Le dinamiche sociali, l’inseguimento dell’individualismo a ogni costo, l’incapacità di entrare in connessione con persone apparentemente vicine ma in realtà incredibilmente lontane sono tra le tematiche principali della ricerca interiore e della manifestazione espressiva di molti artisti che avvertono in maniera particolarmente incisiva questi disagi. L’artista che andremo a conoscere oggi affronta questi argomenti attraverso uno stile pittorico apparentemente razionale e distaccato trasformandolo in stimolo, per sé e per l’osservatore, per una riflessione profonda.
Quando per la prima volta, intorno agli inizi del Novecento, cominciò a prendere piede un’arte particolare, completamente lontana da tutti i canoni tradizionali e con la ferma convinzione di determinare una rivoluzione sul modo di intendere l’atto creativo, vi fu anche la netta presa di posizione da parte dei teorici di questa arte, che prese il nome di Astrattismo Geometrico, nel depurare il gesto pittorico da ogni influenza emotiva da parte dell’esecutore dell’opera. Kazimir Malevic segnò la prima traccia, la fondamenta principale, attraverso il suo Suprematismo con cui intendeva affermare il predominio del puro atto espressivo senza necessità di ricorrere alla rappresentazione, aprendo le porte così a tutte le correnti successive per cui la non forma costituiva l’essenza dell’opera d’arte. Poco dopo in Olanda, Piet Mondrian e Theo Van Doesburg estremizzarono l’intuizione di Malevic basando le linee guida del De Stijl sulla matematica, sull’utilizzo di forme geometriche e colori primari, rettangoli e quadrati per le forme e blu, rosso, giallo, bianco e nero per i colori, dando vita a opere determinate, quasi scientifiche e che nulla dovevano trasmettere dell’emozione e dell’individualità degli esecutori. Quel rigore, quell’inflessibilità nel volersi attenere, senza mai aprirsi neanche ad altre forme geometriche, alle linee guida inziali da parte dei fondatori del De Stijl indusse il movimento a estinguersi e a evolversi, in altre parti d’Europa, sfociando nell’Astrattismo Geometrico che accettò anche le forme circolari, esagonali, triangolari e ampliò la gamma cromatica. Ciò che rimase invariato fu l’approccio esecutivo, l’intento pittorico che doveva continuare a mantenere il distacco emotivo dall’opera da parte dell’artista il quale approcciava la tela per il puro piacere della perfezione dell’atto plastico, del gesto della creazione fine a se stessa e priva della figurazione che tanto aveva contraddistinto l’arte fino a quel momento di rottura. Salvatore Mammana, in arte Manà, attualizza il rigore dell’Astrattismo Geometrico arricchendolo di significati che scaturiscono dalla sua naturale tendenza all’osservazione della vita contemporanea, di tutte le tematiche che contraddistinguono l’uomo in una società in cui l’individualismo ha preso il sopravvento rispetto all’antico e più caldo senso di comunità, ma anche cercando di trasformare le rigide forme geometriche in metafora di tutto ciò che appartiene a una quotidianità bizzarra se paragonata a quella di qualche decennio fa.
Una quotidianità in cui si tende a isolarsi nel proprio mondo fatto di certezze per poi sentirsene isolati e lasciar fuoriuscire il malessere che da quel senso di isolamento deriva; un’esistenza in cui ogni cosa dovrebbe essere spiegata attraverso la logica, la rigidità di calcoli geometrici e matematici ma che inevitabilmente deve fare i conti con l’emozione, l’irrazionalità, l’imprevisto. Le opere di Manà hanno per questo colori tenui, sfumati soprattutto negli sfondi, in contrapposizione alle tonalità più nette e definite delle figure, sebbene anch’esse presentino costantemente un’ombra, un riflesso, un ammorbidimento di quel definito che in fondo può mutare se osservato da un punto di vista differente.
Le forme più comuni nelle opere di questo artista di origine siciliana ma da anni residente a Roma, sono il rettangolo e il quadrato sottili e vicini tra loro, quasi dei listelli, proprio come negli esordi di Piet Mondrian, eppure le opere non hanno nulla della razionalità scientifica e quasi fredda del maestro del De Stijl, tutt’altro, con Manà si entra in un mondo quantico, di possibilità differenti, di sfumature cangianti in grado di modificare tutto ciò che la mente logica osserva.
La tela E=mc2 sottolinea il punto di vista dell’artista proprio descrivendo per immagini la formula del genio della fisica Albert Einstein, rappresentando quell’energia di cui la formula parla attraverso piccoli quadrati energetici ai quali infonde il senso del movimento, quel possibilismo all’interno di cui si è in grado di modificare il punto di destinazione spostando leggermente il punto di partenza o di osservazione. Nonostante l’approccio scientifico non vi è determinismo in quest’opera, non vi è rigore bensì un mondo in costante fluttuazione, in evoluzione su se stesso.
Così come in Spazio-Tempo Manà non può fare a meno di sottolineare la fuggevolezza e l’instabilità di una dimensione alla quale l’uomo tende da sempre ad aggrapparsi per cercare di fermarla, senza mai riuscirvi proprio a causa della sua caratteristica di transitorietà; dunque, sembra esortare l’artista, più che illudersi di poter arrestare ciò che inevitabilmente sfugge, è meglio lasciarsi andare e impiegare il tempo, approfittarne, nello spazio in cui si è o in cui si desidera stare. Ecco perché il centro della figurazione è dato dalle forme quadrate che poi, verso l’esterno divengono impalpabili scie, intense ma al contempo evanescenti.
Nella tela Intensità invece la definizione dei piccoli listelli rettangolari è netta proprio per infondere nell’osservatore il senso dell’importanza di ogni singola emozione, di ciascun tassello di sensazione che si unisce alle altre per avvolgere in modo corale l’interiorità; è solo attraverso l’apertura nei confronti di quella sinfonia emozionale che si può imparare ad accettare il brutto e il bello che la vita offre, perché è anche in quell’altalena che si nasconde l’essenza della vita.
Gli intrecci, le intersecazioni tra linee rette che generano piccole forme rettangolari, sono il tema dell’opera Tessuto sociale, in cui Manà racconta le interazioni costanti a cui ciascuno di noi è soggetto nel corso della sua quotidianità senza riuscire a entrare, nella maggior parte dei casi, in reale contatto con l’altro, restando isolati nella propria quotidianità senza essere in grado di guardare negli occhi le persone che incontriamo ogni giorno perché troppo distratti dalla fretta del vivere. Eppure, incalza l’artista, è esattamente il senso di comunità, di sostegno e di aiuto che ha contraddistinto le generazioni precedenti costruendo una rete di solidarietà fondamentale a non far sentire sole le persone, e dunque forse sarebbe meglio fare un passo indietro e ritornare verso quel valore perduto, quel modo di vivere diverso, anacronistico forse, ma senza dubbio migliore.
Artista riservato e schivo, Salvatore Mammana dipinge da sempre, nonostante abbia scelto di abbandonare gli studi accademici perché troppo rigorosi per la sua natura pacatamente ma determinatamente libera, e nel corso della sua lunga carriera ha esposto le sue opere in pochi e selezionatissimi eventi riscontrando però grande successo di pubblico e anche da parte degli addetti ai lavori.
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