Scendendo nei dettagli, l’Osservatorio registra ad agosto 2021 un arretramento pari al -0,8 per cento rispetto al mese precedente. A livello tendenziale, però, l’incremento segna un +2,3 per cento, rimanendo su livelli tra i più alti dell’anno. Questi dati sono il frutto della crescita a livello tendenziale sia delle assunzioni (+27,8 per cento) sia delle cessazioni (+20,9 per cento). Una situazione ben diversa da quella di un anno fa quando le imprese erano molto più timide e le assunzioni arretravano fino al -10% e le cessazioni, sulla scorta del blocco dei licenziamenti, al -18,8%.
Nel complesso, insomma, perlomeno nel mondo dei “piccoli” l’occupazione sembra aver superato l’emergenza da pandemia e anche la consueta battuta d’arresto estiva, grazie in particolare agli ottimi risultati di giugno e luglio. In questo quadro un dato significativo è il progressivo calo dei contratti a tempo indeterminato rispetto alle posizioni a tempo determinato. Un risultato da leggere con cautela evitando superficiali valutazioni quando non demonizzazioni.
I contratti a tempo determinato sono dei contratti che, dal punto di vista qualitativo, non hanno nulla da invidiare alle posizioni a tempo indeterminato. Garantiscono infatti gli stessi diritti a livello retributivo e contributivo, di ferie e di eventuali benefici ulteriori rispetto allo stipendio. Hanno, inoltre, perlomeno due grandi meriti. Hanno costantemente facilitato l’emersione dal “nero”. E anche nei periodi di crisi più buia hanno garantito l’accesso al lavoro nelle imprese più coraggiose e proiettive.
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