Le opere materiche di Elisabetta Marnoni, tra Fiber Art e Arte Povera per raccontare la suggestione di paesaggi immaginari

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deserto

Nell’arte contemporanea, soprattutto quella che ha raccolto le eredità dei movimenti che avevano sperimentato in modo più audace durante il secolo scorso, alcuni creativi mostrano la tendenza a mescolare i materiali, ad avvalersi della concretezza per rivelare uno sguardo interpretativo originale e più intenso sull’osservato ma soprattutto mescolano e fondono le influenze del passato per adeguarle al proprio sentire, alla propria indole espressiva che non riesce a rientrare in un solo schema, sfuggendo a ogni definizione che li incastrerebbe dentro una regolarità in cui non si sentirebbero perfettamente a proprio agio. L’artista di cui vi racconterò oggi rientra in questo gruppo di interpreti per i quali l’utilizzo della materia diviene vera e propria interpretazione di un osservato rivisto e rinarrato secondo il filtro emozionale dell’autrice, e la cui eco sembra fuoriuscire dall’opera per tendere verso il fruitore, quasi come a invitarlo al contatto palpabile con quel sentire.

Dopo la prima metà del Novecento alcuni artisti vollero completamente ribellarsi a qualsiasi forma di figurazione rinnegando non solo l’aderenza alla realtà del Realismo, sostenuto anche dai regimi del periodo delle guerre mondiali, ma anche da qualsiasi estremismo geometrico e schematicità dell’Astrattismo, attingendo piuttosto a quelle correnti ribelli e orientate a mettere in luce le fragilità e le angosce dell’essere umano, come l’Espressionismo e il Surrealismo, o a deridere il concetto stesso di arte utilizzando per rappresentarla, oggetti di uso comune, come nel Dadaismo. Ispirandosi a questo intento espressivo, dopo gli anni Quaranta, nacque prima negli Stati Uniti e poi in Europa un grande movimento con diverse sfaccettature interpretative, che prese il nome di Arte Informale, letteralmente mancante di ogni forma; dal punto di vista pittorico il movimento si concretizzò con l’Espressionismo Astratto, dove la voce narrativa era affidata solo ed esclusivamente ai colori, schizzati sulla tela, oppure utilizzati sotto forma di segni, o ancora stesi e sfumati per stimolare nell’osservatore la meditazione e l’ascolto dell’atmosfera emanata. Dal punto di vista più materiale invece, l’Informale Materico ebbe come principali rappresentanti artisti molto diversi tra loro, sia per attitudine alla sperimentazione, sia per risultato visivo, ma in tutti i casi in grado di aprire la strada al generarsi di altre correnti creative. Laddove infatti Alberto Burri fu il precursore della Land Art con i suoi cretti, ma anche dell’Arte Povera per l’utilizzo di oggetti di recupero come juta e plastiche, d’altro canto Antoni Tàpies iniziò il percorso seguito poi dall’Arte Concettuale ma anche, a sua volta, dell’Arte Povera, una declinazione della quale fu la Fiber Art, o Arte Tessile. Sebbene alla sua nascita, intorno agli anni Cinquanta del Novecento, questo tipo di arte fosse prevalentemente contraddistinta da tecniche di annodatura, attorcigliamento, intreccio delle fibre di tessuto, negli anni Sessanta si trasformò in contestazione a supporto del ruolo della donna ancora poco protagonista nella società e relegata spesso ai lavori di tessitura. Fu negli anni Ottanta però che l’Arte Tessile modificò la sua struttura e cominciò ad assumere una connotazione più concettuale, vennero utilizzate tecniche di incollatura, di modificazione dei tessuti per trasformarli in apporto materico nel contesto di tele dove l’aspetto informale si univa alla sensazione dell’autore, al messaggio più o meno esplicito che voleva lasciare all’osservatore. Ecco dunque che il concetto principale della Fiber Art si unisce a quello dell’Arte Povera ma anche alla Recycling Art per dare vita a un nuovo approccio artistico in grado di rendere concreta e al contempo leggera la struttura di un’opera dentro cui mettere tutto il personale sentire dell’esecutore.

