Nella storia dell’arte moderna l’imperativo di molti artisti è stata la forza espressiva in virtù della quale l’impeto creativo doveva fuoriuscire spontaneo, spesso senza assecondarsi a nessuna regola stilistica; nell’ambito di questa rivoluzione concettuale si sono delineati alcuni movimenti rimasti al di fuori dei grandi sistemi culturali dell’epoca, pur riuscendo a lasciare una traccia che ha avuto un largo e significativo seguito anche nella contemporaneità. Il protagonista di oggi appartiene a una di queste particolari correnti artistiche.
Intorno al primo ventennio del Ventesimo secolo l’attenzione di alcuni studiosi e artisti, in particolare quelli appartenenti al gruppo Der Blaue Reiter di cui faceva parte Wassilj Kandinsky, fu attratta dalle opere realizzate da pazienti degli ospedali psichiatrici per la spontaneità che presentavano e per l’assenza totale di regole e di schemi legati a una conoscenza accademica o storica. Nel corso degli anni successivi due psicanalisti, Walter Morgenthaler e Hans Prinzhorn, pubblicarono due libri dedicati alla produzione artistica dei loro pazienti contribuendo così ad accrescere l’interesse verso questo tipo di arte completamente libera e immediata in cui i pazienti liberavano le emozioni e i loro turbamenti raccontandoli attraverso disegni surreali narranti mondi scaturiti dalla loro mente; questo tipo di interesse aprì non solo la strada a quella che attualmente viene denominata Arte Terapia, ma anche al successivo riconoscimento da parte dell’artista francese Jean Dubuffet, intorno agli anni Cinquanta del Novecento, del valore artistico di questo approccio al punto di cominciare a collezionare molte di quelle opere e di identificarlo come un vero e proprio movimento che denominò Brut Art, letteralmente arte grezza, creata e vissuta al di fuori dai confini e dalle regole dell’arte ufficialmente accreditata. La corrente cominciò a diffondersi e a trovare consensi anche negli ambienti culturali, attualmente diversi musei in tutto il mondo sono dedicati a questo tipo di produzione espressiva, nonché a svilupparsi e trovare la sua naturale evoluzione nell’Outsider Art e nell’Art Singulier intorno agli anni Settanta. Quest’ultima risulta essere un’unione tra la spontaneità e la crudezza della Brut Art e una più profonda ricerca, un collegamento, con correnti del passato come il Surrealismo e il Cubismo pur restando gli appartenenti al movimento rigorosamente autodidatti e volutamente distanti dallo stile e dall’insegnamento accademico; il riconoscimento e l’acclamazione di questo tipo di arte ha raccolto via via più estimatori, sfociando in un’importante mostra che ha avuto luogo nel 1978 nel Museo d’Arte Moderna di Parigi. L’artista francese Benoit Drouart è un un esponente dell’Art Singulier, fondatore dell’Autonomous Collectif d’Arts Singuliers e membro di Arts Vifs Amiens, Picardie For Ever e Faiseurs d’Arts di Noyon; la sua ricerca artistica si fonda sul bilanciamento tra le origini più primordiali dell’uomo e il paradosso della contemporaneità in cui gli individui sono profondamente isolati pur essendo costantemente connessi attraverso una realtà virtuale che di fatto toglie spazio al contatto umano.
La sua figurazione è completamente libera da qualsiasi precetto stilistico, funzionale alle emozioni che l’artista desidera raccontare, e sebbene si possano riconoscere elementi e scenari vicini al Surrealismo e alla Metafisica la caratteristica principale di Drouart è la completa assenza di qualsiasi regola nella rappresentazione di un mondo esterno in cui il limite, l’inquietudine, l’amplificazione senza alcun elemento di moderazione, sembrano essere imperativi imprescindibili per esprimere il suo punto di osservazione della realtà che lo circonda.
