La necessità di alcuni artisti di andare a reinterpretare il visibile astraendosi dalla contingenza per effettuare una ricerca diversa e più affine alla loro indole espressiva, si manifesta in alcuni casi con stili che sfuggono alle definizioni, alle delimitazioni e alle regole, almeno a quelle imposte dall’esterno che fungerebbero da ostacolo alla libera personalizzazione dell’autore. La scelta di avvicinarsi alla decontestualizzazione narrativa sottolinea da un lato l’esigenza di dar vita a una cifra stilistica indipendente dall’osservato e dalla contingenza troppo concreti per assecondarsi alle corde interiori dell’esecutore, dall’altro di mescolare stili e influenze in virtù delle quali riuscire a delineare una visione nuova degli elementi e dei soggetti che catturano l’attenzione rappresentativa di un creativo. Il protagonista di oggi fonde gli elementi più distintivi di correnti artistiche del passato per generare un linguaggio originale e riconoscibile per la sua unicità.
Gli albori del Ventesimo secolo furono contraddistinti da una vivacità artistica attraverso cui i suoi maggiori interpreti segnarono il distacco netto da tutta l’arte precedente e soprattutto da un legame estetico con la realtà contingente che sembrava non essere al passo con i tempi, non era più sufficiente a rappresentare la modificazione della società post rivoluzione industriale in cui tutto era più veloce, in cui la nuova tecnica fotografica si stava affermando dando un’interpretazione più veritiera dell’osservato. L’arte si trovò dunque a dover essere più di una semplice riproduzione perfetta del visibile e doveva spostarsi verso un’irripetibilità che la contraddistinguesse; fu in questo contesto che alcuni artisti scelsero di distaccarsi completamente dalla realtà per dare vita all’Arte Astratta, al Futurismo e al Cubismo, ciascuno con caratteristiche uniche ma tutti con la particolarità di ampliare il principio della frammentazione dell’immagine anticipata dagli impressionisti e poi enfatizzata dai puntinisti, e di estremizzarlo introducendo il concetto di geometricità. Malgrado la tendenza razionale e analitica di quel periodo vi fu però Wassily Kandinsky, considerato il fondatore dell’Astrattismo, che con lui venne declinato in Lirico, che mantenne un legame emozionale con le sue opere create ascoltando la musica di Richard Wagner e di Arnold Schönberg arrivando persino ad abbinare i colori alle note, ma soprattutto le sue figure indefinite e immaginarie sembrano muoversi sugli sfondi sfumati e irreali quasi come danzassero sulla tela. La sua spinta avanguardistica gli permise di non avere regole ben definite donandogli pertanto la libertà di introdurre linee, forme geometriche o figure più indefinite, all’interno delle sue affascinanti e coinvolgenti tele. Poco dopo però, l’avvento del Neoplasticismo e del Suprematismo, generarono un’inversione di tendenza e un allontanamento dalle linee guida di Kandinsky, andando a spostarsi verso un rigore geometrico e cromatico che da un lato rifiutava ogni soggettivismo ed emozionalità e dall’altro non cercava il coinvolgimento dell’osservatore se non attraverso la freddezza del plasticismo. Il Neoplasticismo rigoroso di Piet Mondrian e Theo Van Doesburg, in cui le uniche forme ammesse erano le linee, il rettangolo e il quadrato, e la gamma cromatica limitata ai soli colori primari, si associava e al contempo di dissociava dal Suprematismo di Kazimir Malevic, dove le figure sembravano essere in equilibrio disordinato ammettendo così l’obliquo, il triangolo e il cerchio ripudiati da Mondrian perché ritenuti impuri. Il punto di vista del Suprematismo fu poi approfondito e ampliato con una maggiore gamma di colori con il poco successivo Astrattismo Geometrico. L’artista di origini sarde Franco Pintus dà vita nella sua nuova produzione a una ricerca che appare come una sintesi delle influenze De Stijl per quanto riguarda l’introduzione di linee rette e dei colori primari in alcune opere, mescolate alle forme sospese e in costante bilico di Wassily Kandinsky e di Kazimir Malevic così come di quel lirismo che infonde nell’osservatore il senso di movimento, di quella ritmica che appartiene alle cose e alle figure che compongono le sue opere;
non solo, l’introduzione di alcuni elementi appartenenti all’esperienza tangibile, a ciò che lo sguardo conosce e riscontra nella realtà, sebbene completamente decontestualizzati e introdotti a generare un effetto di rottura, un tromp l’oeil nella regolarità geometrica delle figure che costituiscono i suoi personaggi sono fortemente collegabili all’esperienza Metafisica. L’influenza di quest’ultimo movimento artistico sulle opere di Franco Pintus, si svela anche nella rappresentazione dell’individuo sotto forma di manichino senza volto, perché ciò che conta è la sua essenza e la sua presenza all’interno di un contesto privo di spazio e di tempo, dentro una regolarità che in qualche modo rappresenta quasi un mondo immaginario all’interno del quale lasciarsi andare ai pensieri, alle sensazioni e all’ascolto del sé.