nuvole
1 Nuvole – tecnica mista su tavola di legno, 90x65cm

L’artista lombarda Elisabetta Marnoni oltrepassa addirittura questo punto di vista, lei che nel mondo tessile ha vissuto gran parte del suo percorso professionale essendo stata disegnatrice e stilista per tessuti d’arredamento, e lo adegua a un’osservazione coinvolta e intensa della natura, rendendo ogni sua opera un racconto evocativo di paesaggi sospesi tra cielo e terra, al confine tra reale e immaginario che conquistano per il rilievo, per la consistenza delle pieghe di tessuto che utilizza come fossero un pennello attraverso cui definisce e scolpisce con delicatezza e morbidezza gli scenari che hanno conquistato il suo cuore. Spesso monocromatiche o sviluppate su sfumature di una bicromia funzionale a descrivere lo scenario che intende raccontare, il suo approccio pittorico può essere ricondotto in alcuni casi al Color Field di Mark Rothko, soprattutto per la suddivisione di alcune tele in due differenti parti che nel caso di Elisabetta Marnoni presentano una differente e distinta struttura materica pertanto non è più il solo colore a determinare, e infondere nell’osservatore, l’emozione e lo stimolo riflessivo che il silenzio invocato va a generare, bensì i diversi livelli materici suggeriscono la necessità di andare più a fondo della struttura, divenendo così metafora della necessità di scostare tutti i veli che compongono la quotidianità e la percezione del sé per raggiungere la vera essenza delle cose.

tramonto
2 Tramonto – tecnica mista su tavola di legno, 90x120cm
contaminazione
3 Contaminazione – tecnica mista su tavola di legno, 70x100cm

Pertanto l’apparenza immaginaria e suggestiva di alcuni paesaggi o degli elementi appartenenti alla natura, si va a concretizzare esattamente in quell’appartenenza al mondo della materia, delineando quanto in fondo anche il sogno, l’ideale, abbiano bisogno di partire dalla solidità per poi riuscire a elevarsi e a rarefarsi; quando invece racconta della dimensione delle sensazioni, di un mondo meno catturabile perché non visualizzabile con l’aiuto della ragione, Elisabetta Marnoni tende verso l’essenzialità e il completo distacco da qualsiasi riferimento a un luogo reale, piuttosto si astrae avvalendosi di colori primari e di forme geometriche, come nell’opera Contaminazione, dove il tessuto perfettamente integrato nella composizione sembra giungere per scomporre, con il suo lento e costante movimento, l’equilibrio degli altri elementi. In qualche modo questo dipinto è la rappresentazione simbolica di quanto nell’esistenza tutto possa essere costantemente messo in discussione dall’imprevisto, da quel fattore sorpresa che va a scardinare tutte le certezze e che spesso diviene un arricchimento, un completamento oppure segnale di un necessario cambiamento che condurrà verso un percorso migliore.

ostentazione
4 Ostentazione – tenica mista su tavola di legno, 150x80cm

In Ostentazione invece, Elisabetta Marnoni affronta il tema dell’inseguimento del possesso di beni lussuosi, di quel desiderio dell’essere umano contemporaneo di raggiungere a tutti i costi la ricchezza che poi deve essere mostrata, ostentata appunto come suggerito dal titolo, perché tende a divenire l’uno bene appartenente a chi ha votato la sua vita a quell’obiettivo tralasciando di coltivare l’interiorità e l’anima; la foglia oro assoluta con cui l’artista avvolge l’intera opera, descrive quel mondo sfarzoso verso cui tutti tendono ma che spesso non riesce a dare la felicità, perché quando si impegna per cercare l’appagamento materiale si può facilmente perdere il valore dell’importanza di tutto ciò che invece costituisce una ricchezza diversa da svelare solo a pochi. Qui la presenza del tessuto è predominante, invade l’intera superficie della tavola e la solidifica con la sua concretezza, quasi esso fosse un manto che nasconde un vuoto con cui spesso diventa difficile confrontarsi, scegliendo così la via più semplice di celarlo sotto soddisfazioni effimere, belle ma insufficienti a riempire davvero la vita.