Lascia emergere liberamente le angosce che investono l’uomo contemporaneo, quella consapevolezza di sentirsi in trappola all’interno di un mondo fatto di regole non imposte che di fatto però si trasformano in condizionamento e assoggettamento passivo, e l’incapacità di trovare il modo di uscire da quella gabbia.
Nell’opera Confinés (Confinati) Benoit Drouart descrive lo stupore e l’incredulità della profonda modificazione che ha subìto la società globale nell’ultimo anno a causa della pandemia e che ha indotto le persone a perdere certezze fondamentali come la libertà, la possibilità di lavorare, tutto in nome dell’emergenza sanitaria; i personaggi dell’opera appaiono in alcuni casi disorientati, in altri assuefatti, e poi ancora arrabbiati, tuttavia nessuno di loro sembra essere in grado di compiere un’azione per uscire da quell’immobilità.
Anche nella tela Santa Pandémia Drouart sembra ironizzare su quanto tutto ciò che è accaduto e continua ad accadere sembra essere in grado di condizionare la vita, i pensieri, l’approccio all’esistenza di molte persone, come se fosse una forza soprannaturale a cui inchinarsi e di cui seguire regole e disposizioni; appare come una Madonna la figura raccontata dall’artista, raffigurata nell’atto di cullare il simbolo del Covid come se fosse il figlio di una divinità superiore, quella del timore, della psicosi collettiva, del dolore, rappresentati dai rovi e dall’ambiente impervio e ostile posto sullo sfondo della tela.
Il tema della solitudine, del turbamento, della paura sono affrontati da differenti punti di vista, a volte più espressionisti altre invece più metafisici, come nell’opera La nuit (La notte) in cui la desolazione del paesaggio narrato è apparentemente attenuata dalla presenza rassicurante della luce all’interno dell’abitazione pur lasciando permeare l’ostilità di ciò che è esterno, come il tronco d’albero con un lungo ramo avvolto su se stesso che sembra esprimere le insidie e le complicazioni del vivere, o il cielo rosso, aggressivo, minaccioso, perché in fondo l’esterno rappresenta sempre un’incognita, un enigma per gli eventi che si possono susseguire malgrado l’illusione dell’individuo di sentirsi al sicuro all’interno del nido che ha costruito per proteggersi. Benoit Drouart non si misura solo con la tela bensì crea anche sculture simili a idoli pagani, in cui lascia emergere il suo sguardo critico sull’evoluzione che l’essere umano ha compiuto, quella trasformazione che doveva essere sviluppo e che invece lo ha condotto verso la dissoluzione dei valori e delle certezze a cui avrebbe dovuto tendere.
La scultura Les trois ages de la vie (Le tre età della vita) è simbolo di questo percorso, laddove la gioventù è associata alla prima fase della società, quella iniziale e più pura nella quale predominavano gli ideali e il desiderio di mantenere vive le caratteristiche preziose e spontanee degli avi; l’età adulta invece racconta di un percorso tortuoso durante il quale l’essere umano ha perduto il contatto con se stesso e con ciò che è giusto e sbagliato, uniformandosi a un’evoluzione sociale che troppo spesso tende a non andare nella direzione migliore; e infine la morte che simboleggia l’annullamento dei valori, della cultura, dei princìpi che avrebbero invece potuto essere la salvezza dell’umanità.
Eclettico artista Benoit Drouart è anche professore di arti visive, consulente artistico per una fondazione privata e per la galleria Artech Corner di Noyon nell’Oise, è scenografo per la sua compagnia di Street Art, nonché esecutore di murales, e illustratore. Le sue opere sono rappresentate da due gallerie nella sua regione in Piccardia, espone in Francia, ma anche all’estero, in Inghilterra, Croazia, Montenegro e vendute regolarmente anche negli Stati Uniti.
BENOIT DROUART-CONTATTI
Email: bdrouart@yahoo.com
Sito web: www.benoitdrou-art.com
Facebook: https://www.facebook.com/benoit.drouart.3
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