“Le leggende del Milan”, Antonio Carioti palra del suo ultimo libro

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le leggende del Milan libroIl Milan è la squadra italiana che ha vinto più trofei in campo internazionale grazie a una serie di campioni dal talento straordinario e di stelle del calcio conosciute in tutto il mondo. Dall’inglese Herbert Kilpin al cannoniere svedese Gunnar Nordahl, dal barone Niels Liedholm, esempio di sportività, a José Altafini, autore della doppietta che laureò il Milan prima squadra italiana sul tetto d’Europa, da Cesare e Paolo Maldini, padre e figlio che alzarono entrambi la Coppa dei campioni a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro, a Gianni Rivera, primo giocatore nato in Italia a vincere il Pallone d’oro. E poi Franco Baresi, Ruud Gullit, Marco van Basten, fino ad arrivare al bomber ucraino Andriy Shevchenko e a Kaká, sintesi di potenza atletica e classe sopraffina. Tutto ciò è confluito nelle pagi­ne che seguono, nient’affatto asettiche e imparziali, semmai impregnate di un sentimento profondo. Un libro di parte, scritto da un milanista per i milanisti, che ripercorre la storia del Diavolo e delle leggende che hanno fatto sognare milioni di tifosi.

Antonio Carioti (Reggio Emilia, 1961) lavora come giornalista alle pagine culturali del «Corriere della Sera» e al supplemento settimanale «la Lettura». Ha scritto diversi saggi di argomento storico, ma ha raccontato anche la sua passione rossonera nel libro Con il Diavolo in corpo (2011). Tifoso del Milan sin dall’infanzia, ha visto dal vivo otto finali di Coppa dei campioni ed è stato due volte a Tokyo per l’Intercontinentale, nel 1989 e nel 1990. Abbonato a San Siro ininterrottamente dalla stagione 1986-87, anche quando abitava a Roma, ha pubblicato inoltre un «manuale di chi tifa Milan» intitolato #incimaalmondo (2014). Antonio Carioti ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Le leggende del Milan” è il tuo nuovo libro. Com’è nato e come si struttura?
Lo scorso anno la casa editrice Diarkos mi ha proposto di realizzare una galleria di ritratti con i personaggi più significativi della storia rossonera. E io sono stato ben lieto di accettare perché il Milan, al quale ho già dedicato altri due libri, è una delle grandi passioni della mia vita. Il problema è stato scegliere chi omettere nella rassegna, anche perché ritenevo impensabile non includere gli allenatori. Figure come Nereo Rocco e Arrigo Sacchi sono «leggende del Milan» non meno di Gianni Rivera o Paolo Maldini. Ho cercato di rimediare con tre capitoli doppi, in cui si raccontano insieme due personaggi, per esempio Roberto Donadoni e Daniele Massaro. Quindi i protagonisti alla fine non sono 30 ma 33.

Da milanista che emozione si prova a ripercorre le gesta e i successi spesso eclatanti e roboanti dei propri beniamini?
È una bella sensazione, soprattutto per quanto riguarda le vittorie alle quali avevo già assistito allo stadio, con i miei 34 anni di abbonamento alla Curva Sud di San Siro e le numerose trasferte, tra le quali otto finali europee. La scrittura del libro è stata anche l’occasione per rivedere in Dvd o su YouTube tanti episodi, verificando se me li ricordavo con esattezza. Non vi nascondo di essermi un po’ commosso, soprattutto quando sullo schermo scorrevano le imprese del Milan nella seconda gestione di Rocco, che mi riportano alla mia infanzia, o i gol meravigliosi di Ruud Gullit e Marco Van Basten. Per non parlare di Franco Baresi, il campione a cui sono più affezionato.

Qual è stato il periodo o la singola partita o successo del Milan a cui sei più legato?
Il periodo complessivo sono i tre anni iniziali di Sacchi tra il 1987 e il 1990: da un Milan che stentava e soffriva, passammo prodigiosamente ad avere da un campionato all’altro una delle squadre più forti di tutti i tempi, che dominava e impartiva lezioni di calcio ovunque. Se invece parliamo di singole partite, sono due finali di Champions: quella di Manchester contro la Juventus del 2003, perché sancì la nostra supremazia internazionale sugli avversari italiani più detestati, e quella di Atene del 1994 contro il Barcellona, quando vincemmo 4-0 partendo nettamente sfavoriti. Un gradino più in basso, ancora Atene, la rivincita sul Liverpool del 2007: partita bruttina, ma soddisfazione enorme.

I rossoneri stanno attraversando un buon momento. Secondo te si può aprire un nuovo ciclo vincente?
Non esageriamo. È bellissimo rivedere il Milan in cima alla classifica dopo tanto tempo ed è confortante avere una squadra giovane con giocatori promettenti. Abbiamo messo insieme un gruppo «abbastanza dotato sul piano tecnico», come scrivo nella conclusione del libro. Non dimentichiamo però quanto ha pesato nei successi degli ultimi mesi il ritorno di Zlatan Ibrahimovic, che non a caso è il personaggio con cui si chiude la mia rassegna. Classe immensa, carisma infinito, ma anche 39 anni di età: non può essere l’architrave su cui fondare un nuovo ciclo. Credo che per quest’anno sarebbe già molto importante tornare a qualificarsi per la Champions, poi si vedrà.

Sei attivo come giornalista nelle pagine culturali del “Corriere della Sera”. Come vivi questo tuo ruolo e come coniughi giornalismo e cultura?
Il giornalismo è per sua natura un fatto culturale, nel senso che investiga tutti gli aspetti dell’attività umana. Un esempio di questo è il nostro supplemento settimanale «la Lettura», nato nel 2011, al quale lavoro con una squadra di colleghi davvero eccezionali per capacità giornalistiche, doti intellettuali e dedizione. Ci occupiamo ovviamente di letteratura, storia, filosofia, scienza, arte, ma non disdegniamo incursioni nella cronaca, nella politica estera, anche nello sport. Accade per esempio abbastanza spesso che contribuisca alle nostre pagine Mario Sconcerti. Quanto a me, ho una grande passione per la storia e il «Corriere» mi ha dato la possibilità di coltivarla pubblicando diversi miei libri in allegato al giornale. Ho scritto anche qualche articolo sul Milan, ma strettamente da tifoso: non potrei mai occuparmene per professione, sono troppo di parte.