La figura della donna è stata sempre utilizzata per esprimere delicatezza, eleganza, emotività e soprattutto è stata eletta dagli autori maschili a icona di bellezza di cui cercare di scoprire, e riprodurre, il mistero, la profondità dell’animo o un mondo interiore difficilmente decifrabile da una sensibilità tanto diversa come quella appartenente all’uomo, per quanto artista e dunque predisposto al sentire e al percepire potesse essere. A partire dall’epoca moderna furono sempre di più le personalità femminili che divennero icone del mondo dell’arte, nel senso che furono proprio loro a raccontare se stesse per dare una versione probabilmente meno idealizzata ma sicuramente più reale di tutto ciò che costituiva la loro essenza. La protagonista di oggi sceglie di esplorare a sua volta quel mondo sfaccettato e intenso attraverso l’osservazione di scorci di quotidianità, di pensieri e di stati d’animo enfatizzati da una gamma cromatica essenziale quanto di forte e suggestivo impatto.
Tra le rivoluzioni artistiche che ebbero inizio nel tardo Ottocento e che si concretizzarono, assumendo altre forme, nel Novecento, vi fu anche l’affermazione di donne artiste che fino a qualche decennio prima erano state una vera e propria rarità; già a partire dall’Impressionismo infatti, figure come Berthe Morisot e Mary Cassatt introdussero nei loro dipinti una rappresentazione diversa della femminilità, più quotidiana, più ordinaria forse e sicuramente più orientata a mostrare la parte più vera e meno iconica dell’essenza della donna. Gli sguardi e le pose erano meno vezzosi ma in grado di mostrare in modo schietto tutto quell’enigma mai svelato dagli autori uomini che si trasformava così in purezza, spontaneità anche laddove la consapevolezza del proprio fascino era protagonista assoluta della tela. Ma fu il Ventesimo secolo ad assistere alla nascita di grandi interpreti dell’arte al femminile che divennero il punto di partenza e l’ispirazione per tutta la successiva generazione di pittrici; tre tra le maggiori rappresentanti, sebbene appartenenti a stili completamente diversi, e tutte con una storia di coraggio e di determinazione alle spalle, furono Tamara de Lempicka, Frida Kahlo e Margaret Keane che lasciarono una traccia profonda nel mondo dell’arte della prima metà del Novecento attraverso la loro sensibilità osservativa, la loro empatia e il desiderio di creare qualcosa di nuovo laddove prima non c’era. Se da un lato la Keane mostrò il suo lato più materno dando vita ai meravigliosi bambini dagli occhi grandi, dall’altro la Kahlo iconizzò se stessa mostrando tutto il suo dolore fisico, la sua ossessione sentimentale per Diego Rivera e lasciando fuoriuscire la dimensione un po’ surreale e un po’ Naïf con cui osservava la realtà. Ma quella che forse riuscì più di tutte a dare una versione inedita della donna fu Tamara de Lempicka poiché ne seppe sottolineare l’elegante raffinatezza che apparteneva al periodo in cui operò e al contempo lasciò sottintesi i turbamenti, i pensieri e le sensazioni che si intuivano al di sotto dell’aspetto patinato e impeccabile. Dal punto di vista pittorico la de Lempicka seppe dare una nuova veste al Realismo, riadattandolo all’Art Déco di cui fu indiscussa regina, lasciando la perfezione descrittiva alle pieghe degli abiti e rendendo stilizzati i volti con cui celava il mondo delle emozioni.
L’artista Maddalena Tiblissi, in arte Medea, unisce le linee guida del Realismo e dell’Art Déco per dare vita a una cifra stilistica originale che la contraddistingue sia per le atmosfere ombrose contrapposte alla vivacità e alla passionalità del rosso di molti sfondi e sia per la raffinatezza delle pose e degli atteggiamenti immortalati, come se le sue protagoniste, tutte donne, fossero colte dall’artista in quel preciso momento di distrazione dalla forma in cui il velo non può fare a meno di cadere lasciando intravedere un mondo interiore ricco e permeato da un approccio introspettivo che tende a scendere molto più in profondità di quanto appaia a un primo sguardo.
