Credo sia stato fondamentale, come in ogni cosa, non solo nell’arte. Le esperienze della vita sono quelle cose che plasmano ciò che io chiamo “structure mentis” (analogo di forma mentis) che dal latino si ricollega direttamente ad “animum”. In sintesi la nostra anima, la nostra coscienza, è associabile ad un pezzo di argilla perennemente plastico e malleabile nel corso della vita, che si deforma e lascia l’impronta di ogni esperienza vissuta. Più essa è pregnante di dettagli, più informazioni essa può comunicare.
L’anima è un po’ come un’opera d’arte, in fondo. A volte certe esperienze ti segnano tanto da cambiare completamente tal struttura. Da quello che so, con una media di circa 7 anni, c’è un riciclo completo della propria personalità proprio a causa delle esperienze che rimodellano la nostra scultura metafisica interiore, il nostro manichino di De Chirico se vogliamo, e cambiamo senza nemmeno accorgersene. Noi siamo evoluzione, siamo mutamento, siamo vita, sia dentro che fuori. Siamo il respiro dell’universo, appunto.
Tutto è nato per gioco circa 7-8 mesi fa in seguito ad un blackout causato da una forte tempesta che portò alla fusione di alcuni circuiti del mio PC. Mi ci trovai dunque costretto a fare tutto quello che facevo prima con il computer tramite lo smartphone. Parallelamente, in quel periodo, nasce anche la mia passione per la fotografia, probabilmente influenzato dal mio migliore amico e dalla sua professione.
Dunque, un po’ per gioco, tra fotografia ed esplorazione del mio dispositivo nel quale scoprì l’esistenza del programmino di editing preinstallato (photostudio) che mi offriva la possibilità di applicare i filtri base della fotografia, nacque questa espressione artistica. Ironia della sorte, il gioco a il Caso portarono alla nascita di un espressione testimone proprio del gioco e del Caso. In qualunque posto mi ci trovassi, specie durante i viaggi, mi soffermai sempre a guardarmi intorno per cercare qualcosa che attirasse la mia attenzione. Che si tratti di complessi caratterizzati da forme particolari, insieme di colori vibranti, disposizioni atipiche nello spazio o altro, era ed è tutt’ora un buon movente per fare foto. Poco importava quale argomento rappresentasse il/i soggetto/i in questione perché a me non interessava il cosa ma il come.
Le foto, dopo la scelta dello scatto migliore, ossia con maggiore potenziale e mai semplicemente per l’apparente qualità (anzi, spesso troppa definizione guastava), si procedeva con l’editing. Qui il gioco entra nel vivo. Mi sono sempre divertito a bruciare le foto, contrastare, aggiungere i filtri rgb, luminosità, saturazione, applicare negativi per poi lavorarci lì e magari riapplicarlo nuovamente, usare l’effetto hue che non manca mai nei miei lavori, eccetera. Tutti filtri base ma potentissimi insomma.
I risultati spesso vedevano l’isolamento di alcuni pixel in una sorta di sfumatura digitale, quello che molti definirebbero errore, se gestito bene è arte. Anzi proprio quegli errori sono il punto forte. Come in un quadro il tocco diventa l’impronta del pennello, qui i pixel sono il tocco del pennello digitale e la loro gestione è analoga alla mano dell’artista, alla pressione applicata al pennello, alla densità del colore utilizzato, e così via, cambia solo che la bozza di partenza è la realtà stessa. Ci tengo a precisare che i miei lavori non sono mai contraddistinti da montaggi ma solo da filtri applicati all’intera immagine.
Adoro pensare che ciò che faccio non è uno sforzo di creazione ma di visualizzazione, ricerca o decodificazione di messaggi nascosti. È il mondo vero visto con un ipotetico obbiettivo che applica tutti quei filtri, un occhio alieno insomma. Una volta soddisfatto dal risultato, anche se, come diceva Warhol, “non so mai quando un’opera d’arte sia veramente finita”, si procedeva all’esplorazione, ossia al ritaglio (che non sempre avviene) del riquadro con maggior forza comunicativa ed in fine alla nomenclatura. Mi piace sempre dire che non sono io a scegliere il nome dell’opera ma è il quadro stesso ad auto-battezzarsi comunicando con me… Insomma, la mia arte non è altro che la continua ricerca del noumeno di tutto ciò che mi circonda. Tutto ha un messaggio nascosto, basta saper guardare.
Sì, non perdo mai l’occasione di andare in qualche museo quando mi sposto in giro per l’Italia o fuori. Mi è anche capitato più di una volta di perdere il treno facendo così. Ho la mia piccola comunità di amici/artisti con cui non perdo mai la possibilità di confrontarmi oltre che stare insieme a goderci la vita.
L’arte, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, sta vivendo un forte declino empirico e calo d’interesse da parte delle nuove generazioni. Il che è terribile. È paradossale, sapete? Molti giovani sognano di diventare “artisti”, spesso tramite la musica o la cinematografia, ma non di fare arte. Si cerca sempre di più la conferma, la notorietà, forse scaturita dall’insicurezza che la società attuale ci propone.
Per declino empirico intendo che i nuovi artisti si stiano spingendo sempre più alla ricerca di nuovi mondi, il che è bene se non fosse a discapito di un progressivo rifiuto della realtà che ci circonda. Credo sia un bruttissimo segno per la nostra società attuale perché, come possiamo ricordare, è avvenuto lo stesso fenomeno prima delle due guerre mondiali come il surrealismo, il futurismo, il dadaismo, eccetera. Gli artisti, avendo una sensibilità particolarmente sviluppata, sono i primi ad avvertire vibrazioni negative e, forse inconsciamente, ricercano la pace e la tranquillità perduta dentro sé stessi, chiudendosi spesso nei confronti mondo esterno.
Anche io lo faccio, lo ammetto, ma cerco di stare borderline nei confini tra reale e fantasia. A livello artistico, queste manifestazioni, sono una lama a doppio taglio perché, se da una parte l’espressione finale risulta più individuale e vera, dall’altra è più ermetica ed incomprensibile. Bisogna ricordare che il mondo dell’arte non è fatto da solo artisti ma anche da spettatori. Se non siamo capaci di comunicare con il nostro pubblico, indifferentemente da cosa, fossero anche solo cose stupide fini a sé stesse, basta che si comunichi, allora in parte abbiamo fallito dal momento che l’arte dev’essere comunicazione oltre che estetica.
Noi stiamo portando avanti una tradizione antica da millenni, siamo creatori di una ragnatela invisibile che collega l’umanità e la tiene unita. Il linguaggio visivo è stato la prima forma di comunicazione davvero divina, capace di sconfiggere le barriere del tempo. C’è magia nell’arte e noi siamo i maghi. Dobbiamo portare avanti questa magia, il mondo deve continuare ad evolversi, abbiamo un compito importante.
Sto lavorando a un progetto che vede la fusione di diverse espressioni artistiche in una sola grande opera/progetto: letteratura, poetica, pittura, scultura, musica (se avrò i fondi anche cinematofrafia), filosofia (in particolar modo e spiccatamente la teologia) e persino ma soprattutto la matematica, per quello che le mie capacità mi consentirà. L’importante è portare all’umanità l’idea, il messaggio. Ho anche detto troppo, bisognerà aspettare, per ora mi divertirò a giocare con la realtà come ho fatto fino ad ora nelle opere che propongo.
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