neve
5 Neve – tecnica mista su tavola di legno, 90x120cm

Nelle opere più descrittive, legate ai paesaggi, il tessuto è altrettanto presente pur avendo una funzione differente poiché le pieghe, gli arabeschi, le volute, diventano narrazione di un’emozione provata da Elisabetta Marnoni inducendola a elaborare i suoi panorami poetici, lirici, dove il silenzio predomina e in cui la materia invade la terza dimensione, straborda dalla cornice per permettere all’osservatore di cogliere il sottile e impercettibile movimento di tutto ciò che appartiene alla natura e che è in grado generare la magia dell’esistenza. L’osservazione dell’artista sembra voler catalizzare l’attenzione verso quei dettagli che vengono spesso tralasciati nella vita contemporanea, la pura bellezza della neve incontaminata o di un tramonto invisibile oltre gli alti palazzi delle città, ma che sono in grado di riempire di semplice e pura gioia lo sguardo dell’individuo.

impronta dell'universo
6 Impronta dell’Universo – tecnica mista su tavola di legno, 80x80cm

Il colore dunque, a volte pieno a volte sfumato, ha la funzione di completare e di arricchire il tessuto, di fatto assoluto protagonista della produzione artistica di Elisabetta Marnoni, inducendo una riflessione sulle infinite possibilità interpretative di quella purezza visiva, così come sulla capacità dell’arte di trasformare e adattare le tecniche del passato armonizzandole con il sentire del singolo interprete che così dà vita a un linguaggio nuovo.

albero della vita
7 Albero della vita – tecnica mista su tavola di legno, 80x90cm

Elisabetta Marnoni ha al suo attivo la partecipazione a molte mostre collettive in tutta Italia – Milano, Torino, Ferrara, Lucca, Pietrasanta, Verbania, Novara, Vercelli, Catanzaro – e una personale presso l’antico Oratorio annesso alla Basilica di S. Ambrogio a Milano.

ELISABETTA MARNONI-CONTATTI

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The material artworks by Elisabetta Marnoni, between Fiber Art and Arte Povera to tell the suggestion of imaginary landscapes

In contemporary art, especially that which has collected the inheritance of the movements that had experimented in a more daring manner during the last century, some creatives show a tendency to mix materials, to make use of concreteness to reveal an original and more intense interpretative gaze on the observed, but above all they mix and blend the influences of the past to adapt them to their own feeling, to their own expressive nature that cannot fit into a single scheme, escaping any definition that would frame them within a regularity in which they would not feel perfectly at ease. The artist I am going to tell you about today is part of this group of artists for whom the use of matter becomes a true interpretation of an observation, revised and reinterpreted according to the author’s emotional filter, and whose echo seems to come out of the work to tend towards the viewer, almost as if to invite him into palpable contact with that feeling.

After the first half of the 20th century, some artists wanted to completely rebel against any form of figuration, repudiating not only the adherence to reality of Realism, which was also supported by the regimes of the World War period, but also from any of the geometric extremism and schematism of Abstractionism, drawing rather from those rebellious currents oriented towards highlighting the frailties and anxieties of the human being, such as Expressionism and Surrealism, or mocking the very concept of art by using everyday objects to represent it, as in Dadaism. Inspired by this expressive intent, after the 1940s, first in the United States and then in Europe was born a great movement with various interpretative facets, which took the name Informal Art, literally lacking all form; from a pictorial point of view, the movement took concrete shape with Abstract Expressionism, where the narrative voice was entrusted solely and exclusively to colours, either sketched on the canvas, or used in the form of marks, or spread out and shaded to stimulate the observer to meditate and listen to the atmosphere emanating. On the other hand, from a more material point of view, the Informal Material Art had as its main representatives artists who were very different from each other, both in terms of their aptitude for experimentation and their visual results, but in all cases capable of paving the way for the generation of other creative currents.

Where in fact Alberto Burri was the forerunner of Land Art with his cretti, but also of Arte Povera for the use of recycled objects such as jute and plastics, on the other hand Antoni Tàpies began the path followed later by Conceptual Art but also, in turn, by Arte Povera, a declination of which was Fiber Art, or Textile Art. Although at its inception, around the 1950s, this type of art was mainly characterised by techniques of knotting, twisting and weaving of fabric fibres, in the 1960s it turned into a protest in support of the role of women, who were still not very prominent in society and were often relegated to weaving jobs. It was in the 1980s, however, that Textile Art changed its structure and began to take on a more conceptual connotation; gluing techniques were used, fabrics were modified to transform them into a material contribution in the context of canvases where the informal aspect was united with the author’s feeling, with the more or less explicit message he wanted to leave with the observer. Here, then, the main concept of Fiber Art is united with that of Arte Povera but also with Recycling Art to give life to a new artistic approach capable of making concrete and at the same time light the structure of a work within which to put all the personal feeling of the author.

