Raccontare la realtà osservata non da un punto di vista oggettivo bensì trasformandola sulla base della soggettività e del personale sentire di ciascun esecutore di un’opera, è caratteristica essenziale di tutti quegli artisti che hanno bisogno di esprimere le proprie sensazioni ed emozioni pur rimanendo fortemente legati alla figurazione perché è solo attraverso l’attinenza alla realtà osservata che riescono a trascenderla immaginando una dimensione parallela in cui immergersi per dare spazio a ciò che è legato all’interiorità. La protagonista di oggi non solo rientra in questa categoria ma la trascende persino, ideando un metodo espressivo che le permette di enfatizzare tutto ciò che il suo sguardo ha colto e che poi passa sotto la lente dell’ interpretazione cromatica ed esecutiva.
Nel momento in cui l’attenzione all’armonia estetica fu messa in secondo piano rispetto all’importanza, e all’urgenza, di trasmettere nelle opere quell’emozione troppo a lungo lasciata in silenzio dalle regole accademiche, cominciarono a emergere movimenti artistici che vollero rompere gli schemi in maniera forte, impattante, stravolgente soprattutto nei confronti dei formali salotti culturali di quel periodo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, probabilmente non ancora pronti ad accogliere le innovazioni che inevitabilmente stavano sopraggiungendo. Dopo la breve esperienza dei Fauves, in cui una gamma cromatica intensa, aggressiva, fece considerare bestie gli artisti come Henri Matisse e André Derain che teorizzarono le linee guida dell’anticipazione della rivoluzione che ne sarebbe seguita, il concetto di creare uno stile in cui fosse contemplata la possibilità di rinunciare alla bellezza e all’equilibrio formale pur di lasciar fuoriuscire le sensazioni dell’esecutore di un’opera venne ripreso, ampliato e modificato dall’Espressionismo, movimento che si diffuse nell’intero continente europeo assumendo connotazioni differenti sulla base del paese di appartenenza degli artisti che vi aderirono. Questo è il motivo per il quale gli espressionisti furono un gruppo incredibilmente eterogeneo dove le atmosfere cupe e angoscianti, prevalentemente rese con macchie di colore, di Emil Nolde potevano convivere con l’analisi introspettiva dei personaggi messi a nudo da Oskar Kokoschka, così come il dolore costantemente presente nelle tele di Edvard Munch, evidente nella disperazione dei gesti dei suoi protagonisti in cui la definizione era assoggettata all’emozione vissuta, coesisteva con le immagini scandalose e immorali di Egon Schiele, il quale dedicò grande parte della sua produzione al disegno e all’acquarello sottolineando con un marcato ma sottile tratto grafico anche la sua produzione su tela. Il denominatore comune tra tutti questi grandi interpreti dell’Espressionismo era la forte capacità interpretativa, il desiderio di scendere nelle profondità dell’anima, proprie o dei personaggi immortalati, per svelare tutto ciò che si nascondeva oltre l’osservato e che era la dimensione reale del modo in cui l’oggettività giungeva all’individuo. Di fatto il movimento segnò l’inizio di un nuovo umanesimo che metteva l’essere umano, con tutte le sue debolezze, le ansie e le paure, al centro della scena, esistenziale e anche artistica, aprendo le porte alle interpretazioni e rivisitazioni successive che hanno comunque confermato la centralità del mondo emozionale sull’opera d’arte, anche quando adattata a un periodo storico differente, quello contemporaneo, in cui le sensazioni non hanno più bisogno di essere gridate semplicemente perché accolte come parte imprescindibile della vita. L’artista di origini rumene ma naturalizzata austriaca Melinda Horváth sceglie proprio l’Espressionismo per dare vita a opere d’arte inusuali, in cui svela la sua ammirazione per tutto ciò su cui il suo sguardo indugia, in particolar modo i paesaggi urbani dei quali racconta la fascinazione provata nel momento in cui ha visitato quei luoghi di cui riproduce l’essenza, come se tutto il resto, lo sfondo, l’ambientazione, fossero in secondo piano rispetto al centro della scena.
