Sono arrivato nella “zona delle piume” una domenica mattina. Avevo voglia di muovermi in un luogo poco frequentato. Seguo viottoli incerti e spesso pericolosi che segnano cupe gibbosità a volte coperte da cespugli di bacche selvatiche, a volte, invece, sono brulle e segnate da sentieri creati da animali in cerca di erba.
Sapevo che una donna anziana raccoglieva le piume degli uccelli per farne dei materassi rustici da vendere nelle fiere di montagna. Riesco a trovare la vecchia e le chiedo se mi accompagna nella chiesuola costruita all’inizio del secolo dai carbonai.
Passiamo accanto a ruderi e casolari abbandonati dove l’aria è quasi sempre punteggiata da piume e penne: o perché strappate da galline e piccioni da chi vive sulla cresta dei monti o sono piume che gli uccelli perdono quando cambiano la muta nel cielo di questo mondo separato
Ogni tanto costeggiamo colline di croste di pietra friabile che si frantuma col sole e con i soffi di vento. Così il materiale granuloso che rotola giù per la collina crea delle piccole piramidi di frantumi lungo la strada che scende al ponte di Sestino.
Dovevamo raggiungere la parte di roccia chiara che nel mese di luglio riverbera nella valle la luce della luna piena che batte su quella facciata creando luminosità particolare. Superiamo questa parte dura e camminiamo lungo una fessura sassosa che ci fa arrivare in uno spiazzo d’erba su cui stanno in bilico farfalline bianche che si alzano subito in volo.
La chiesuola è circondata da un gruppo di cerri che arrivano fino al torrente sassoso. Una bava di vento scende lungo la spaccatura dei monti e accarezza i muri della vecchia costruzione.
Era stata costruita, come ho già detto, dai montanari che un tempo producevano carbone per tutta la valle.
La vecchia chi mi accompagna apre la porta della chiesa chiusa da un bastone orizzontale. Non ho visto subito l’interno. Mi è arrivato un odore di limone e solo quando mi sono affiancato a guardare scopro con meraviglia, che il pavimento è formato da un tappeto verde Luisa, che si muove leggermente per lo sbuffo di vento che oltrepassa la finestrella posteriore.
Non c’è niente altro, solo quelle foglie. “Tutte le domeniche, mi confida la vecchia, io mi inginocchio all’esterno e respiro l’odore di limone che mi tiene in un’aria di devozione. E’ la mia messa. Le foglie verdi diritte sul pavimento stanno in salute tutto l’anno perché dalla piccola finestra arrivano anche sprazzi di pioggia che inumidiscono il terreno”.
Chi ha piantato quelle foglie? chiedo incuriosito. La vecchia riempie gli occhi di incertezza. Comunque risponde: “Devo dire che le foglie muoiono e ricrescono. C’è qualcuno che vuole così, non so chi è”.