Il risultato visivo è un’atmosfera crepuscolare, a volte notturna perché in fondo è solo con la complicità del buio e del riflesso della più debole luce che le difese vengono abbattute ed è possibile affrontare quel dialogo con se stesse che in altri momenti non sembra possibile intraprendere; l’atteggiamento delle donne narrate da Medea è contraddistinto da una sicurezza in se stesse che sembra una corazza per l’esterno ma che poi viene un attimo dopo messa in discussione da una piega ai lati della bocca, da uno sguardo che sembra vagare lontano come a cercare risposte a domande mai fatte, dalla fierezza delle pose che in qualche modo permette all’osservatore di essere attratto dall’estetica dell’arte per poi sentire la necessita di andare oltre e comprendere quelle essenze diverse ciascuna delle quali è un universo a se stante.
La bicromia azzurro-rosso che contraddistingue molte tele si sofferma sulla duplice natura femminile, quella di essere morbida sognatrice e dolce portatrice di emozioni e quella di essere anche sensuale, seducente perché la passionalità in fondo è l’altra faccia della medaglia di un’innata capacità di convivere con il proprio sentire senza lasciarsene spaventare.
La tela La nature, triste, s’en va mostra esattamente questo dualismo, la contrapposizione tra lo sfondo piatto di un rosso pieno e denso, quasi volesse sottolineare la forza delle circostanze esterne, e la posizione contrita, abbattuta che non permette alla donna di voltarsi verso l’osservatore per mostrare il suo malessere, la tristezza evocata dal titolo. In questo caso la ragazza rappresenta la natura, perché la donna è capace di generare la vita, che sembra rifiutare l’irruenza incosciente di un’umanità che non fa che danneggiarla, mortificarla, calpestarla nella sua essenza; quello che sembra a un primo sguardo essere un abito lungo e sontuoso, di fatto nasconde una piccola tutina da bambino quasi a sottolineare quanto tutto perda il suo senso se l’ambiente circostante diviene ostile al punto di costringerla a non assolvere più al suo compito di dare alla luce e nutrire.
Nell’opera Molteplicità invece il colore rosso è appena accennato e lascia spazio a un gioco di specchi da cui emergono dettagli che nella parte in primo piano non si scorgerebbero; ecco dunque che laddove dal davanti il volto della ragazza esprime sicurezza e consapevolezza, dallo specchio alle sue spalle emerge invece una piega più amara dell’angolo della bocca, come il pensiero nascosto corresse a un episodio da cui si è sentita delusa, non considerata nel modo in cui avrebbe voluto e costretta a fare i conti con un senso di sconfitta che vuole nascondere persino a se stessa, raccontandosi di essere superiore e di non aver subito alcun contraccolpo da quanto vissuto. Questa è la capacità più evidente di Medea, quella di leggere tutto ciò che è interno, segreto, e che appartiene all’universo ricco e sfaccettato di ogni donna facendolo poi emergere in modo sottile, sussurrato, in virtù di quel gioco di luci e ombre che tanto caratterizza la sua pittura e che diviene il suo tratto più distintivo. Nel momento in cui entra nella sfera introspettiva, raccontando i segreti inespressi delle sue protagoniste, sceglie dunque le diverse gradazioni di blu che sembrano definire con delicatezza le espressioni più sognanti, più intime e pertanto quasi da nascondere anche con la pittura, per non violare la riservatezza delle donne che ritrae, quasi in Medea vi fosse una sorta di riverenza che la induce a socchiudere la porta per sbirciare il loro mondo interiore ma senza entrarvi in maniera totale.
