamente raggiungere obiettivi di tipo pratico, dall’incomunicabilità alla gabbia del luogo comune e della generalizzazione, da cui gli artisti del Ventunesimo secolo a volte si lasciano travolgere e assorbire manifestando nelle loro opere la profonda inquietudine che ne ricevono. In altri casi invece, laddove la tendenza alla positività resta forte e incisiva grazie a un punto di vista più luminoso e aperto alle opportunità e alla capacità di cambiare tutto sulla base delle scelte personali, l’impulso creativo vira verso un idilliaco volgersi verso ciò che si nasconde dietro la contingenza. La Metafisica ha raccontato in molti modi questo bisogno di astrazione dalla quotidianità, questo cercare un rifugio della mente e dell’immaginazione per esplorare le sensazioni più profonde, intime, che si nascondevano dentro oggetti di uso quotidiano, come nelle opere di Giorgio Morandi, o all’interno di scenari improbabili a metà tra realtà e teatro e abitati da uomini senza volto per correlare la modernità con gli interrogativi e i misteri che da essa discendono delle opere di Giorgio De Chirico, per finire a quello che spesso viene definito surrealista ma che forse è stato il più metafisico tra i grandi esponenti del movimento a cui apparteneva, Rene Magritte, esattamente in virtù di quello spostare e creare una realtà parallela in cui associare natura ed enigma, senza sconfinare nell’incubo e nelle inquietudini degli altri esponenti del Surrealismo, raccontando la naturale tendenza dell’uomo ad andare oltre il visibile, descrivendone i sogni e la decontestualizzazione in cui spesso l’inconscio conduce.
Silvia Grazioli prende dai grandi maestri del passato la capacità di raccontare dettagli amplificandone l’importanza all’interno del contesto in cui sceglie di raffigurarli che spesso è solo cornice quasi monocroma destinata a fare da sfondo all’intensità delle immagini principali, seppur indispensabile per essere comprimaria del risultato finale nella cromaticità e nella capacità di mettere in risalto l’emanazione dei soggetti.
Non solo, ciò di cui racconta, dal fiore di Tarassaco al gabbiano, assume e associa la forma a concetti ben più profondi, esistenziali ma tutti attraversati dal respiro della speranza, delle possibilità, delle opportunità da cogliere dalle quali si generano nuovi panorami nella vita dei coraggiosi. Raccontano di rinascita le opere della Grazioli, di capacità di spiccare il volo per andare verso il proprio destino che si può compiere solo affrontando un viaggio di conoscenza di se stessi, di semplicità che diventa base solida su cui costruire la forza, la capacità di andare oltre l’apparentemente stabilito, la generalizzazione, e di trovare l’intraprendenza per scoprire un sentiero nuovo e inaspettato.
L’opera Oltre è particolarmente rappresentativa di questo tema, la farfalla protagonista infatti rompe uno schema, lei che per definizione incarna la delicatezza e la fragilità ma che in fondo Silvia Grazioli descrive ponendone in luce la resilienza, quella capacità di volare in alto nonostante le sue impalpabili ali; nella tela riesce ad aprire un varco che le permette di scoprire cosa si nasconda dietro un limite, un confine fino a quel momento conosciuto come termine di un mondo noto, e inoltrarsi verso un inesplorato che non necessariamente deve spaventare, tutt’altro, spesso diviene la migliore scelta, una possibilità ben più positiva di quella lasciata.
E ancora in Note libere l’artista sottolinea l’importanza dello staccarsi, come i piumini del Tarassaco, dalle proprie radici, dal proprio nucleo di crescita, per lasciarsi andare alle correnti della vita lottando contro le intemperie e cogliendo le opportunità che durante quel viaggio si dovranno affrontare uscendone rafforzati e consapevoli delle proprie potenzialità.
Nella tela Amore statico al negativo Silvia Grazioli sembra descrivere l’immobilità in cui a volte alcune storie si imprigionano, come se la loro volontà di tagliare un legame che non è quasi più una libera scelta sia paralizzata dal timore di tutto ciò che deriverebbe da quel distacco; i protagonisti sono raccontati senza volto, quasi senza più anima proprio in virtù della conclusione di un legame a cui è troppo difficile mettere la parola fine, stretti in un abbraccio automatizzato che deriva solo dall’abitudine e non ha più nulla del calore degli inizi.
Infine in Volto di mani la Grazioli racconta la manipolazione alla quale molti si lasciano sottoporre, per inerzia, per convenienza, per paura di far sentire la propria voce, concedendo così al manipolatore un potere che non avrebbe se solo si trovasse la determinazione di sfuggire a quel meccanismo di causa ed effetto. Una pittura intrisa di significati volti alla ricerca della leggerezza, all’inseguimento della speranza, della rivalsa, della libertà di cui il volo, che spesso è filo conduttore della sua narrazione, è metafora. Intraprende subito gli studi artistici Silvia Grazioli, seguendo una naturale inclinazione che le ha fatto scoprire la passione per il disegno quando era ancora una bambina, diplomandosi in Arte Applicata presso l’Istituto d’Arte di Trento; attualmente è membro del gruppo artistico di Bolzano Club Arcimboldo.
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