La Horváth applica all’acrilico la tecnica dell’acquarello, di cui peraltro è profonda conoscitrice, diluendo con abbondante acqua il colore che poi lascia letteralmente colare sulla tela infondendo nell’osservatore una sensazione di irrealtà, di fluttuazione delle scene descritte come se si trovassero sospese nel tempo e nello spazio, come se appartenessero alla dimensione parallela del suo mondo interiore, della memoria di tutto ciò che in quel momento ha coinvolto la sua sensibilità.
Nei paesaggi urbani Melinda Horváth racconta i simboli delle principali città del mondo, quelle da lei visitate nei numerosi viaggi, e la descrizione che ne fa non è reale bensì emozionale sia nella gamma cromatica, irreale ma coinvolgente, sia nel tratto grafico con cui agisce sulla tela nel momento in cui la colatura si è diffusa nel modo desiderato; dunque la definizione della sottile bordatura, tipica dell’Espressionismo, non è più preliminare all’apporto del colore bensì è successiva, come se l’artista gli volesse dare voce prima di intervenire a delinearne i confini. Le tonalità scelte per ciascuna opera di questa serie si associano al suo punto di vista, al piacere provato di fronte alla bellezza di quei paesaggi, all’entusiasmo della scoperta di un paese nuovo e diverso dal proprio, all’allegria della consapevolezza di essere all’interno di scorci meravigliosi che resteranno per sempre nella sua memoria e che grazie alle sue doti artistiche riuscirà a raccontare su tela, secondo il suo punto di vista.
L’opera Impression Tokio è particolarmente emblematica dello stile pittorico di Melinda Horváth, perché qui i colori sono particolarmente irreali, come se l’artista avesse percepito una versione futuristica della capitale del Giappone, piena di vivacità che non poteva essere espressa attraverso un suono; dunque è l’esuberanza della gamma cromatica a infondere nell’osservatore la sensazione del dinamico caos che appartiene alla città. Qui le colature sono completamente delineate dal pennarello, infondendo così una dimensione persino più avveniristica alla scena immortalata di cui la montagna è sfondo e custode mentre il mare funge da riflesso emotivo del fascino dei grattacieli.
In Impression Budapest invece il dripping è lasciato più libero, più diluito e non delimitato, quasi a sottolineare la maestosità e la regalità della città, antica capitale austroungarica insieme a Vienna; persino i colori tenui sembrano voler enfatizzare quell’atmosfera d’altri tempi che si respira osservando i suoi ponti e le sue eleganti vie in cui si può immaginare il passaggio delle carrozze a cavalli delle nobildonne o delle principesse.
Proprio per questa caratteristica di appartenere a un mondo a metà tra passato e presente, le colature mostrano una maggiore dissolvenza, come se l’incisività del pennarello dovesse farsi da parte rispetto alla suggestione da cui Melinda Horváthè stata avvolta quando si è trovata di fronte alla scena protagonista della tela. Nel dipinto Sidney, altra metropoli moderna e all’avanguardia nell’architettura, ciò che viene evidenziato è la solarità e l’apertura del popolo australiano, l’ottimismo che trapela da un mondo relativamente recente che sta ancora scrivendo la sua storia ponendosi come baluardo di libertà e di possibilismo; il punto di vista proposto dall’artista è quello dal mare, quello in cui l’Opera House diventa protagonista assoluta della scena con il suo aspetto innovativo, inconsueto, grazie al quale è divenuta simbolo della città. In quest’opera il colore sembra predominare sul tratto grafico, come se la spontanea bellezza non potesse essere contenuta dalle linee che dunque assumono un ruolo secondario, facendo spazio all’intensità cromatica.