Questo è il caso della tela La ragazza senza orecchino, dove parafrasando e contemporaneamente citando la celeberrima opera di Jan Vermeer, ne dà una versione più attuale e al contempo più femminile nel punto di vista poiché Medea non desidera scoprire il pensiero, la sensazione della donna, piuttosto la avvolge del blu più profondo per poi lasciare solo una lama di luce a svelare quello sguardo assorto, o forse sarebbe meglio dire rapito dal profumo di un ricordo, dalla memoria di qualcosa che ha recentemente fatto parte della vita della protagonista ma poi se ne è allontanato. La mancanza dell’orecchino focalizza ancor di più l’attenzione sulla sostanza piuttosto che sull’apparenza, sul percepire piuttosto che sull’osservare una forma che distrarrebbe da quel momento unico di presa di coscienza della forza di un’emozione.
Maddalena Medea Tiblissi ha al suo attivo la partecipazione al Salon des Indépendants alla fine degli anni ’90 e alla Biennale di Firenze nel 2003. Ha collaborato con la Ken’s Art Gallery di Firenze, ha partecipato alla Triennale di Roma e all’evento Congiunti che ha avuto luogo a Cannes nel 2022. È inserita nell’Atlante dell’Arte Contemporanea edizioni 2021 e 2023.
MEDEA-CONTATTI
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Female seduction in the twilight atmospheres of Medea, between Realism and Art Deco to discover a delicate, whispered inner world
The figure of the woman has always been used to express delicacy, elegance, emotionality and, above all, has been elected by male authors as an icon of beauty whose mystery, depth of soul or inner world they sought to discover, and reproduce, was difficult to decipher by a sensibility as different as that belonging to a man, however much of an artist and therefore predisposed to feeling and perceiving he might be. From the modern era onwards, more and more female personalities became icons of the art world, in the sense that it was they who narrated themselves in order to give a version that was probably less idealised but certainly more real of all that constituted their essence. Today’s protagonist chooses to explore that multifaceted and intense world in turn through the observation of glimpses of everyday life, thoughts and moods emphasized by a chromatic range that is both essential and with a strong and evocative impact.
Among the artistic revolutions that began in the late 19th century and that took on other forms in the 20th century, there was also the affirmation of women artists who until a few decades before had been a rarity; in fact, as early as Impressionism, figures such as Berthe Morisot and Mary Cassatt introduced a different representation of femininity in their paintings, more everyday, more ordinary perhaps and certainly more oriented towards showing the truest and least iconic part of the essence of women. The gazes and poses were less vexatious but capable of candidly showing all that enigma never revealed by the male authors, which was thus transformed into purity, spontaneity even where the awareness of one’s own charm was the absolute protagonist of the canvas. But it was the 20th century that witnessed the birth of great interpreters of female art who became the starting point and inspiration for the entire subsequent generation of female painters; three of the greatest representatives, although belonging to completely different styles, and all with a history of courage and determination behind them, were Tamara de Lempicka, Frida Kahlo and Margaret Keane who left a deep mark on the art world of the first half of the 20th century through their observational sensitivity, empathy and desire to create something new where there was none before.
If on the one hand Keane showed her more maternal side by giving life to the wonderful big-eyed children, on the other hand Kahlo iconised herself by showing all her physical pain, her sentimental obsession for Diego Rivera and letting out the somewhat surreal and somewhat Naïf dimension with which she observed reality. But the one who perhaps succeeded most of all in giving an unprecedented version of the woman was Tamara de Lempicka, as she was able to emphasise the elegant refinement that belonged to the period in which she worked and at the same time leave implied the turmoil, thoughts and feelings that could be perceived beneath the glossy and impeccable appearance. From a pictorial point of view, de Lempicka was able to give a new twist to Realism, readapting it to the Art Deco of which she was the undisputed queen, leaving descriptive perfection to the folds of the clothes and stylising the faces with which she concealed the world of emotions. The artist Maddalena Tiblissi, aka Medea, combines the guidelines of Realism and Art Deco to give life to an original stylistic code that distinguishes her both for the shadowy atmospheres contrasted with the vivacity and passion of the red of many backgrounds and for the refinement of the poses and attitudes immortalised, as if her protagonists, all women, were caught by the artist in that precise moment of distraction from form in which the veil cannot help but fall, allowing a glimpse of a rich inner world permeated by an introspective approach that tends to go much deeper than it appears at first glance.
