Il poeta sardo della Gallura, Pasquale Ciboddo, continua i suoi itinerari lirici con questa pubblicazione del novembre 2024, edita, con la prefazione di Michele Miano, nei tipi della collana di testi letterari Alcyone 2000, appartenente alla produzione della milanese Casa Editrice Guido Miano.
Pasquale Ciboddo è uomo d’altri tempi, non nel senso riduttivo del termine, ma nel suo significato altamente positivo, ovvero quello di persona, intellettuale e scrittore sempre coerente con i valori della società in cui è nato, cresciuto, e vissuto fino ad oggi, mantenendo radici e identità culturali e geografiche intatte. È così che possiamo senz’altro definirlo come un autentico testimone del tempo, che ha quindi resistito alle sirene consumistiche e agli illusori miti di un progresso disumanizzante, per ergersi a portabandiera e simbolo di un’altra civiltà: il mondo contadino-agreste-pastorale dell’economia degli stazzi, un microcosmo autarchico dell’entroterra sardo legato ad una rete sociale e umana di fratellanza, solidarietà, lavoro, ideali in via di estinzione.
Tale premessa è necessaria per comprendere a fondo la genesi, l’origine della poetica di Ciboddo, espressione ed epifania di un’etnia particolare ma, nel suo caso, non chiusa in se stessa, bensì aperta alle istanze universali dell’anima artistica che ogni sensibilità creativa possiede. La poesia dell’autore deriva essenzialmente dagli incanti, dalle ragioni di esistere, dalla vita dura del passato che è, allo stesso tempo, ora, quale un bel sogno vissuto e quindi non più revocabile ma, come dice egli stesso, ancora vivente nelle memoria. È dunque la ricerca del tempo perduto il centro delle sue liriche, sebbene nella presente silloge emergano altre componenti tematiche, altri motivi d’ispirazione: il profondo desiderio della pace duratura per l’umanità distrutta e divisa dalle guerre; la condanna di ogni riduzione e minimalizzazione dei sentimenti umani altruistici; lo sguardo cognitivo oltre i confini della terra isolana natia; l’amore per la spiritualità e la religiosità dei padri, contemplanti una fede semplice al servizio del bene, contro le forze diaboliche del male.
Pasquale Ciboddo si è prefissato un programma per il suo fine-vita; l’ha scritto nella prima lirica del libro, in piena coscienza e lucidità: “Chi sarà il bastone / della mia vecchiaia? / Vivo solo, dopo la morte / della mia cara mamma. / Già vecchio, cucino / e mangio con la speranza / di campare a lungo. / Prego e scrivo poesie / e racconti sulla storia / del mio vissuto a contatto / con la natura dove sono nato, / cresciuto e incanutito. / Spero che il Signore mi / aiuti a essere sano e indipendente / sino all’ora della morte” (Prego e scrivo). Il suo stile semplice, diretto, scarno e senza fronzoli ci mostra subito la tempra di un uomo che ama l’essenzialità della vita, così ben rappresentata dall’immagine degli ossi di seppia montaliani. Da questi versi paradigmatici possiamo già trarre alcuni motivi a lui cari. La natura è interpretata come la casa propria, come le radici da non divellere senza dolore e lacerazioni: la natura inoltre È poesia (“Immersi in un mondo / senza tempo / le nostre radici / rinascono / dalle proprie ceneri. / Il tempo trascorso / diventa l’alba / di vita nuova. / E poi la natura / è poesia”. Madre terra è come un teatro all’aperto e i monti maestri muti di vita (Un teatro): immagine, quest’ultima, reminiscenza di derivazione goethiana, con uomini “discepoli silenziosi” delle montagne. Così il canto nostalgico si risveglia nel ricordo del garrire armonioso delle rondini … “musica e poemi / del tempo passato” (Rondini). La luna dei poeti, in lui non è quella leopardiana da interrogare sui quesiti esistenziali, né quella degli innamorati, ma un corpo celeste che aiuta la Terra a non essere un solo deserto (Per arricchire). La religiosità non ha in lui bisogno di problematiche complesse, ma si sviluppa nell’umiltà e nella semplice lode al Signore, nel vivere in pace le beatitudini spirituali, nella fiducia nell’opera della Provvidenza di manzoniana memoria.
E il viaggio nella memoria ricostruisce molti momenti del passato, tra cui l’allevamento in Gallura, la scomparsa del già citato mondo degli stazzi, la malinconia per il declino delle iniziative culturali, la tristezza per la fine dell’arte delle “chiudende” (muri a secco) … ma l’andare a ritroso nel tempo ha una funzione importante: tenere in vita ciò che si è stati, l’essere che fu. Il poeta sa che è vicino il momento dell’addio, il distacco dai beni terreni; ma la brevità della vita (Seneca) fa dire a Ciboddo: “E si è subito vecchi” (che è come “Ed è subito sera” di Quasimodo”). Tuttavia egli aggiunge da credente: “La speranza di vita eterna / si trova nell’al di là”.
Enzo Concardi
L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura (Sardegna), nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti in Italia (è conosciuto anche a Cuba), e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici. Ha conseguito molti premi e riconoscimenti.
SCHEDA DEL LIBRO
Pasquale Ciboddo, Labirinti della memoria, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-45-5, mianoposta@gmail.com.