“Siamo ancora capaci, mi sono chiesto, di muoverci non in branco? Di cercare strade personali, sentieri lungo cui camminare in compagnia dei nostri pensieri e niente più? Il tema degli assembramenti – che nella lingua italiana, prima del Covid-19, significavano un modo poco limpido e costruttivo di stare insieme – ce lo saremmo dovuti porre molto tempo prima, quando ci si ritrovava vicini a centinaia o migliaia non per il piacere di incontrarsi e generare amicizia, idee, progettualità, bensì, principalmente, per consumare. Quello di abitare il mondo da consumatore, più che da essere umano, capace per natura di pensieri, emozioni e intuizioni straordinarie, è un problema centrale della nostra epoca, perché questo comportamento ha un duplice, deleterio, effetto: quello di consumare noi stessi, senza vivere appieno tutte le nostre potenzialità, e di consumare anche i paesaggi che frequentiamo, lasciando contemporaneamente andare in malora quelli dove le masse non arrivano. E poco importa che siano i monti e le colline dove sorgevano i villaggi dei nostri progenitori, dove coltivavano i nostri nonni, dove ci portavano da piccoli la domenica prima che aprissero i centri commerciali e che oggi costituiscono i polmoni del nostro pianeta.
Eppure nei giorni di “tempo sospeso” qualche germoglio di cambiamento l’ho visto spuntare nei boschi ai margini della città, molto più interessante degli untori cui si è scatenata la caccia da parte di quelli che erano distratti quando a scuola l’insegnante spiegava i Promessi sposi. Ho visto bambini di solito costretti a tour de force tra scuola, compiti, allenamenti e corsi su tutto lo scibile umano, correre liberi sui sentieri e inventare grandi avventure. Ho visto ragazzi che si erano inerpicati quasi per caso sulla mulattiera, per portare a spasso il cane cui di solito pensava la mamma, tornare il giorno dopo con gli amici più cari. E li ho sentiti parlare tra loro quasi come Thoreau: «Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa [la vita], volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici». Io sento un grandissimo bisogno di semplicità. Ma come la pace, per cui nulla occorre, è così difficile da fare, allo stesso modo la semplicità spesso appare all’uomo troppo complessa da abitare.” (Pietro Berra)
“Improvvisamente sui nostri destini cade un silenzio pesante come il più pesante dei metalli vili, che gradualmente ed in maniera inesorabile corrode a tutt’oggi nel mondo gli spazi sociali, antropologici, ontologici ed umani, diventando una coltre spessa di desolazione, deriva e abbandono. In questa destinalità opprimente e oppressiva che un virus come il Covid 19 , letale e senza scrupoli, senza pietà, ha imposto a tutta l’umanità, sembra impossibile trovare una direzione, una soluzione. Ci hanno tolto gli abbracci, le parole, costringendoci ad una vita su misura da topi di laboratorio (misurati, sperimentati, osservati, contabilizzati, monitorati) , lasciati a noi stessi e alle condizioni igienico sanitarie, di buona condotta civile, di norme e regole, sorveglianza totale e globale senza più nemmeno il rispetto della privacy, come se il controllo totale su corpo e affetti abbia avuto il sopravvento sul cuore, sulla gentilezza, l’amore, la natura. Come se il Controllo sulle nostre vite, abbia avuto il tempo di modificarsi geneticamente in un mostruoso Leviatano che schiaccia slanci e fantasia, rendendo ogni cosa, anche la più dolce e innocua, solo poltiglia e fango. Nemmeno Michel Foucault, avrebbe mai potuto immaginare uno scenario di questo genere, avendo scritto un capolavoro come Sorvegliare e Punire così visionario, eppure così inutile alla luce di quello che sta accadendo nella nostra più immediata contemporaneità.
Già … perché sorvegliando e punendo si è in grado di spegnere il pensiero, che può diventare azione e rivolta … quella rivolta del pensiero che rende la Ragione luminescente e in grado di generare non mostri, ma senso e prospettiva. Si brancola davvero allora nel buio? Si naviga veramente a vista, su acque dove la fitta nebbia del caos copre il visus di noi instancabili esploratori del verso, e della parola, che fiutiamo la spinta del dire civile, che sentiamo a mille miglia di distanza la richiesta d’aiuto del prossimo, il suo desiderio di essere visto, ascoltato, accolto? Girandomi attorno direi che non ne usciremo migliori certo … vedo solo rassegnazione al peggio. Eppure poi versi come quelli di Pietro Berra, nati dalla quarantena, e destinati al futuro, come un fascio di luce purissima, riescono a squarciare le tenebre dell’indifferenza ricordandoci che la lotta si fa ogni giorno , anche in uno spazio limitato, centimetro dopo centimetro, per un sorriso in più, per uno sguardo in più e ancora prima di potersi stringere la mano, o sentirsi avvolgere in un caldo abbraccio. L’abitare luoghi e memoria ci dice il Nostro, sono oggi più che mai il sol dell’avvenire, di un domani che si dovrà ricostruire con la stessa forza dei fabbricanti di sogni, degli utopisti che non smettono mai di credere al plausibile e al migliore dei mondi possibili. Che dire poi delle foto d’arte di Mirna Ortiz Lopez. Sono una carezza tra le lacrime di chi giorno dopo giorno perde affetti e speranza. Anche il gesto di abbracciare un albero è rivoluzionario, anzi ci confermano le immagini che il salto di paradigma è nel ricominciare dai cinque sensi, dai giochi di luce, dai riflessi, dalle ombre. Mirna Ortiz Lopez è una visionaria tout court, nel senso che ha uno sguardo lucido, una visione, una prospettiva che riempie di valore inestimabile il quotidiano, il consueto, l’ordinario che anche dovrà far parte delle eccellenze del domani. Sono felice di pubblicare questi versi e questi scatti. Finalmente potrò insieme a questi due compagni di viaggio riprendere il cammino!” (dalla prefazione di Stefano Donno)
Pietro Berra – Nato a Como nel 1975, è giornalista, dal 2013 responsabile de L’Ordine, supplemento culturale domenicale dei quotidiani La Provincia di Como e La Provincia di Sondrio. Ha collaborato per dieci anni con il settimanale Diario diretto da Enrico Deaglio. Ha pubblicato ventidue volumi tra poesia, narrativa e saggistica. Come poeta è stato tradotto in inglese, spagnolo, rumeno, polacco e bulgaro. Collabora con festival letterari e cinematografici, due dei quali ha contribuito a fondare (ParoLario e Lake Como Film Festival). Coordina il Premio internazionale di letteratura “Alda Merini” e presiede l’associazione Sentiero dei Sogni, con la quale promuove progetti legati alla scoperta e valorizzazione dei territori attraverso la narrazione, creando sia eventi periodici (come le Passeggiate Creative) sia sistemi permanenti di interazione tra l’uomo e il paesaggio (la Lake Como Poetry Way e il Parco Letterario “Da Plinio a Volta. Viaggio nelle scienze umane”). Con I Quaderni del Bardo ha pubblicato in precedenza le sillogi: Ode al vento. Una historia de antípodas (2015) e Atlante salentino. Geografie poetiche di una terra estrema (2018).
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