Dunque il richiamo alle tele di De Chirico viene qui completamente adattata alla poetica espressiva di Franco Pintus che non si distacca mai troppo dall’Astrattismo Lirico di Wassily Kandinsky, né tanto meno dalle influenze del Suprematismo e di un Cubismo appena accennato dove la frammentazione è decisamente più scomposta e isolata nei singoli elementi, piuttosto che sovrapposta come nelle tele di Georges Braque, nonché arricchita dalle tonalità vivaci e piene che avevano contraddistinto l’Astrattismo Geometrico e il Cubismo Orfico.
Le tele dedicate alla musica sono quelle in cui emerge in maniera più evidente l’intenzione pittorica che guidava Kandinsky, perché le figure di Pintus, pur essendo apparentemente statiche, riescono a far vibrare con le loro note tutto ciò che è intorno, come in Auditorium dove la suggestione del teatro evocato nel titolo e anche attraverso le poltrone del piano inferiore della tela e dunque sottostanti al musicista, e generano quell’eco che avvolge la sala tanto quanto l’emozionalità degli ascoltatori. La geometrizzazione del violoncello richiama alla memoria una delle tante opere dedicate da Braque agli strumenti ad archi eppure, nonostante la rigidità della forma tutto sembra ammorbidito dalla magia della musica che induce il personaggio al centro della scena a lasciarsi andare all’armonia delle note che ravvivano persino i colori del sipario e del buco nero posto al di sotto del protagonista. In questa opera emerge la simbologia di Franco Pintus in cui la musica, non intesa solamente quale melodia a sé stante, ma soprattutto come suono armonioso generato dalla natura, dal cosmo e dalla positività, riesce a scacciare i mali esistenziali del mondo sia fisici che spirituali, rappresentati dalle frecce, concorrendo a imbrigliarli idealmente con la fascia e a imprigionarli per poi gettarli nel buco nero, il cerchio a destra in basso che trattiene una freccia, affinché scompaiano per sempre.
Nell’opera Nazca invece, Franco Pintus ricorre alle linee del Neoplasticismo, sebbene introduca la diagonale rifiutata da Piet Mondrian, per enfatizzare il mistero di quei disegni tracciati sul terreno e visibili solo dall’alto che caratterizzano la località peruviana; oltre la rigorosità c’è tuttavia il possibilismo, quelle macchie indistinguibili che vanno a rompere l’equilibrio, sia dal punto di vista cromatico che da quello formale, sottolineando così l’imperscrutabile che appartiene alla vita e che lascia a volte segni incomprensibili eppure tangibili. L’impronta De Stijl sopraggiunge per cercare di contenere l’enigma, di far rientrare all’interno dei ranghi e della consapevolezza anche ciò che continuerà a sfuggire a causa della sua capacità di appartenere a una dimensione differente e probabilmente inconoscibile; i due circoli sembrano dunque contrassegnare due mondi diversi, paralleli e distinti che non potranno mai incontrarsi per trovare un punto comune perché uno appartiene alla luce della conoscenza, l’altro all’ombra di un inspiegabile che sfugge al controllo della ragione.
Piani composti appartiene invece alla produzione più Metafisica di Franco Pintus, dove l’elemento della realtà, una sorta di lenzuolo o di velo appeso a due chiodi che contribuiscono a drappeggiarlo, sembra trovarsi lì per infondere allo sguardo un riferimento di equilibrio all’interno di un contesto fluttuante, quasi come se le figure geometriche navigassero sullo spazio circostante in attesa di una loro collocazione definitiva oppure, al contrario, sfuggendole per continuare la loro spinta evolutiva verso un ordine diverso teso a evidenziare la modificazione costante di tutto ciò che appartiene all’esistenza.
