Memoria e Destino sono i pilastri fondamentali dell'”L’uomo di ghiaccio”, il libro di Antonio Crisci, fresco di stampa nei tipi della Casa Editrice Miano di Milano. Ivi si sviluppano le vicende della storia collettiva europea e della storia di individui reali, inerenti in particolare le tragiche vicissitudini della ritirata dalla Russia dell’Armir (Armata Italiana in Russia) durante la Seconda Guerra Mondiale (1942-43). E s’intrecciano i loro destini, non scelti né voluti dai protagonisti stessi, ma determinati dai grandi scenari storici, dalle follie belliche, da entità superiori (Stato, Partito, Ideologia, Esercito…) manipolatrici della libertà e della dignità dell’uomo. L’autore non ha vissuto in prima persona l’esperienza devastante e disumana di quella ritirata dalle gelide terre invernali del Bassopiano Sarmatico – dove s’era infranta anche la megalomania napoleonica – ma ha raccolto sufficienti testimonianze di soldati italiani combattenti per dimostrare le sofferenze patite, l’abbandono provato, lo sbandamento totale, ma anche episodi di esemplare solidarietà umana.
Il volto sinistro della guerra, una guerra d’invasione, il sacrificio degli innocenti, emerge chiaramente dalle narrazioni dei reduci a cui Antonio Crisci dà voce. Nel capitolo Il miracolato, il soldato Alfonso – disperso con altri nella steppa tra freddo e morti – è costretto ad assistere alla fine del fratello per assideramento e non gli resta, dopo le lacrime e il dolore, che un gesto di pietà cristiana: “… Anche per Aniello non potette fare altro che seppellirne il corpo sotto uno strato di neve. Nessuno avrebbe saputo che sotto quel cumulo di neve c’era il corpo di un uomo, il corpo di una persona che viveva felice del proprio lavoro e che per scellerate decisioni di terzi (corsivo mio) era andato a morire in terra straniera”. La stessa fine stava per capitare ad Alfonso che, a sua volta allo stremo delle forze, s’era accasciato per terra ad attendere il suo destino finale, ma venne salvato da una famiglia di contadini di passaggio: “ … La guerra con la sua ferocia rende duri anche gli animi inclini alla pietà (idem). Il vecchio che era alla guida del carro stava per passare oltre quel corpo sepolto sotto la neve … quando uno dei figli … saltò dal carro e cominciò a liberare quel corpo dalla neve. Ciò facendo, si accorse che l’uomo respirava ancora …”. Alcuni soldati – tutte persone semplici e figli del popolo – prima di partecipare alla campagna di Russia, si trovavano sul fronte greco-albanese e uno di questi, accusato di diserzione per essersi nascosto ferito dopo un agguato, andò davanti ad una commissione esaminatrice: “… Inoltre aggiunse che sia lui che tanti altri giovani non si trovavano in Grecia a fare la guerra per propria volontà, ma qualcuno li aveva obbligati in nome della Patria (idem)…”.
I miei corsivi vogliono mettere in risalto ciò che anche altri reduci illustri scrissero nei loro libri: Giusto Tolloy (Con l’armata italiana in Russia, 1946) e Nuto Revelli (Mai tardi, 1947) sollevarono le responsabilità dei vertici militari accusati di lassismo, corruzione e incompetenza, insieme alla indignata denuncia del comportamento tedesco, ritenuto causa di molte delle sofferenze patite dall’Armir in Russia. Negli anni successivi la produzione memorialistica su questo tema fiorì notevolmente, dando alla luce opere di successo e di indubbio valore letterario: Centomila gavette di ghiaccio (1963) di Giulio Bedeschi; Il sergente nella neve (1953) di Mario Rigoni Stern; La ritirata di Russia (1965) di Egisto Corradi; I più non ritornano (1968) di Eugenio Corti… e altri. L’autore mette sull’altro piatto della bilancia il comportamento discutibile dei comunisti italiani e russi, del PCI e del segretario Palmiro Togliatti, ritenendolo ambiguo ed equivoco ed invoca la celebrazione di una giornata della memoria anche per le vittime della ritirata di Russia.
Tecnicamente lo stile narrativo del libro si avvale di una prosa dal linguaggio “asciutto” che “ha il pregio della semplicità e della concretezza grazie” al suo spessore “comunicativo”, come scrive Michele Miano nella sua Introduzione. In effetti la lettura è scorrevole, piacevole, avvincente e suggestiva, data anche la forza intrinseca del tema e la trama non interrotta dalla forma dialogica. I filoni narrativi sembrano inizialmente l’uno staccato dall’atro, ma alla fine si ricongiungono puntualmente svelando al lettore il destino intrecciato dei personaggi. Un libro stimolante per riflessioni sul senso della Storia che, purtroppo, non è ancora diventata per gli uomini maestra di vita, uomini che nemmeno quando si trovano immersi nelle tenebre delle guerre ritornanti, si accorgono del valore sacro e incommensurabile della vita e della libertà.
Enzo Concardi
Antonio Crisci, L’uomo di ghiaccio, introduzione di Michele Miano, II° edizione, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 136, isbn 978-88-31497-91-6, mianoposta@gmail.com.