TORINO – Prove per la scienza, finora, non ce ne sono, ma nel giudicare la causa di un dipendente Telecom Italia colpito da neurinoma del nervo acustico, la Corte d’Appello di Torino non ha avuto dubbi. Per i giudici di secondo grado, che hanno confermato la sentenza pronunciata nel 2017 dal tribunale di Ivrea, c’è un nesso di causa-effetto tra quel tumore al cervello – benigno ma invalidante – e l’abuso del cellulare.
Confermata dunque la condanna nei confronti dell’Inail, che dovrà corrispondere all’uomo una rendita vitalizia da malattia professionale, con una decisione destinata a riaprire la discussione sulle conseguenze dell’eccessiva esposizione alle onde elettromagnetiche.
“Basta usare il cellulare trenta minuti al giorno per otto anni per essere a rischio”, sostengono gli avvocati torinesi Stefano Bertone e Renato Ambrosio, dello studio Ambrosio&Commodo, legali di un uomo colpito dal tumore a cui i giudici hanno riconosciuto il risarcimento. “La sentenza è storica, come lo era stata quella di Ivrea”, sottolineano Bertone e Ambrosio. “La nostra è una battaglia di sensibilizzazione – dicono – manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini”.
C’è però chi dice no: “L’ipotesi che l’uso prolungato del cellulare possa causare tumori alla testa”, alla base della sentenza della Corte d’Appello di Torino, “non è fondata su una base scientifica. Finora, nessuna correlazione è stata provata tra i campi elettromagnetici dei cellulari e l’insorgenza di tumori. Ci sono solo dei sospetti di cancerogenicità ma non confermati”. Così, all’ANSA, Alessandro Vittorio Polichetti, primo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).
Già nel caso della sentenza di primo grado del 2017, confermata in appello, ricorda l’esperto di radiazioni elettromagnetiche dell’Iss, “ci esprimemmo sottolineando che la decisione non era fondata su una base scientifica. E, da allora, anche le successive evidenze non hanno fatto altro che confermare questa impostazione, comprese quelle esaminate nel Rapporto Istisan, realizzato dall’Iss in collaborazione con Enea, Cnr e Arpa Piemonte nel 2019, che raccoglie i risultati di tutti gli studi in materia”.
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), nel 2011 ha classificato, sulla base di studi epidemiologici, i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibili cancerogeni, ma questo significa, spiega Polichetti, che “di fatto, nessuna correlazione è stata ancora stabilita”, a differenza delle sostanze classificate come certamente cancerogene per l’uomo (raggi UV, alcol, sigarette) e di quelle probabilmente cancerogene, ovvero il cui nesso col tumore è stato dimostrato sugli animali (come il consumo di carni rosse).
Il tema è stato ampiamente studiato in tutto il mondo, ma “i pochi studi che hanno mostrato qualche debole evidenza sul legame tumori e cellulari, erano limitati da problemi metodologici, dovuti al fatto che sono indagini retrospettive condotte su persone che hanno avuto una diagnosi di tumore e che, nel ricordare l’uso fatto degli smartphone negli anni precedenti, potrebbero esser portate a sovrastimarne l’utilizzo”.