Franco Pintus non si limita però alla pittura bensì si misura anche con la scultura in 3D, confermando così la sua attitudine sperimentale che in questo caso emerge dall’utilizzo di nuovi mezzi di cui si avvale per enfatizzare la sua appartenenza all’Astrattismo Lirico e per confermare quanto la sua fonte di ispirazione resti il maestro fondatore dell’Arte Astratta così come il fondatore del Suprematismo; la particolarità più distintiva delle sculture è che esse sono la materializzazione materica dei suoi dipinti, quasi l’artista volesse proiettare nell’ambiente circostante le sue geometricità che così attraversano lo spazio in maniera inaspettata cercando l’equilibrio che continua a sfuggire, dove i colori primari vengono attenuati dall’introduzione di variazioni di tono e di altre sfumature che vanno ad arricchire il risultato finale aprendosi al possibilismo e allontanandosi dal rigore.
Nel corso della sua carriera all’interno del mondo artistico Franco Pintus ha partecipato a mostre collettive a Roma, Mestre, Terni, Venezia e all’estero a Palma de Maiorca, Zurigo, Miami, New York e nello stato del Lussemburgo. Ha esposto come ospite all’edizione di Ottobre 2024 della mostra della storica Associazione dei Cento Pittori di via Margutta.
FRANCO PINTUS-CONTATTI
Email: pintus.franco1@gmail.com
Sito web: www.francopintus.com/
Instagram: www.instagram.com/francopintus.54/
The need of some artists to reinterpret the visible by abstracting themselves from contingency in order to carry out a different research more akin to their expressive nature, manifests itself in some cases with styles that elude definitions, delimitations and rules, at least those imposed from the outside that would act as an obstacle to the author’s free customisation. The choice of approaching narrative decontextualisation emphasises, on the one hand, the need to give life to a stylistic cipher independent of the observed and the contingency too concrete to go along with the author’s inner chords, and on the other hand, to mix styles and influences by virtue of which it is possible to delineate a new vision of the elements and subjects that capture the representative attention of a creative. Today’s protagonist blends the most distinctive elements of artistic currents of the past to generate an original language recognisable for its uniqueness.
The dawn of the 20th century was characterized by an artistic vivacity through which its greatest interpreters marked a clear break with all previous art, and above all by an aesthetic link with contingent reality that seemed to be out of step with the times, no longer sufficient to represent the changes in post-Industrial Revolution society in which everything was faster, in which the new photographic technique was asserting itself by giving a more truthful interpretation of the observed. Art therefore found itself having to be more than a simple perfect reproduction of the visible and had to move towards an unrepeatability that would distinguish it; it was in this context that certain artists chose to detach themselves completely from reality to give life to Abstract Art, Futurism and Cubism, each with unique characteristics but all with the particularity of extending the principle of the fragmentation of the image anticipated by the Impressionists and then emphasised by the Pointillists, and of taking it to extremes by introducing the concept of geometricity. In spite of the rational and analytical tendency of that period, however, there was Wassily Kandinsky, considered the founder of Abstractionism, which with him was declined into Lyricism, who maintained an emotional link with his artworks created by listening to the music of Richard Wagner and of Arnold Schönberg, even going so far as to match colours to notes, but above all his undefined and imaginary figures seem to move against the blurred and unreal backgrounds almost as if they were dancing on the canvas.
His avant-garde drive allowed him to have no well-defined rules, thus giving him the freedom to introduce lines, geometric shapes or more indefinite figures within his fascinating and engaging canvases. Shortly afterwards, however, the advent of Neoplasticism and Suprematism, generated a reversal and a move away from Kandinsky‘s guidelines, moving towards a geometric and chromatic rigour that on the one hand rejected all subjectivism and emotionality and on the other did not seek the involvement of the observer except through the coldness of plasticism. The rigorous Neo-Plasticism of Piet Mondrian and Theo Van Doesburg, in which the only permissible forms were lines, the rectangle and the square, and the chromatic range limited to primary colours, was associated with and at the same time dissociated from Kazimir Malevic‘s Suprematism, in which the figures seemed to be in disorderly equilibrium, thus admitting the oblique, the triangle and the circle repudiated by Mondrian because considered impure.
