L’opera di Eva Fischer sarà esposta in occasione del Trentesimo Anniversario dallo storico abbraccio tra Papa Giovanni II e Rav Elio Toaff
ROMA – Dal 14 aprile al 14 luglio al Museo Ebraico di Roma (Largo Stefano Gaj Tachè – Tempio) mostra “1986 – 2016 Trentesimo anniversario dallo storico abbraccio tra Papa Giovanni Paolo II e Rav Elio Toaff”. Presente l’opera disegno a carboncino di Eva Fischer dal titolo “L’abbraccio” esposta al Museo Ebraico di Roma in occasione del Trentesimo Anniversario dallo storico abbraccio tra Papa Giovanni II e Rav Elio Toaff
Eva Fischer (1920-2015) è stata l’ultima testimone della Scuola Romana del dopoguerra. Amica di Picasso, Chagall, De Chirico, Dalì e di altre personalità culturali del XX e del XXI secolo, ha esposto in oltre 130 personali e le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
Celebri fra le sue tematiche, i mercati di Roma, le Biciclette, le Architetture Mediterranee. Il “diario segreto” legato alla Shoah che le strappò il padre ed altri 32 familiari, è stato esposto con successo allo Yad Vashem, dove sono rimaste tre opere nella collezione permanente. Altre trenta opere di questa serie costituiscono lo “Eva Fischer Fund” presso il Municipal Center di Kfar-Saba.
“Artista Europeo” dai primi anni ’80, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti ed il Presidente della Repubblica Napolitano l’ha insignita per decreto, dell’Onorificenza di Cavaliere del lavoro al merito della Repubblica Italiana.
Nelle sue opere è costante il gioco delle trasparenze frutto del suo stile personalissimo. Il lungo percorso pittorico è ricco di melodie dai romanticismi melanconici, dai racconti di vita vissuta o di vita calpestata. Riferendosi alla dimensione artistica del ventunesimo secolo, Eva Fischer era solita affermare che “è arte solo quel che provoca emozioni”.
Nel Museo ebraico di Roma sono custodite alcune delle vetrate che lei realizzò su richiesta di Salvatore Fornari e dell’eterno amico Elio Toaff. Un mese dopo il celebre incontro tra il Rabbino Capo Toaff ed il Papa Giovanni Paolo II, realizzò, invitata dal servizio televisivo pubblico, Il disegno a carboncino di cm. 70×50 esposto in questa mostra. L’opera fu in seguito riprodotta in copertine di libri e nell’anno giubilare 2000 fu scelta come tema principale dell’Infiorata di Genzano.
Quando nel 1989 venne presentato per la prima volta il “diario segreto”, il prof. Elio Toaff scrisse:
“… Ma perché Eva Fischer ha mostrato solo oggi queste sue opere così malinconiche e drammatiche? lo credo, anzi sono sicuro, che un sentimento profondo ha ispirato l’idea di questa mostra, in questo momento. L’antisemitismo con tutte le sue aberrazioni è sempre in agguato ed anche oggi ne avvertiamo la presenza sciagurata e allarmante. E allora questi quadri vogliono richiamare la gente, il pubblico, ad una riflessione onesta e meditata. 16 Ottobre, Fosse Ardeatine, campi di sterminio, treni piombati, occhi grandi scavati, pieni di terrore e di tristezza, sono i temi e le raffigurazioni che ci vengono presentate con tutto il loro sconvolgente significato. Ma una nota di speranza ho creduto di individuare in queste tragiche espressioni figurative: quella stella di David, graffita nel muro delle Fosse Ardeatine o di Via S. Ambrogio, quando appare nitida in mezzo ad un turbine vorticoso che sembra tutto travolgere, mi sembra che sia un segno di fede profonda, direi di certezza assoluta, che il popolo ebraico, malgrado tutto, sopravvivrà”.
BIOGRAFIA – Il mondo di Eva Fischer Eva
Fischer è nata a Daruvar (Ex Jugoslavia), nel 1920. Il padre Leopoldo, Rabbino Capo ed eccellente talmudista venne deportato dai nazisti. Sono più di trenta i familiari di Eva scomparsi nei lager. Negli anni precedenti la guerra, Eva Fischer si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Lione e fece ritorno a Belgrado in tempo per subire i vandalici bombardamenti nazisti sulla città (1941) senza dichiarazione di guerra. Ebbe così inizio un periodo travagliato fatto di fughe e costellato da privazioni e duri sacrifici.
