L’impeto creativo molto spesso non è in grado di esprimere se stesso nella sua completezza quando si attiene alla bidimensionalità, perché le emozioni hanno una rilevanza talmente importante e considerevole nell’animo e nel sentire di alcuni artisti da necessitare un tipo di approccio diverso in cui la loro sostanza emerga e fuoriesca dalla tela stessa. La protagonista di oggi è contraddistinta da uno stile fortemente materico proprio per evidenziare e sottolineare la consistenza di un mondo di sensazioni che appartiene all’uomo e al vivere contemporaneo.
Intorno agli anni Quaranta del Novecento cominciò a diffondersi in tutto il mondo una nuova corrente artistica che da un lato continuava a sottolineare l’esigenza di affermare la superiorità dell’arte nella purezza del suo gesto plastico rispetto alla forma conosciuta ed esteticamente attinente alla realtà osservata, dall’altro però volle distaccarsi dal rigore matematico e scientifico dei movimenti precedenti come l’Astrattismo Geometrico, il Neoplasticismo e lo Spazialismo, per dare prevalenza all’importanza dell’espressione dell’emotività. L’Arte Informale, questo il nome della nuova tendenza di quegli anni, si suddivise a sua volta tra Espressionismo Astratto, per cui tutto ciò di cui l’artista aveva bisogno era il colore e poi il lasciarsi andare in modo impulsivo ma anche più meditato sulla base dell’indole di ciascun appartenente alla corrente pittorica, e l’Informale Materico in cui l’artista necessitava l’utilizzo di oggetti di uso comune o di elementi consistenti che dovevano contribuire ad andare verso il fruitore dell’opera in virtù della scoperta della terza dimensione e al tempo stesso manifestare la sostanza solida del sentire. Sabbia, sassi, carta di giornale, cocci di vetro, iuta, sacchi di tela, colle, plastica erano i materiali attraverso cui ogni artista sperimentò scegliendo ciò che sentiva essere più affine alla propria natura espressiva in maniera nuova, optando per un linguaggio inedito rispetto a tutta l’arte precedente ma anche ai coevi artisti di pittura segnica. Ciò che contava per Alberto Burri, Jean Fautrier e Antoni Tapìes non era la scelta dei colori attraverso cui dare voce alle emozioni, come invece fu fortemente affermato da Jackson Pollock, bensì il modo di stendere la tempera, l’olio e l’acrilico in modo che potessero esaltare al meglio la forma e la consistenza delle emozioni rappresentate dalle composizioni solide e tridimensionali costituite dalla materia. Doro Saharita Becker, artista tedesca ma con uno stile di vita decisamente cosmopolita, ha effettuato lunghi soggiorni in India, Australia e Sud-Est Asiatico, assorbendo dai paesi visitati non solo la comprensione della molteplicità sfaccettata della realtà e dei punti di vista, ma anche la consapevolezza che ciascun passaggio, ciascun percorso, costituisce una costante evoluzione nell’essere umano che, di conseguenza, non riesce a restare uguale a se stesso neanche volendolo.
Va da sé che questo tipo di consapevolezza sia evidente anche nel suo stile artistico, fortemente materico per enfatizzare la concretezza del sentire, delle emozioni che appartengono all’individuo, e al tempo stesso cangiante, mutevole attraverso l’utilizzo fluido del colore che si posa, letteralmente si aggrappa alla materia arricchendola di una luminosità che rende il risultato finale iridescente e dunque in apparente movimento.
Si lascia ispirare dalla natura e dalla forza delle donne in cui fuoriesce in maniera più chiara quel dualismo, quell’ambivalenza che narra l’alternanza, l’equilibrio, tra forza e fragilità, tra morbidezza e durezza, tra fermezza e arrendevolezza, che contraddistinguono l’intera produzione artistica di Doro Saharita Becker.
Nell’opera Aufbruch (Partenza) l’artista esprime in pieno quel senso di mobilità, di incertezza che contraddistingue gli accadimenti dell’esistenza, quell’andare seguito da un tornare oppure rappresentante un’uscita di scena definitiva; il gesso, la polvere di marmo, la resina epossidica e i pigmenti rendono ruvida la superficie stratificata della tela su cui poi, come tocco finale, appone il colore acrilico, lucente, cangiante, proprio per infondere il senso di movimento, di possibilismo che appartiene non solo alla natura dell’essere umano bensì anche all’esistenza contemporanea dove le sicurezze sono ancor più impalpabili, quasi inconsistenti nella loro fuggevolezza.
