Dal 17 novembre negli store e sulle piattaforme arriva “Yin e Yang” il nuovo album di Leonardo Monteiro con il lancio in radio del singolo “Il Telefono” che è un brano in cui si rappresenta l’attesa della chiamata e l’azione della risposta, la teorica volontà di ignorare il messaggio che arriverà e l’inevitabile istinto di rispondere qualcosa appena lo ricevi. È Yin ed è allo stesso tempo Yang, una cosa e il suo contrario: non può esistere l’una senza l’altra o, ancora meglio, è proprio quando la prima è arrivata al suo apice che finalmente può iniziare la seconda. L’artista ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Yin e yang” è il tup nuovo album, com’è nato e come si caratterizza?
“Yin e Yang” è un viaggio spirituale tra i miei ricordi personali, un viaggio d’amore, di delusione, di soddisfazione, di rabbia, di gloria. È un viaggio intimo, che ho affrontato in questi tempi difficili. Tutte queste emozioni diverse e contrastanti mi hanno guidato nella ricerca di armonie musicali differenti, alle volte persino contrastanti… Non c’era altro modo per tradurre in musica tutto questo e non c’era titolo più giusto di “Yin e Yang” per rappresentarlo!
In radio c’è stato il lancio del singolo “Il Telefono”, cosa vuoi trasmettere con questo brano?
“Il Telefono” rappresenta l’attesa della chiamata e l’azione della risposta, la teorica volontà di ignorare il messaggio che arriverà e l’inevitabile istinto di rispondere qualcosa appena lo ricevi. E’ indubbiamente Yin e Yang allo stesso tempo. Il cellulare è diventato un’estensione del nostro corpo, uno degli oggetti più personali e importanti nella vita di molte persone… Se ci pensi, oggi, ai tempi del coronavirus, l’unico mezzo che da lontani ci fa sentire vicini è il telefono, che è solo un oggetto, ma quando lo perdi per un secondo hai la sensazione di aver perso una parte di te.
Il brano presenta anche un videoclip, com’è strutturato?
Ho girato il video in casa, per conto mio, facendo di necessità virtù. Il Covid purtroppo ci ha limitati in molte cose, ma ho fatto di necessità virtù, come si suol dire. Ho sentito la necessità di stabilire una comunicazione diretta verso l’esterno, grazie al contatto esplicito con la camera attraverso l’uso degli sguardi e del dialogo con il pubblico. Anche in questo caso, l’interdipendenza dello Yin e dello Yang sono molto evidenti: proprio quando l’isolamento era nella sua fase più acuta, il desiderio di comunicare direttamente con gli altri mi ha travolto, spingendomi a scelte artistiche volte a ridurre il più possibile le distanze.
Ti sei avvicinato alla musica da piccolo, com’è nata questa tua passione?
La mia passione sicuramente nasce grazie ai miei genitori. La mia mamma apriva il Carnevale di Rio de Janeiro come prima ballerina e anche mio padre ballava. Sin da piccolo sono stato immerso nella musica, anche a casa, e da subito mia madre mi ha insegnato a ballare. Poi il mio percorso di formativo e professionale mi ha portato dapprima alla danza, a Milano, alla Scala… e poi finalmente al canto, quando a New York sono entrato in una chiesa battista di Harlem e da lì non mi sono più fermato!