The point of view of Suprematism was later deepened and expanded with a greater range of colours with the slightly later Geometric Abstractionism. The Sardinian-born artist Franco Pintus gives life in his new production to a research that appears to be a synthesis of De Stijl influences in terms of the introduction of straight lines and primary colours in some of his artworks, mixed with the suspended and constantly hovering forms of Wassily Kandinsky and Kazimir Malevic, as well as that lyricism that instils a sense of movement in the observer, of that rhythmicity that belongs to the things and figures that make up his works; not only that, the introduction of certain elements belonging to tangible experience, to what the eye knows and encounters in reality, although completely decontextualised and introduced to generate a rupturing effect, a tromp l’oeil in the geometric regularity of the figures that make up his characters, are strongly linked to the Metaphysical experience.
The influence of the latter artistic movement on Franco Pintus‘s works is also revealed in the representation of the individual in the form of a faceless mannequin, because what counts is his essence and his presence within a context devoid of space and time, within a regularity that somehow almost represents an imaginary world within which to let oneself go to thoughts, sensations and listening to the self. Thus the reference to the canvases of De Chirico is here completely adapted to the expressive poetics of Franco Pintus, who is never too far from the Lyrical Abstractionism of Wassily Kandinsky, nor much less from the influences of Suprematism and a barely hinted at Cubism where fragmentation is decidedly more broken down and isolated in the individual elements, rather than superimposed as in the canvases of Georges Braque, as well as enriched by the lively and full tones that distinguished Geometric Abstractionism and Orphic Cubism.
The canvases dedicated to music are those in which the pictorial intention that guided Kandinsky emerges most clearly, because Pintus‘s figures, although apparently static, manage to make everything around them vibrate with their notes, as in Auditorium where the suggestion of the theatre evoked in the title and also through the armchairs on the lower floor of the canvas and therefore below the musician, and generate that echo that envelops the hall as much as the emotionality of the listeners. The geometrization of the cello brings to mind one of the many artworks dedicated by Braque to stringed instruments, yet despite the rigidity of the form, everything seems softened by the magic of the music that induces the character in the centre of the scene to let himself go to the harmony of the notes that even brighten the colours of the curtain and the black hole below the protagonist.
In this painting emerges the symbolism of Franco Pintus in which music, not only as a melody in its own right, but above all as a harmonious sound generated by nature, the cosmos and positivity, succeeds in chasing away the existential evils of the world, both physical and spiritual, represented by the arrows, helping to ideally harness them with the band and imprison them, to then throw them into the black hole, the circle on the right below that holds an arrow, so that they disappear forever. In the work Nazca, on the other hand, Franco Pintus applies the guidelines of Neoplasticism, although he introduces the diagonal rejected by Piet Mondrian, to emphasise the mystery of those drawings traced on the ground and visible only from above, which characterise the Peruvian locality; beyond rigorousness, however, there is possibilism, those indistinguishable stains that break the balance, both chromatically and formally, emphasising the inscrutable that belongs to life and that sometimes leaves incomprehensible yet tangible marks.
The De Stijl imprint emerges in an attempt to contain the enigma, to bring within the ranks and the awareness even that which will continue to escape because of its capacity to belong to a different and probably unknowable dimension; the two circles thus seem to mark two different, parallel and distinct worlds that can never meet to find a common point because one belongs to the light of knowledge, the other to the shadow of an inexplicable that slips the control of reason. Piani composti (Compound Planes), on the other hand, belongs to Franco Pintus‘ more metaphysical production, where the element of reality, a sort of sheet or veil hanging from two nails that help drape it, seems to be there to give the gaze a reference of balance within a fluctuating context, almost as if the geometric figures were navigating the surrounding space waiting for their definitive location or, on the contrary, escaping to continue their evolutionary drive towards a different order aimed at highlighting the constant modification of everything that belongs to existence.
However, Franco Pintus does not limit himself to painting, but also measures himself with 3D sculpture, thus confirming his experimental aptitude, which in this case emerges from his use of new media to emphasise his belonging to Lyrical Abstractionism and to confirm how his source of inspiration remains the founding master of Abstract Art as well as the founder of Suprematism; the most distinctive feature of the sculptures is that they are the materialisation of his paintings, almost as if the artist wanted to project his geometricities into the surrounding environment, which thus traverse space in an unexpected manner, seeking the balance that continues to elude him, where primary colours are softened by the introduction of tonal variations and other nuances that enrich the final result by opening up to possibilism and moving away from rigour. During his career in the artistic world, Franco Pintus has participated in group exhibitions in Rome, Mestre, Terni, Venice and abroad in Palma de Mallorca, Zurich, Miami, New York and the state of Luxembourg. He exhibited as a guest at the October 2024 edition of the exhibition of the historic Association of the Cento Pittori di Via Margutta.
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