Tagesanbruch (Fine del giorno) si pone come narrazione di un fenomeno naturale e quotidiano a cui lo sguardo è talmente abituato da trascurarne la bellezza, la maestosità e l’impatto emotivo che invece da esso può derivare; Doro Saharita Becker mette su tela le proprie sensazioni davanti all’evento consueto eppure sempre sorprendente, trasformandole quasi in esortazione verso l’osservatore a prendere contatto con la sensibilità che, se lasciata fuoriuscire, è in grado di permettergli di cogliere la meraviglia intorno a sé. Allo stesso modo l’artista sembra però sottolineare anche la fugacità della vita, quell’andare molto più velocemente di quanto si pensi verso il declino e dunque l’approccio migliore è assaporare tutto ciò che accade, anche i piccoli trascurabili dettagli, per vivere intensamente ogni attimo.
La tela Wüstenbruch (Pausa nel deserto) racconta di un mondo secco, inospitale e immobile nel suo silenzio, eppure la Baker lascia la speranza di una fonte di vita, quell’azzurro centrale che tanto ricorda l’acqua, come se l’opera fosse una metafora di quanto molto spesso sia proprio negli animi apparentemente più coriacei e distaccati che si nasconde un interno morbido, fragile e come tale da proteggere, o per meglio dire nascondere, al resto del mondo. In questa tela il silenzio sembra essere squarciato, rotto dal sussurro di un’emozione timida che non può fare a meno di esistere, di trapelare malgrado l’apparente aridità che la avvolge.
In Zärtlichkeitsausbruch (Esplosione di tenerezza) l’artista usa calce viva, polvere di marmo, colore acrilico, resina epossidica, pigmenti, su carta himalayana poi incollata su supporto di legno per creare un’opera di forte tridimensionalità, quasi una pitto-scultura, nella quale letteralmente incide un sentimento apparentemente soffice e delicato che però manifesta tutta la sua intensità, quella capacità di scuotere l’animo e aprirlo verso una dimensione di purezza, di sentimento lontano da qualsiasi secondo fine, da qualunque tentativo della mente di arginarne la sottile ma resistente forza.
Dopo il suo lungo viaggiare ed entrare in contatto con culture differenti da quella del suo paese di origine, culture con un approccio molto individualista nel senso più positivo del termine, cioè orientate a considerare la forza interiore come l’unico sostegno a cui attingere per conoscere se stessi e migliorare il proprio percorso di vita, Doro Saharita Becker ha scelto una libertà espressiva che la pone in costante evoluzione e sperimentazione non solo della consapevolezza delle proprie emozioni bensì anche di tecniche e utilizzo di materiali funzionali al suo modo di fare arte, alla sua attitudine espressiva che le è fondamentale per sentirsi libera di essere se stessa. La tecnica di Doro Saharita Becker è contraddistinta dall’applicazione e dalla rapida essiccazione di paste e materiali pittorici autoprodotti, con una conseguente fessurazione poi arricchita e riempita con materiali come polvere di caffè, sabbia, resina sintetica, dando così vita a opere d’arte relativamente pesanti e tattili su tela o legno molto apprezzate da un nutrito pubblico di esperti d’arte e di collezionisti. Doro Saharita Becker ha all’attivo molte mostre sul territorio tedesco.
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The creative impetus is very often unable to express itself in its entirety when it sticks to two-dimensionality, because emotions have such an important and considerable relevance in the soul and feelings of some artists that they require a different kind of approach in which their substance emerges and comes out of the canvas itself. Today’s protagonist is characterised by a strongly material style precisely to highlight and underline the consistency of a world of sensations that belongs to man and to contemporary life.
Around the 1940s a new artistic movement began to spread throughout the world, which on the one hand continued to emphasise the need to affirm the superiority of art in the purity of its plastic gesture with respect to known form and aesthetically related to observed reality, but on the other hand wanted to break away from the mathematical and scientific rigour of previous movements such as Geometric Abstractionism, Neoplasticism and Spatialism, to give prevalence to the importance of the expression of emotion. Informal Art, the name of the new trend of those years, was in turn divided into Abstract Expressionism, for which all the artist needed was colour and then letting go in an impulsive but also more meditated way according to the character of each painter, and the Material Informal in which the artist needed to use everyday objects or substantial elements that should help to move towards the viewer of the artwork by virtue of the discovery of the third dimension and at the same time manifest the solid substance of feeling. Sand, stones, newspaper, glass shards, jute, canvas sacks, glue and plastic were the materials through which each artist experimented, choosing what he felt most akin to his own expressive nature in a new way, opting for a new language compared to all previous art but also to the coeval artists of sign painting.