The Lombard artist Elisabetta Marnoni even goes beyond this point of view, she who has lived much of her professional career in textiles, having been a designer and stylist for furnishing fabrics, and adapts it to an involved and intense observation of nature, making each of her artworks an evocative tale of landscapes suspended between sky and earth, on the borderline between the real and the imaginary, which captivate for their relief, for the consistency of the folds of fabric that she uses as if they were a paintbrush through which she delicately and softly defines and sculpts the scenarios that have conquered her heart. Often monochromatic or developed on shades of a two-tone colour scheme to describe the scenery she intends to narrate, her pictorial approach can in some cases be traced back to Mark Rothko‘s Colour Field, especially for the subdivision of some canvases into two different parts, which in Elisabetta Marnoni‘s case present a different and distinct material structure, so it is no longer colour alone that determines and instil in the observer, the emotion and the reflective stimulus that the silence invoked goes on to generate, but rather the different material levels suggest the need to go deeper into the structure, thus becoming a metaphor for the need to peel back all the veils that make up everyday life and self-perception in order to reach the true essence of things.

Therefore, the imaginary and suggestive appearance of certain landscapes or elements belonging to nature, is realised precisely in that belonging to the world of matter, outlining how, in the end, even the dream, the ideal, needs to start from solidity in order to then succeed in elevating and rarefying itself; when, on the other hand, she tells of the dimension of sensations, of a world that is less capturable because it cannot be visualised with the help of reason, Elisabetta Marnoni tends towards essentiality and complete detachment from any reference to a real place, rather she abstracts herself using primary colours and geometric shapes, as in the artwork Contamination, where the fabric perfectly integrated in the composition seems to come to break down, with its slow and constant movement, the balance of the other elements. In some way, this painting is a symbolic representation of how everything in existence can be constantly challenged by the unexpected, by that surprise factor that unhinges all certainties and often becomes an enrichment, a completion or a sign of a necessary change that will lead towards a better path. In Ostentation, on the other hand, Elisabetta Marnoni addresses the theme of the pursuit of the possession of luxurious goods, of that desire of contemporary human beings to achieve wealth at all costs, which then has to be shown off, ostentatious precisely as suggested by the title, because it tends to become the one good belonging to those who have devoted their lives to that objective, neglecting to cultivate their interiority and soul; the absolute gold leaf with which the artist wraps the entire artwork, describes that sumptuous world towards which everyone tends but which often fails to give happiness, because when one strives to seek material fulfilment, one can easily lose the value of the importance of everything that instead constitutes a different wealth to be revealed only to a few. Here, the presence of fabric is predominant, invading the entire surface of the table and solidifying it with its concreteness, almost as if it were a cloak concealing an emptiness with which it often becomes difficult to come to terms, thus choosing the easy way of concealing it under ephemeral satisfactions, beautiful but insufficient to truly fill life. In the more descriptive works, linked to landscapes, the fabric is just as present although it has a different function as the folds, the arabesques, the swirls, become the narration of an emotion felt by Elisabetta Marnoni, inducing her to elaborate her poetic, lyrical panoramas, where silence predominates and in which matter invades the third dimension, overflowing from the frame to allow the observer to grasp the subtle, imperceptible movement of everything that belongs to nature and is able to generate the magic of existence.

The artist’s observation seems to want to focus attention on those details that are often overlooked in contemporary life, the pure beauty of untouched snow or an invisible sunset beyond the tall buildings of cities, but which are able to fill the individual’s gaze with simple and pure joy. Colour therefore, sometimes full and sometimes shaded, has the function of completing and enriching the fabric, in fact the absolute protagonist of Elisabetta Marnoni‘s artistic production, inducing a reflection on the infinite interpretative possibilities of that visual purity, as well as on the ability of art to transform and adapt the techniques of the past, harmonising them with the feeling of the individual interpreter who thus gives life to a new language. Elisabetta Marnoni has taken part in many group exhibitions throughout Italy – Milan, Turin, Ferrara, Lucca, Pietrasanta, Verbania, Novara, Vercelli, Catanzaro – and a solo exhibition at the ancient Oratory annexed to the Basilica of S. Ambrogio in Milan.