Il vivere contemporaneo è contraddistinto dall’esigenza di nascondere emozioni e stati d’animo che tendono a far sentire l’uomo debole, fragile, esposto; ed è su questa base, sulla ricerca di ciò che si cela dietro l’apparenza, che si sviluppa l’indagine pittorica di quegli artisti che possono definirsi esistenzialisti proprio in virtù della tendenza ad andare a osservare il profondo dell’immagine esterna. La protagonista di oggi narra di questa inclinazione a stratificarsi e a dissolversi nella moltitudine tipica dell’uomo moderno.
Il mondo delle emozioni, forti, intense, incontrollate, è stato legittimato già a fine Ottocento con l’affermarsi di movimenti pittorici che mettevano in primo piano l’essere sull’apparire, la sostanza che in passato era stata tralasciata in nome di un’attenzione all’estetica fin troppo distante dal sentire dell’artista e dei personaggi da lui raffigurati. I Fauves furono i primi a decretare l’esigenza di far predominare in maniera assoluta tutta quella tempesta di sensazioni e sentimenti da cui l’essere umano è inevitabilmente travolto negli eventi della propria vita; quella predominanza emozionale fu tradotta in pittura con l’adozione di colori forti, intensi, irreali, in cui le linee di contorno che definivano le figure dovevano essere nette, la terza dimensione quasi annullata nel nome della necessità di escludere tutto l’abbellimento superfluo che non era più funzionale all’orientamento del gruppo artistico. Le tematiche dei Fauves furono riprese e ampliate dall’Espressionismo in cui spesso la figurazione tendeva quasi a disperdersi nell’eco delle emozioni, come nelle opere di Edvard Munch in cui l’intensità espressiva fuoriesce malgrado la mancanza quasi totale di dettagli reali; allo stesso modo negli anni Cinquanta del Novecento, il movimento dell’Espressionismo Astratto volle riaffermare, dopo decenni in cui la figurazione si era completamente perduta dietro il rigore geometrico e analitico dell’Astrattismo, l’emergenza di recuperare quel contatto con il mondo interiore che non poteva essere escluso dall’atto creativo proprio perché parte integrante della funzione dell’arte, cioè quella di emozionare l’osservatore per farlo sentire coinvolto e suggestionato dall’opera. Jackson Pollock, fondatore della nuova corrente astrattista, accolse nel suo gruppo artisti differenti per tecnica e per approccio pittorico, lasciando a ciascuno la libertà di esprimere il proprio mondo interiore seguendo il personale impulso creativo. L’artista abruzzese Sonia Babini compie, attraverso le sue intense opere, una sintesi tra l’Espressionismo dei primi del Novecento, dove la figurazione ancora sussiste senza per questo togliere energia agli istanti che sceglie di raccontare, e l’Espressionismo Astratto di metà del Ventesimo secolo, dando così origine a uno stile dove l’astrazione subentra nell’opera sovrapponendosi e talvolta intensificando, altre dissolvendo, l’immagine che il risultato finale nasconde in maniera più o meno evidente.
I tocchi astratti sono impressi sulla tela in maniera soffusa, morbida, sfumata, quasi a voler mettere in risalto quelle sovrapposizioni esistenziali, quelle maschere in cui tutto sembra diverso da come è in realtà, in cui il rumore delle parole e la fumosità del pensiero divengono armature per proteggere l’essenza più reale, quella fragile, quella che non deve essere mostrata.
In altri casi invece l’astratto giunge a svelare ciò che non può essere nascosto, come la vanità e i piaceri del cibo della tela Simposio in cui l’apparenza delle protagoniste e la leggerezza di un momento conviviale sembra evidenziare la sottile competizione, quella tendenza a predominare l’una sull’altra che induce i personaggi a perdere il contatto con l’essenza per concentrarsi sull’evanescenza della forma. I volti rappresentano la formalità e la maschera che in società viene indossata, le tonalità astratte appena sottostanti raccontano invece le sensazioni più sotterranee, quella rivalità, quell’antagonismo che induce l’una a voler prevalere sull’altra.
Metamorfosi di Dafne è narrazione di un mito dell’antichità e al tempo stesso metafora del vivere contemporaneo in cui spesso le persone scelgono di lasciarsi intrappolare, preferiscono rinchiudersi all’interno di un guscio sicuro, piuttosto che aprirsi all’altro e rischiare di perdere se stesse in virtù di un’emozione, di un sentimento o semplicemente di una scelta che presenta incognite. La donna appare al contempo spaventata dalla sua immobilità eppure certa di esserne protetta e dunque i tocchi di colore sono scuri, intensi, più deterministi rispetto ad altre opere della Babini, proprio per sottolineare l’inerzia, la paralisi dell’uomo che non è in grado di liberare se stesso dalle convenzioni e dagli schemi dentro cui sceglie di muoversi.
In Melodia invece l’artista si sposta verso il concetto delicato della necessità di non svelarsi, di restare dietro il velo a osservare il mondo, pur percependo l’impulso di farne timidamente parte; la figura sembra dissolversi all’interno delle pennellate soffuse e sfumate, come se attendesse il crescere della musica evocata dal titolo, per trovare il coraggio di rivelarsi e di cominciare a ballare nella vita.
In altre opere invece Sonia Babini predilige il linguaggio puramente astratto, lasciando che siano le forme e i colori a stabilire il pulsare emotivo del concetto che desidera rappresentare, lasciando che le pennellate e le tonalità siano più definite, più determinanti per il risultato finale, come nella tela Un’altra via d’uscita in cui la linea rossa centrale, definita e ben delineata, sembra essere un elemento di rottura tra due mondi distinti, tra due visioni opposte eppure complementari di una circostanza che ha bisogno di trovare una risoluzione.
L’elemento di disturbo spesso costituisce esattamente quella risorsa inattesa e inizialmente disturbante da cui si genera invece un’opzione migliore rispetto alle ipotesi precedenti, un salto nel buio che non ha né le caratteristiche di certezza del terreno precedente, rappresentato attraverso la sfera irregolare immersa nel grigio chiaro, né quelle di imprevedibile insicurezza raccontate dall’artista mediante una fascia scura e cupa che sembra contenere complicazioni e tratti sfavorevoli.
Uno stile personale e distintivo che ha la singolare capacità di coinvolgere l’osservatore andandone a toccare le corde interiori, quelle istintive che lo conducono dentro l’opera in maniera spontanea, sentendosene parte, condividendone le atmosfere emotive. Sonia Babini ha alle spalle un lungo percorso artistico che l’ha vista partecipare e innumerevoli mostre personali e collettive in Italia e all’estero – Mosca, Londra, Barcellona, Parigi, Montecarlo, Nizza tra le città più importanti – e nel corso degli anni ha ricevuto numerosi e importanti premi d’arte.
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