Dai fiori recisi alle scuderie, dalle fabbriche di bottoni alle seggiovie, anche il più piccolo settore lavorativo conta uno o più contratti nazionali di riferimento. Tutto questo avviene proprio mentre da più parti, nel dibattito pubblico, viene messa in discussione l’utilità dello strumento del contratto collettivo nazionale, in favore di un maggior peso della contrattazione aziendale o individuale.
«Il boom del numero di contratti collettivi si può leggere, paradossalmente, come il riflesso di una debolezza e frammentazione crescente delle tradizionali forme di rappresentanza del mondo del lavoro» scrive Gianluca Spolverato nel volume. «Mentre la barca affonda, sigle sindacali e datoriali sembrano più interessate a barricarsi dentro la propria cuccetta che a rimboccarsi le maniche per mettere in acqua una scialuppa di salvataggio».
Il Paese ingessato e la sfida di chi innova
“Il futuro al lavoro. L’Italia al tempo dello smart working, tra conservatori, vittime e innovatori” si divide in tre parti. Nella prima si analizzano con dati e casi reali le aporie che affliggono il sistema del diritto del lavoro, come la crescita incontrollata del numero di contratti – proprio mentre i posti di lavoro calano –, la lentezza della Giustizia del lavoro, con grandi differenze tra le diverse aree del Paese, e prassi spesso differenti da tribunale a tribunale. Le macroscopiche differenze territoriali rendono il giudizio incerto e sovrac- caricano di costi aziende e lavoratori. Se a Torino ci vogliono in media 224 giorni per ottenere una sentenza da un tribunale del lavoro, a Bari bisogna aspettarne 1.433, sei volte tanto.
La seconda parte mette a confronto alcune retoriche legate all’innovazione nel mondo del lavoro, come il digitale e la sharing economy, con i numeri reali di un Paese fatto in gran parte di lavoratori del terziario dove si richiede una medio-bassa qualificazione. Grazie ad una “mappa del lavoro” redatta con i numeri del Sistema informativo delle professioni, è possibile scoprire quali sono i dieci mestieri più diffusi e quali i dieci più rari. Commesse, collaboratrici domestiche, segretarie, camionisti e addetti alla logistica sono le figure lavorative più comuni oggi: «La centralità della fabbrica è un lontano ricordo – analizza Spolverato –. Il terziario appare come il settore dominante, che si è espanso non tanto creando posizioni lavorative nei servizi ad alto profilo, quanto in quelli che richiedono una bassa specializzazione». Un altro tema affrontato è quello della mobilità: alcuni casi esemplificano le resistenze che l’esigenza di una maggiore mobilità del lavoro incontra, ad esempio nei trasferimenti di aziende. Sintomo da un lato di una scarsa disponibilità a mettersi in gioco, ma anche di un sistema delle imprese che non sempre sa gratificare e valorizzare i propri collaboratori.
Il welfare “fatto in casa” di Barilla, Safilo, Sisal, Vimar e Rete Giunca
Nella terza parte, infine, si raccontano esperienze e opportunità di innovazione dei luoghi e dei rapporti di lavoro, dallo smart working al welfare aziendale passando per i nuovi modelli di gestione delle risorse umane che superano rigidità e gerarchie puntando su concetti come fiducia, responsabilità e orientamento al risultato.
Un approfondimento particolare è riservato alla Legge 81 del 2017 sul lavoro autonomo e sullo smart working (lavoro agile), approvata il 10 maggio dal Senato e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 giugno, che finalmente ha normato questa frontiera del lavoro.
Si entra poi in azienda con cinque casi di welfare aziendale italiano all’avanguardia. Barilla, Safilo, Sisal, Vimar e Rete Giunca raccontano in prima persona i servizi a disposizione dei dipendenti, dalla sanità integrativa alle borse di studio per i figli, dalla cultura agli asili aziendali.
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