Attualità

La rivoluzione giovanile nel vestire

Nel corso degli anni Sessanta, i giovani sono diventati il gruppo sociale egemone sia a livello culturale sia nell’ambito dei consumi. Per la prima volta dotati di un reddito da spendere e di tempo libero a disposizione, si sono presentati sulla scena sociale e hanno cercato di esserne protagonisti, di rappresentare il modello di riferimento ideale dell’intera cultura del consumo, sfruttando anche il ruolo comunicativo svolto dai massa media. Tutti i consumatori, pertanto, hanno incominciato ad immaginarsi come giovani, allegri, spensierati e alla continua ricerca d’evasione.

I nuovi valori proposti dai giovani (abbandono delle convenzioni, libertà, dinamismo, velocità) hanno fatto rapidamente apparire obsoleta la vecchia eleganza di classe dell’alta moda, in quanto hanno stravolto l’assetto dell’intero sistema moda, che non può più operare come vetrina delle classi agiate. L’abito, da segno di distinzione sociale, si è sempre più trasformato infatti in uno strumento per soddisfare il proprio bisogno di lucidità, ma soprattutto in uno strumento di seduzione che consente di apparire più giovani. Imperversano così colori vivaci e aggressivi (rosso, giallo, viola), fantasie floreali, accostamenti audaci, camice trasparenti, capelli sempre più lunghi, trucco marcato attorno agli occhi, gioielli di plastica, collant di ogni colore e fantasia, scarpe con la zeppa, stivali e minigonne, che sono diventate sempre più corte sino a trasformarsi in hot pant.

Il rapporto “fisico” che si instaura tra il fotografo di moda da David Hemmimgs del film Blow up (1965) di Michelangelo Antonioni, non a caso ambientato proprio in quella Londra che si è rapidamente affermata in quegli anni come la capitale del nuovo mondo giovanile, rappresenta molto bene l’energia esplosiva che viene espressa dalla cultura giovanile di allora. É una metafora di quell’esigenza di liberazione del corpo e della sessualità dalle convenzioni sociali che è stata espressa dai movimenti giovanili. Esigenza che ha trovato nella sempre maggiore messa a nudo di ampie parti del corpo una precisa corrispondenza nell’ambito dell’abbigliamento, ma che, soprattutto, ha dato vita ad un modello nel vestire che è informale e libero dalle rigidità dell’abbigliamento: tradizionale: il “casual”. Un modello che da allora ha incominciato a diffondersi sempre più, attivando un processo di progressiva disgregazione delle regole seguite nel vestire che continua ancora oggi a svilupparsi.

La rivoluzione giovanile degli anni sessanta ha potuto verificarsi perché si è modificata la struttura sociale per effetto di un processo di redistribuzione del reddito, che ha prodotto, che ha prodotto un incremento delle risorse disponibili, e per effetto dell’estensione dello studio universitario, che ha innalzato il livello del gusto. Una nuova fascia medioborghese è arrivata così alla soglia del benessere e ha reclamato un abbigliamento adeguato alla condizione sociale. Ha reclamato cioè una moda realmente “democratica”, rifiutando il modello lussuoso e ostentato proprio dall’alta moda. La semplicità nel vestire ha trovato perciò una sua legittimazione sociale. Anche il corpo doveva essere essenziale e dinamico, come quello esemplare della modella Twiggy.

In Italia, l’irruzione dello stile giovanile nell’abbigliamento è avvenuto con qualche anno di ritardo. Nei primi anni sessanta, l’alta moda esercitava ancora una grande influenza sul modo di vestire. Gli studenti di liceo indossavano ancora giacca e cravatta e portavano i capelli corti. I primi a modificare il loro modo di vestire sono stati pertanto i ragazzi e le ragazze delle fasce meno elevate della popolazione. Dalla metà degli anni sessanta, questi, che si accostavano per la prima volta al benessere ed erano sostanzialmente privi di un solido retroterra culturale e di una rigida forma di educazione, hanno aderito con entusiasmo ad un abbigliamento innovativo e decisamente pop. Giannino Malossi (1987) ha scritto, a tale proposito, che all’epoca “Gli abiti usati tornavano in circolazione con una carica provocatoria nuova, inedita: erano stracciati, sbiaditi, andavano contro le leggi del decoro, ma proprio per questo attraevano una generazione che aveva imparato a giocare con il valore semantico degli abiti, a usare i vestiti come parole, per esprimere ironia, ilarità”.

I gruppi musicali e i cantanti che andavano per la maggiore hanno operato come un fondamentale strumento di diffusione delle nuove mode giovanili riguardanti l’abbigliamento. Il complesso beat Equipe 84 ha addirittura prestato la sua immagine a una catena di negozi di abbigliamento maschile.

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Pubblicato da
Pino Ezio Beccaria
Argomenti: moda

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