La sensibilità di un artista molto particolare, a metà tra medicina e arte, in cui la pittura diventa mezzo espressivo per liberare la parte emotiva di sé
Oggi voglio rendere protagonista della rubrica un artista molto particolare, sia per la modalità espressiva sia per il dualismo che lo caratterizza nel quale unisce il suo lato più strettamente professionale a quello invece decisamente più creativo. Kassem infatti è un cardiochirurgo, dunque sebbene la sua mano sia abituata al tocco lieve con cui deve utilizzare il bisturi è costretto a impiegare il suo lato razionale, concreto, scrupoloso proprio perché da quel tocco dipende la vita dei suoi pazienti; è comprensibile dunque che in qualche modo senta la necessità di liberare poi quel lato più irrazionale, indeterminato, sregolato che accompagna inevitabilmente ogni atto creativo, soprattutto quando si ha a che fare con l’arte visiva, con la pittura, e che lui racchiude dentro di sé da sempre.
Le immagini di Kassem rappresentano tutta la sua interiorità, il sentire che ha raccolto durante le sue esperienze di vita, la malinconia che non può fare a meno di avvertire quando guarda le tante sofferenze che vive il popolo della sua terra di origine, la Siria, e di cui forse, nonostante ami tantissimo l’Italia e pur avendola scelta per far crescere i suoi figli, sente la mancanza, un richiamo delle origini che non riesce e non vuole dimenticare.
Dunque i suoi lavori sono intensi, legati al Fauvismo più vibrante, quello a tinte forti, quello che richiama il rosso delle ferite ma anche l’azzurro intenso della leggerezza, quello che fa uscire con forza il contrasto tra la libertà di essere esattamente ciò che ha voluto diventare, e il sentire il dolore per molti suoi connazionali che sono intrappolati in un mondo che non è più il loro e da cui non riescono a uscire.
Questa sensazione di impotenza è chiaramente evidente nell’opera Fuga di un dipinto da una muraglia blu, dove il corpo, poco importa se maschile o femminile, sembra voler richiamare a sé le ultime forze per fuggire da una cornice in cui si sente stretto come in una morsa, metafora di una guerra che il popolo di Kassem non ha chiesto, non ha voluto eppure è costretto a subire.
O ancora ne Il grido dell’anima e la pace interiore, in cui si ispira chiaramente all’Urlo di Munch trasformandolo, attraverso il suo personalissimo modo interpretativo, in una metafora della sofferenza che riesce a trovare un barlume di sollievo solo oscurando lo sguardo per trovare immagini interne, interiori, ricordi di momenti migliori che diventano una fuga dalla bruttura del presente.
Poi però, sorprendentemente in contrasto, giungono i lavori della serenità, quelli in cui la professione, la famiglia, l’amore, regalano all’artista quel sorriso, quel benessere che, a sua volta non può fare a meno di fuoriuscire, di palesarsi e arricchire la sua vita dei colori più brillanti, più vibranti, più gioiosi.
Ecco perciò descrivere se stesso mentre esplora l’arte, come nel dipinto Arte e scienza, da cui emerge la sua totale ammirazione per un passato figurativo che ha segnato la storia più radicata, quella da cui ogni artista trae ispirazione e che prende a modello o base da cui prendere il volo per dirigersi verso altre direzioni. Ha una formazione accademica Kassem, quella delle Belle Arti negli anni in cui viveva in Siria, e il suo percorso di studi è evidente nelle citazioni visive ai grandi del passato, quasi volesse sottolineare che quel passato è talmente prezioso che non dovrebbe mai essere distrutto da guerre, da interessi personali o da lotte fratricide, perché è troppo importante, è troppo determinante per il presente e per il futuro e come tale un tesoro inestimabile.
Dunque troviamo Klimt nel dipinto Famiglia al museo, Dalì nell’opera L’abbandono, Van Gogh in Arte e chirurgia, insomma, irrinunciabile il legame con l’arte immensa di periodi più o meno remoti e da cui tutto è iniziato. Ecco è dai grandi che trae ispirazione Kassem, a cominciare dalla tavolozza di colori quasi irreali proprio per dare risalto alla forza del sentire piuttosto che al restare fedeli alla realtà, per finire con il doversi confrontare con gli incubi determinati dalle proprie paure interiori, dai timori che le sofferenze non finiscano più e che la sensibilità dell’artista non può non sentire amplificate dentro se stesso.
E paradossalmente sceglie i colori più netti, pieni, contrastanti tra loro, per esprimere la serenità e la gioia, mentre utilizza le tonalità fredde, nebulose, sfumate quasi come se fossero in dissolvenza, per descrivere l’inquietudine, il dolore, la paura; in entrambi i casi però Kassem decide di viverle in pieno quelle emozioni, tuffandosi in esse, affrontandole, descrivendole, raccontandole con tutta la forza del suo sentire.
Le bellissime opere dell’artista naturalizzato milanese, saranno esposte al Teatro Binario 7 di Monza dal 6 al 14 ottobre, dunque occasione imperdibile per scoprire questo talento che viene da lontano e che ha scelto l’Italia come luogo in cui costruire se stesso, come professionista e come artista.
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Samer Kassem
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