The visual result is a twilight atmosphere, at times nocturnal, because after all, it is only with the complicity of darkness and the reflection of the faintest light that defences are broken down and it is possible to engage in that dialogue with oneself that at other times does not seem possible; the attitude of the women narrated by Medea is characterised by a self-confidence that seems to be an armour for the outside world, but which is then questioned a moment later by a crease at the sides of the mouth, by a gaze that seems to wander far away as if seeking answers to questions never asked by the boldness of poses that somehow allows the observer to be attracted to the aesthetics of art and then feel the need to go further and understand those different essences each of which is a universe in itself. The blue-red bichromy that distinguishes many of the canvases dwells on the dual nature of women, that of being soft dreamers and sweet bearers of emotions and that of being also sensual, seductive because passion is basically the other side of the coin of an innate ability to live with one’s own feelings without being frightened by them.
The canvas La nature, triste, s’en va shows exactly this dualism, the contrast between the flat background of a full, dense red, almost as if to emphasise the strength of external circumstances, and the contrite, dejected position that does not allow the woman to turn towards the observer to show her malaise, the sadness evoked by the title. In this case, the girl represents nature, because woman is capable of generating life, which seems to reject the unconscious impetuosity of a humanity that does nothing but damage it, mortify it, trample its essence underfoot; what appears at first glance to be a long, sumptuous dress actually conceals a small child’s onesie as if to emphasise how everything loses its meaning if the surrounding environment becomes hostile to the point of forcing it to no longer fulfil its task of giving birth and nurturing. In the artwork Molteplicità (Multiplicity), on the other hand, the colour red is barely hinted at and leaves room for a play of mirrors from which details emerge that would not be discernible in the foreground; thus, where from the front the girl’s face expresses confidence and awareness, from the mirror behind her emerges a more bitter crease in the corner of her mouth, as if the hidden thought was of an episode in which she felt let down, not considered in the way she would have liked and forced to come to terms with a sense of defeat that she wants to hide even from herself, telling herself that she is superior and has not suffered any repercussions from what she experienced.
This is Medea‘s most evident ability, that of reading everything that is internal, secret, and that belongs to the rich and multifaceted universe of every woman, then bringing it out in a subtle, whispered way, by virtue of that play of light and shadow that so characterises her painting and that becomes her most distinctive feature. When she enters the introspective sphere, recounting the unexpressed secrets of her protagonists, she therefore chooses different shades of blue that seem to delicately define the most dreamy, most intimate expressions and therefore almost to be hidden even with painting, so as not to violate the confidentiality of the women she portrays, almost as if in Medea there were a sort of reverence that induces her to ajar the door to peek into their inner world but without entering it completely.
This is the case in the painting The Girl without an Earring, where, paraphrasing and at the same time quoting Jan Vermeer‘s famous painting, she gives a more contemporary version and at the same time a more feminine point of view, since Medea does not want to discover the woman’s thoughts, her feelings, but rather envelops her in the deepest blue and then leaves only a blade of light to reveal that absorbed gaze, or perhaps it would be better to say ravished by the scent of a memory, by the memory of something that has recently been part of the protagonist’s life but has then disappeared. The absence of the earring focuses attention even more on substance rather than appearance, on perceiving rather than observing a form that distracts from that unique moment of becoming aware of the strength of an emotion. Maddalena Medea Tiblissi has participated in the Salon des Indépendants in the late 1990s and the Florence Biennale in 2003. She has collaborated with Ken’s Art Gallery in Florence, participated in the Rome Triennale and the Congiunti event in Cannes in 2022. She is included in the Atlas of Contemporary Art editions 2021 and 2023.