What mattered to Alberto Burri, Jean Fautrier and Antoni Tapìes was not the choice of colours through which to give voice to emotions, as was strongly affirmed by Jackson Pollock, but rather the way of applying tempera, oil and acrylic so that they could best enhance the form and consistency of the emotions represented by the solid, three-dimensional compositions made up of matter. Doro Saharita Becker, a German artist with a decidedly cosmopolitan lifestyle, has spent long periods of time in India, Australia and South-East Asia, absorbing from the countries she has visited not only an understanding of the multifaceted multiplicity of reality and points of view, but also the awareness that each passage, each path, constitutes a constant evolution in the human being who, consequently, cannot remain the same even if he wanted to. It goes without saying that this type of awareness is also evident in her artistic style, which is strongly material in order to emphasise the concreteness of feeling, of the emotions that belong to the individual, and at the same time iridescent, changeable through the fluid use of colour that rests, literally clings to the material, enriching it with a luminosity that makes the final result iridescent and therefore in apparent movement. She allows herself to be inspired by nature and by the strength of women in which that dualism, that ambivalence that narrates the alternation, the balance, between strength and fragility, between softness and hardness, between firmness and surrender, which distinguishes the entire artistic production of Doro Saharita Becker, emerges more clearly.
In Aufbruch (Departure) the artist fully expresses that sense of mobility, of uncertainty that characterises the events of existence, that going followed by a return or representing a definitive exit; the plaster, marble dust, epoxy resin and pigments make the stratified surface of the canvas rough and then, as a final touch, she applies glossy, iridescent acrylic paint to instil a sense of movement and possibility that is not only part of the nature of the human being but also of contemporary life, where certainties are even more impalpable, almost insubstantial in their fleetingness. Tagesanbruch (End of the Day) is the narration of a natural, everyday phenomenon to which the eye is so accustomed that it overlooks its beauty, its majesty and the emotional impact it can have; Doro Saharita Becker puts her own feelings on canvas in the face of the usual yet always surprising event, transforming them almost into an exhortation to the observer to make contact with the sensitivity which, if allowed to escape, is capable of letting him grasp the wonder around him. At the same time, however, the artist also seems to emphasise the fleeting nature of life, that it is going much faster than we think towards decline, and therefore the best approach is to savour everything that happens, even the small, negligible details, to live each moment intensely. The canvas Wüstenbruch (Pause in the Desert) depicts a dry, inhospitable and motionless world in its silence, yet Baker leaves us hopeful of a source of life, that central blue which is so reminiscent of water, as if the work were a metaphor for how it is often in the apparently toughest and most detached souls that a soft, fragile interior is hidden, to be protected, or rather hidden, from the rest of the world. In this canvas, the silence seems to be broken, broken by the whisper of a shy emotion that cannot help but exist, leaking out despite the apparent dryness that surrounds it.
In Zärtlichkeitsausbruch (Explosion of Tenderness), the artist uses quicklime, marble dust, acrylic paint, epoxy resin and pigments on Himalayan paper, then glued onto a wooden support to create an artwork of strong three-dimensionality, almost a picto-sculpture, in which she literally carves an apparently soft and delicate feeling that, however, manifests all its intensity, that ability to shake the soul and open it up to a dimension of purity, of feeling far from any ulterior motive, from any attempt by the mind to contain its subtle but resistant force. After her extensive travelling and contact with cultures other than that of her country of origin, cultures with a very individualistic approach in the most positive sense of the term, i.e. oriented towards considering inner strength as the only support on which to draw in order to know oneself and improve one’s life path, Doro Saharita Becker has chosen an expressive freedom that places her in constant evolution and experimentation not only with the awareness of her own emotions but also with techniques and the use of materials that are functional to her way of making art, to her expressive attitude that is fundamental to feel free to be herself. Doro Saharita Becker’s technique is characterised by the application and rapid drying of self-produced pastes and painting materials, with a consequent cracking which is then enriched and filled with materials such as coffee powder, sand and synthetic resin, thus creating relatively heavy and tactile works of art on canvas or wood that are highly appreciated by a large public of art experts and collectors. Doro Saharita Becker has had many exhibitions in Germany.
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