Nei ritratti Melinda Horváth enfatizza la sua tendenza in cui l’attinenza alla realtà osservata resta una base importante, anche se pur sempre legata allo stile espressionista, resa in questo caso principalmente con le tonalità sfumate dalla diluizione con l’acqua e in alcuni dettagli invece mantenuta più dense, mentre il pennarello definisce solo alcuni piccoli particolari, dei lievi contorni che sottolineano alcune parti delle acconciature, dell’abbigliamento, accompagnano le colature, in questi casi meno numerose rispetto ai paesaggi, forse perché l’artista non è più interprete soggettiva bensì narratrice dei volti e delle espressioni delle protagoniste.
Nell’opera Geisha è molto evidente questa differente tendenza in cui la realtà e l’osservazione sembrano prevalere sul sentire interiore dell’autrice. Melinda Horváth ha effettuato un lungo percorso di studio e approfondimento dell’arte, è formatrice creativa e arte terapeuta, e al suo attivo mostre personali e collettive in Austria, Ungheria, Serbia, Romania, Bosnia-Erzegovina, Grecia e Turchia.
MELINDA HORVÁTH-CONTATTI
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The dripping atmospheres of Melinda Horváth’s Expressionism, between watercolour and an unconventional use of acrylics
To narrate the reality observed not from an objective point of view but by transforming it on the basis of the subjectivity and personal feeling of each author of an artwork, is an essential characteristic of all those artists who need to express their sensations and emotions while remaining strongly tied to figuration, because it is only through their reference to the reality observed that they manage to transcend it, imagining a parallel dimension in which to immerse themselves in order to give space to what is tied to interiority. Today’s protagonist not only falls into this category but even transcends it, devising an expressive method that allows her to emphasise everything that her gaze has caught and which then passes under the lens of chromatic and executive interpretation.
At a time when attention to aesthetic harmony took second place to the importance, and urgency, of conveying in works that emotion that had been left in silence for too long by academic rules, artistic movements began to emerge that wanted to break the mould in a strong, impactful, disruptive manner, especially towards the formal cultural salons of that period between the end of the 19th and the beginning of the 20th century, probably not yet ready to embrace the innovations that were inevitably coming. After the short-lived experience of the Fauves, in which an intense, aggressive colour palette made artists such as Henri Matisse and André Derain who theorised the guidelines for the anticipation of the revolution that was to follow, consider them beasts, the concept of creating a style in which the possibility of renouncing beauty and formal balance in order to let the feelings of the author of an artwork emerge was taken up, expanded and modified by Expressionism, a movement that spread across the entire European continent, taking on different connotations depending on the country of origin of the artists who adhered to it. This is why the Expressionists were an incredibly heterogeneous group where Emil Nolde‘s gloomy and distressing atmospheres, mainly rendered with splashes of colour, could coexist with the introspective analysis of the characters laid bare by Oskar Kokoschka, as well as the pain constantly present in Edvard Munch‘s canvases, evident in the despair of the gestures of his protagonists in which the definition was subject to the emotion experienced, coexisted with the scandalous and immoral images of Egon Schiele, who dedicated a large part of his production to drawing and watercolour, also emphasising his production on canvas with a marked but subtle graphic stroke.
The common denominator between all these great interpreters of Expressionism was a strong interpretative capacity, the desire to descend into the depths of the soul, their own or that of the characters immortalised, to reveal all that was hidden beyond the observed and that was the real dimension of the way objectivity reached the individual. In fact, the movement marked the beginning of a new humanism that placed the human being, with all his weaknesses, anxieties and fears, at the centre of the scene, both existential and artistic, opening the doors to subsequent interpretations and revisitations that have in any case confirmed the centrality of the emotional world in the work of art, even when adapted to a different historical period, the contemporary one, in which sensations no longer need to be shouted out simply because they are accepted as an inescapable part of life. The Romanian-born but naturalised Austrian artist Melinda Horváth chooses Expressionism to give life to unusual artworks, in which she reveals her admiration for everything that her gaze lingers on, especially urban landscapes, of which she recounts the fascination she felt when she visited those places whose essence she reproduces, as if everything else, the background, the setting, were in the background compared to the centre of the scene. Horváth applies to the acrylics the watercolour technique, of which she is a profound connoisseur, diluting the colour with abundant water, that she then literally lets drip onto the canvas, instilling in the observer a feeling of unreality, of fluctuation of the scenes described as if they were suspended in time and space, as if they belonged to the parallel dimension of her inner world, of the memory of everything that involved her sensitivity at that moment.