Insieme alla madre e al fratello minore, Eva venne internata nel campo di Vallegrande (Isola di Curzola) sotto amministrazione italiana che non conobbe (Eva è lieta di dirlo) ferocia alla pari di quella nazista. Per una malattia materna ebbe un permesso d’assisterla insieme al fratello, nell’ospedale di Spalato dove ancora ottenne un permesso di trasferirsi a Bologna. Eravamo nel 1943 ed Eva Fischer con i suoi si nascosero nella città sotto il falso nome di Venturi. Ella ricorda spesso quel tempo infausto ove però la mano dei buoni non si sottraeva al pericolo di dare aiuto e solidarietà ai perseguitati. Fu determinante allora l’aiuto di Wanda Varotti, Massimo Massei ed altri ancora del Partito d’Azione.
A guerra finita Eva Fischer scelse Roma come sua città d’adozione: intenso è l’amore che ella porta a questa città. Entrò immediatamente a far parte del gruppo di artisti di Via Margutta coi quali contrasse indelebili amicizie. Di quel periodo è la sua amicizia e consuetudine con Mafai e Guttuso, Tot, Campigli, Fazzini, Carlo Levi, Caporossi, Corrado Alvaro e tanti di quella generazione di artisti che avevano maturato idee luminose entro il buio della dittatura. Intensa fu l’amicizia con De Chirico, Mirko, Sandro Penna e Franco Ferrara allora già brillante direttore d’orchestra; venne così il tempo di lunghe e notturne passeggiate romane anche con Jacopo Recupero, Cagli, Avenali, Giuseppe Berto e Alfonso Gatto nonché Maurice Druon non ancora ministro della cultura francese che andava scrivendo le pagine de “Le grandi famiglie”.
Fu in quel tempo che Dalì vide e s’innamorò dei mercati di Eva mentre lo stesso Ehrenburg scrisse sulle “umili e orgogliose biciclette”. Con Picasso s’incontrarono nella bella casa di Luchino Visconti parlando a lungo d’arte contemporanea e del sussulto intimo che porta alla creatività. Picasso la esortò a progredire nella luce misteriosa delle barche e delle architetture meridionali.
Venne così il tempo di Parigi dove Eva abitò a lungo a Saint Germain des Près e cercò di Marc Chagall divenendone amica devota e profonda ammiratrice. Egli le raccontava di sogni colorati nonché del fascino dei racconti biblici. Zadkine ospitò generosamente Eva ammirandone il coraggio d’una ricerca intensa e costruttiva e il fascino d’una cultura mitteleuropea tutt’altro che trascurabile. In quell’epoca Eva Fischer realizzò “paesaggi romani” con le loro trasparenze e lontananze come se il tempo si fosse in qualche modo fermato sulle rovine della Città Eterna.
Dunque venne la volta di Madrid. Qui la pittura di Eva Fischer – finalmente esposta nei musei – fu al centro di dibattiti nell’Atelier di Juana Mordò fra l’artista marguttiana e i pittori spagnoli ancora in lotta contro il franchismo. Eva portò loro la testimonianza di un’arte rinata in un mondo libero fatta di tentativi nuovi, magri discutibili ma al cospetto di tutti gli sguardi e tutti i giudizi.
Negli anni sessanta Eva Fischer fu a Londra dove espose nella più esclusiva Galleria della City, quella Lefevre che aveva concesso l’ultima “personale” al pittore italiano Modigliani. La Galleria Lefevre ospitò i quadri di Eva per i “suoi colori mediterranei e l‘italianità” delle sue tele. Il mondo della Fischer è fatto di brevi migrazioni ovunque il suo estro l’ha chiamata: da Israele ove dipinse mirabili tele di Gerusalemme e Hebron (molto note sono le vetrate del Museo israelitico di Roma) fino agli U.S.A. dove conta numerosi collezionisti ed estimatori, fra i quali gli attori Humphrey Bogart (fu la moglie Laureen Bacall a donargli la prima opera) e Henry Fonda.
Pur essendo la sua arte conosciuta nel mondo, parlava di sé con assoluta modestia tipica di questa donna coraggiosa ed intelligente, dallo sguardo pulito e profondo nonostante gli affronti degli uomini in quei tempi disumani. Ella non condannava costoro con rabbia e vendetta ma sì con questa mostra di quadri malinconici e grigi, con sguardi di uomini stupiti prim’ancora che smarriti e di bambini immobili nel gelo dei vagoni appiccicati a treni senza ritorno. Eva è morta a Roma nel luglio 2015.
A cura di di Alan D. Baumann