L’Italia è stata nuovamente investita da una anomala ondata di maltempo che ha devastato, in maniera drammatica, il nostro Paese: dal Veneto alla Liguria, dal Trentino alla Sicilia. Forti venti, che hanno raggiunto raffiche di 190 chilometri orari, hanno raso al suolo centinaia di ettari di foreste dall’Altopiano di Asiago alla Val Badia fino alla Carnia. Colpita pesantemente anche l’agricoltura con ingenti danni stimati in 150 milioni di euro con campi allagati, coltivazioni distrutte o compromesse, ulivi secolari sradicati.
Le cause di questi eventi sono dovute ai cambiamenti climatici, diretta conseguenza del riscaldamento globale della Terra ad opera dell’uomo. Negli ultimi anni è in atto una fase di riscaldamento della temperatura media annua globale della superficie terrestre: (l’attuale temperatura media mondiale è più alta di 0,85ºC rispetto ai livelli della fine del XIX secolo) che rende la nostra penisola sempre più fragile a causa delle sue caratteristiche geomorfologiche, idrografiche e a una significativa antropizzazione del suo territorio esponendola ad una elevata criticità idrogeologica con fenomeni diffusi, ricorrenti e pericolosi di alluvioni e frane. Lo testimoniano i numerosi eventi calamitosi che negli ultimi settant’anni affliggono il nostro bel Paese.
Il 91% dei comuni italiani, con oltre 3 milioni di famiglie, vivono in zone ad alta criticità idrogeologica con oltre 7 milioni le persone che vivono in territori vulnerabili. Minacciato è anche il patrimonio culturale con 40 mila monumenti a rischio inondazione e 38 mila beni culturali in aree di frana.
Ma le alluvioni e frane che hanno colpito i giorni scorsi la nostra penisola non sono riconducibili esclusivamente a intensi fenomeni meteorologici, spesso è il risultato inesorabile di una cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo, basti pensare ai piccoli corsi d’acqua cementificati, intubati, imbrigliati lasciati senza alcuna manutenzione e altre azioni umane che assumono un ruolo sempre più determinante nella mancata tutela del territorio.
È auspicabile evitare di alterare il bilancio dei sedimenti nei bacini idrografici contrastando questi fenomeni naturali solo dov’è indispensabile, realizzando opere che andranno progettate adeguatamente, realizzate con criterio e soprattutto mantenute nel tempo. Altro problema, nonostante la Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE, è la gestione dei corsi d’acqua per la riduzione del rischio idraulico.
È opinione comune che alberi, arbusti, erbe e piante acquatiche in golena siano “sporcizia” da rimuovere e non una condizione naturale da tutelare. Dal punto di vista idraulico, la presenza di tale vegetazione aumenta la cosiddetta “scabrezza” regolando e rallentando così il deflusso della massa idrica in eccesso in caso di nubifragi oltre a essere riparo e siti di riproduzione di numerose specie animali. Anche il disboscamento e gli incendi, contribuiscono ad aumentare la criticità di un territorio già sofferente. Infatti, la copertura forestale è la più efficace opera di protezione del suolo: le radici di alberi e arbusti consolidano il terreno, mentre le chiome trattengono la pioggia, aumentando il tempo che le acque impiegano per giungere al corso d’acqua recettore.
C’è bisogno di una cultura del suolo e del suo utilizzo, scegliendo come prioritaria la sicurezza della collettività e mettendo fine a quegli usi speculativi e abusivi del territorio che troppo spesso caratterizzano ampie aree del nostro Paese. L’indiscriminato uso del suolo, che l’uomo con le sue attività distrugge, è spesso avvenuto in assenza di una corretta pianificazione territoriale e in assenza di necessarie regole e autorizzazioni per la tutela dell’ambiente.
In un momento storico così delicato altro problema da prendere in considerazione è il linguaggio di alcuni giornalisti o politici che si avvalgono di termini tecnici, talvolta non conoscendo esattamente di cosa si tratta. Infatti non possiamo chiamare “bomba d’acqua” quello che in realtà è un rovescio temporalesco oppure identificare, come spesso avviene, il “rischio idrogeologico” come condizione patologica di un territorio in quanto si tratta di un naturale processo fisiologico del pianeta Terra dovuto alla sua dinamicità. È importante considerare che la penisola italiana è geologicamente molto giovane ed instabile, e che la natura impone sempre all’uomo dei limiti che non andrebbero sfidati, ma rispettati.
A cura di Daniele Berardi
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