L’appartenenza a un territorio può costituire il percorso espressivo fondamentale per svelare origini, tradizioni, riflessioni, e per lasciare un segno nel tempo affinché alcune caratteristiche e singolarità non si perdano nel susseguirsi delle generazioni. In molti artisti la necessità di mantenere un legame con il passato è forte e fondamentale tanto quanto l’inclinazione a esplorare il vivere contemporaneo. Lo scultore di cui vi parlerò oggi è in bilico tra le tradizioni della sua terra e i concetti più attuali dell’esistenza.
La scultura affonda le sue radici in un periodo incredibilmente lontano, tutte le grandi civiltà precedenti al cristianesimo hanno lasciato importanti e fondamentali testimonianze della loro vita, della cultura e del modo di vivere la vita e di venerare la dipartita, attraverso la realizzazione di grandi statue stilizzate secondo lo stile unico dei differenti popoli. Le imponenti divinità egizie raccontate grazie all’utilizzo di calcare, alabastro, basalto granito, simboli senza tempo immortalati e intagliati anche nei sarcofagi; le affascinanti statue votive rappresentanti re e divinità di un’altra grande civiltà precristiana, i Sumeri, abili scultori in grado di simboleggiare le doti più importanti, la saggezza e la vicinanza con il divino, attraverso i grandi occhi che affascinano ancora oggi. E ancora il misterioso simbolismo delle opere scultoree delle civiltà precolombiane, Maya, Aztechi e Inca, in cui la figura umana è sempre unita e associata a quella divina o animale, proprio per la venerazione che quei popoli avevano nei confronti della natura che si legava indissolubilmente alla divinità. La capacità di forgiare materiali duri e resistenti ai quali oggi si approccia con tecniche conosciute ma che con molta probabilità non possono essere troppo differenti da quelle di quei tempi lontani, testimonia la tendenza naturale dell’essere umano a lasciare un segno indelebile, un modo per dialogare con il popolo attraverso le immagini per infondere cultura e tradizione anche tra chi, per classe sociale, non aveva accesso agli studi e all’istruzione. Battista Doneddu mantiene l’immediatezza figurativa del primitivismo legandola a un forte e intenso simbolismo attraverso il quale esplora le origini e le tradizioni della sua Sardegna ma anche il legame con la spiritualità nella vita contemporanea, quel disequilibrio del vivere e quegli ostacoli che dopo aver arrestato un percorso divengono basi di ripartenza per un nuovo punto di vista. Formatosi da autodidatta Doneddu scopre l’inclinazione all’arte scultorea inizialmente lavorando il legno, successivamente e gradualmente si avvicina a materiali più duri, sebbene friabili, come la trachite, per poi giungere alla più complessa lavorazione del granito di Gallura e dell’ardesia.
Il cammino tracciato dalle opere dell’artista si legano alla tradizione per quanto riguarda le sculture in legno come Mamaterra, la dea madre dell’antica civiltà sarda rivisitata nelle sembianze e nella figurazione dalla fantasia di Doneddu, oppure a personaggi immaginari quanto ammantati di una particolare magia, come nell’opera Mahea, madre d’acqua che è frutto di un’idea dell’artista, emersa da un sogno fanciullesco e come tale immortalata; la sirena in fondo è un simbolo del desiderio di lasciarsi cullare dal mondo dei sogni, quel luogo misterioso dove tutto è possibile e in cui perdersi quando la realtà oggettiva non è esattamente quella che si vorrebbe vivere.
Dal passato poi di colpo Doneddu vira verso il presente giungendo a un simbolismo quasi Metafisico grazie al quale esplora le evoluzioni dell’essere umano, quelle modificazioni che nella scultura Metamorfosi vengono rappresentate come esterne, stilizzate perché indefinite nella forma che terminerà di assumere il protagonista dell’opera, ma che, andando più a fondo, sono molto vicine alle metamorfosi kafkiane della diversità che viene rifiutata dalla società, quel doversi confrontare con le proprie paure, debolezze e incertezze prima di riuscire a evolvere e comprendere l’importanza di una trasformazione che ha un suo risvolto positivo.
Ed è sempre in legno l’altra opera metafisica, Oltre la metà, in cui l’artista alterna il pieno e il vuoto, la possibilità di vedere un tutto oppure di considerare quel tutto un nulla, a seconda del punto di vista di chi sta osservando la realtà; andare oltre quella metà significa oltrepassare il confine tra pieno e vuoto, tra poco e tanto, tra positivo e negativo, che conduce verso un momento presente in cui si è in grado di prendere a piene mani ciò che c’è senza pensare a tutto quello che invece ancora non è arrivato o non riusciamo a vedere.
Con il granito invece Doneddu celebra la religiosità, mantenendo uno stile primitivista per quanto riguarda la rappresentazione dei volti del Cristo invecchiato e della Maddalena, stile necessario a svelare l’essenziale del messaggio sacro che le due figure rappresentano, utilizzando un materiale duro ma al tempo stesso poroso, friabile, come a voler sottolineare l’evanescenza di quei simboli di religione, tanto solidi per chi ha fede in loro, quanto effimeri per chi sceglie invece di seguire un atteggiamento più scettico e distaccatamente laico. C’è un forte e profondo legame con la parte religiosa, sia quella più pagana con le divinità del passato sia con quella attuale che sembra essere per l’artista una risposta ai dubbi e alle paure dell’essere umano, ed è solo nel contatto con il divino che può trovare un modo per superarli, per sciogliersi in preghiera come nella bellissima opera Incompleta preghiera.
Battista Doneddu espone attualmente a Sassari, Cagliari, Alghero, e in molti centri della Gallura e della Sardegna in genere ed è stato premiato in diversi concorsi. Ha all’attivo diverse mostre collettive e concorsi a Milano e a Roma, al RomeArtWeek 2019 e al concorso internazionale nel museo di Palazzo Velli con menzione speciale come migliore scultura a luglio 2019.
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