Compositore, pianista e direttore d’orchestra, Damiano Davide ha alle spalle una vita musicale ricca di esperienze diverse tra loro che sono confluite nel suo disco da solista “Mirror”, composto durante il lockdown della scorsa primavera. L’album è composto da 9 tracce ed è stato anticipato dai singoli “Mirror” (dicembre 2020) e “Plague” (gennaio 2020), quest’ultimo brano si avvale della prestigiosa collaborazione del musicista Lino Cannavacciuolo.
Damiano Davide ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Mirror” è il tuo album di debutto, di che cosa si tratta?
“Mirror” è il risultato di un anno di lavoro, un anno del tutto particolare che non poteva non influenzare in maniera prepotente la progettazione e la scrittura di questo album. É la prima volta che mi metto in gioco in prima persona come compositore con un’uscita discografica completa. L’idea è nata all’inizio della quarantena dell’anno scorso; sono stati mesi di silenzio e di solitudine sociale, di spazi vuoti e di attesa. Con questo stato d’animo ho approcciato la scrittura dei brani, uno dopo l’altro, partendo da “Canvas” che è anche la prima traccia dell’album, in cui dal silenzio emerge a poco a poco il pianoforte, con un tappeto di suoni lontani. Da lì ho proseguito con gli altri brani, mantenendo gli stessi suoni ma provando a creare dei contrasti emotivi molto forti. Per quanto riguarda la produzione, invece, lo considero un piccolo miracolo dal momento che è stato completamente registrato e mixato in casa. Sono molto contento del suono che abbiamo ottenuto; per questo devo ringraziare soprattutto Marco Balestrieri che è co-produttore dell’album e che mi ha incoraggiato verso un mondo a me completamente nuovo che è quello dell’elettronica. Il suono di “Mirror”, quindi, è un incontro tra gli strumenti più classici (pianoforte, violino, violoncello, contrabbasso, fisarmonica) e le sperimentazioni con i suoni “sintetici”.
Questo lavoro discografico è stato anticipato dai singoli “Mirror” e “Plague”, come sono stati accolti?
Per “Mirror”, il primo singolo, la curiosità derivava proprio dal fatto che si trattava della prima uscita e dell’inizio di un progetto completamente nuovo. Per quanto riguarda “Plague”, invece, c’era molta attenzione per la collaborazione con Lino Cannavacciuolo e per cosa sarebbe venuto fuori da questo incontro. La scrittura di “Plague” è molto complessa, la personalità e l’estro di un grande artista come lui hanno esaltato ancora di più il suono e il carattere che avevo in mente.
Per te tante esperienze, diverse tra loro, alle spalle. Come le hai vissute e cosa ti hanno lasciato?
Eh sì, diciamo che la mia formazione accademica ha tracciato un binario dritto che mi ha guidato fino al momento in cui sono riuscito a fare della musica il mio lavoro, soprattutto in ambito “classico”. Contemporaneamente però si sono susseguite delle esperienze che mi hanno arricchito tantissimo, proprio per la loro diversità. Penso a quando ho cominciato a suonare la fisarmonica con Lino Davide e i Viamedina, il gruppo di musica popolare di mio padre, ero ancora adolescente. Oppure il tour negli Stati Uniti con La Terza Classe o ancora il romanzo da viaggio che ho pubblicato nel 2019 e che si intitola “Viaggio in Texas”. Tutte queste cose hanno allargato i miei interessi e le mie competenze musicali, oltre ad essere state delle esperienze di vita molto importanti.
Che cosa rappresenta per te la musica?
La musica, da un punto di vista fisico, è la forma di comunicazione più potente che conosciamo. Come musicista, la difficoltà sta proprio nel cercare di domare questa forza, cercando di sfruttarla nella migliore maniera possibile. Per me che ho cominciato ad approcciarla da bambino, rappresenta il linguaggio che conosco meglio ma anche il più misterioso. Quello che mi affascina di più, soprattutto nella musica strumentale, è che un suono può valere sia come significante che come significato, cioè l’oggetto della comunicazione è spesso la musica stessa, con sfumature emotive che nessun altra forma d’arte può raggiungere.
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