In her cityscapes, Melinda Horváth recounts the symbols of the world’s major cities, those she has visited on her numerous travels, and the description she makes of them is not real but emotional, both in the range of colours, unreal but involving, and in the graphic line with which she acts on the canvas at the moment when the dripping has spread in the desired manner; thus the definition of the subtle border, typical of Expressionism, is no longer preliminary to the addition of colour but is subsequent, as if the artist wanted to give it a voice before intervening to delineate its boundaries. The tones chosen for each work in this series are associated with her point of view, with the pleasure she takes in front of the beauty of those landscapes, with the excitement of discovering a new country different from her own, with the joy of knowing that she is in the midst of marvellous views that will remain forever in her memory and that she will be able to recount on canvas, thanks to her artistic skills, according to her point of view. The artwork Impression Tokio is particularly emblematic of Melinda Horváth‘s painting style, because here the colours are particularly unreal, as if the artist had perceived a futuristic version of the capital of Japan, full of vivacity that could not be expressed through sound; thus, it is the exuberance of the colour range that instils in the observer the feeling of the dynamic chaos that belongs to the city. Here, the drippings are completely outlined by the felt-tip pen, thus infusing an even more futuristic dimension to the immortalised scene, of which the mountain is the backdrop and guardian, while the sea acts as an emotional reflection of the charm of the skyscrapers. In Impression Budapest, on the other hand, the dripping is left freer, more diluted and not delimited, almost as if to emphasise the majesty and royalty of the city, the ancient Austro-Hungarian capital together with Vienna; even the soft colours seem to want to emphasise that atmosphere of times gone by that one breathes when observing its bridges and elegant streets where one can imagine the horse-drawn carriages of noblewomen or princesses passing by.
Precisely because of this characteristic of belonging to a world somewhere between the past and the present, the drips show a greater fade, as if the incisiveness of the felt-tip pen had to step aside from the suggestion by which Melinda Horváth was enveloped when she was confronted with the scene that is the protagonist of the canvas. In the painting Sidney, another modern metropolis in the avant-garde of architecture, what is highlighted is the brightness and openness of the Australian people, the optimism that seeps out of a relatively recent world that is still writing its history, setting itself up as a bastion of freedom and possibilism; the point of view proposed by the artist is that from the sea, where the Opera House becomes the absolute protagonist of the scene with its innovative, unusual appearance, thanks to which it has become a symbol of the city. In this work, colour seems to predominate over the graphic line, as if the spontaneous beauty could not be contained by the lines, which therefore take on a secondary role, making room for chromatic intensity. In the portraits, Melinda Horváth emphasises her tendency in which relevance to the observed reality remains an important basis, although still linked to the expressionist style, rendered in this case mainly with tones shaded by dilution with water and in some details kept denser, while the felt-tip pen only defines a few small particulars, slight outlines that emphasise some parts of the hairstyles, clothing, accompanying the drippings, in these cases less numerous than in the landscapes, perhaps because the artist is no longer the subjective interpreter but rather the narrator of the protagonists’ faces and expressions. In the artwork Geisha, in very evident this different tendency in which reality and observation seem to prevail over the inner feeling of the author. Melinda Horváth has studied art for a long time, she is a creative trainer and art therapist, and has solo and group exhibitions in Austria, Hungary, Serbia, Romania, Bosnia-Herzegovina, Greece and Turkey to her credit.