Jack London, scrittore americano nato nel 1876, morì a soli quarant’anni, nel 1916. Autore di libri di successo, era malato e alcolizzato. Fra i suoi scritti c’è anche “Ricordi di un bevitore”, al quale si ispira questo racconto
Il mio nome è Jack London e faccio lo scrittore. No, non “faccio”… io “sono” uno scrittore. Qualunque mestiere si può fare (io lo so, ne ho fatti tanti); ma scrittore o lo sei o non lo sei: è come un destino. Io ricordo quando lavoravo in fabbrica, dodici ore grondando di sudore, e sempre gli stessi gesti da automa, e mi dicevo: “se riesco a uscirne, se riesco a tirarmi fuori, voglio raccontarlo, voglio descrivere questo inferno”.
E quando poi scappai dalla fabbrica per cercare me stesso, quando comprai una barca a vela con la quale percorrevo la baia di S. Francisco razziando ostriche, anche allora, quando il sole sorgeva dal mare e le onde mi venivano incontro scintillando nel mattino, come se volessero baciarmi, anche allora pensavo: “come sarebbe bello raccontare tutto questo; e far rivivere con le parole l’incontro e l’abbraccio dell’acqua e della luce”.
E poi le storie, le storie, le storie che sentii raccontare quando partii per cercare l’oro nel Klondike…
Una notte sulla pista con la neve che veniva giù, e i cani che tiravano la slitta, e il ghiaccio sulle ciglia, e le mani e i piedi che quasi non te li sentivi più… “ecco” mi son detto “se ce la faccio, giuro che mi compro una macchina da scrivere, se ce la faccio, giuro che ci provo… a scrivere davvero, a raccontare questo, la neve, il freddo, la paura, la stanchezza, e la voglia di vivere”.
Mi ricordo quando tornai dal Klondike. Non avevo trovato l’oro, cioè, quello che avevo trovato bastò appena a pagare i miei debiti… Con quello che rimase comprai la macchina da scrivere. Ci passai la notte su quella macchina da scrivere, a battere sui tasti, e poi un’altra notte e un’altra notte, fino a quando… l’ultimo foglio scaturì dal rullo, e il racconto era lì, nitido, completo, “esisteva”, fuori di me, come le cose del mondo.
Credetemi, non è mai facile; scrivere è una battaglia con la pagina bianca, col vuoto e col caos. Ma il peggio viene dopo. Quando mandi i tuoi racconti, scritti con la tua anima, mescolando ricordi, emozioni e fantasie… e te li restituiscono con tanti bei complimenti. “Il suo romanzo è buono ma noi non possiamo pubblicarlo, perché non abbiamo la collana adatta, perché siamo impegnati con altri autori, perché il romanzo è troppo lungo, perché il romanzo è troppo breve e bla bla”.
Allora incomincia un’altra battaglia, peggiore della prima, una battaglia con gli editori, che può durare anni… Ma a me andò bene. Un giorno mi arrivò un contratto con un assegno… Non riuscivo a credere ai miei occhi. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi sembrava d’avere in mano il mio destino, e la mia felicità. Ero così forte… Chi mai avrebbe potuto farmi del male?
Molti anni dopo, un pomeriggio, dopo avere consegnato il mio ultimo libro all’editore, con le tasche piene di dollari (ero ormai uno scrittore famoso, uno che guadagnava un mucchio di soldi) stavo tornando a casa. Ma mi fermai due volte. Mi fermai la prima volta per comprare i fiori a Charmian, giacché lei adorava i fiori e mi ero accorto che tornare a casa con un mazzo di rose era un modo di sedurla, di predisporla a una notte d’amore… La seconda volta mi fermai al bar perché era ancora presto… e fu li che incontrai il signor Whisky.
Lo conoscevo da tempo, intendiamoci, l’avevo conosciuto al porto di S. Francisco quando facevo il razziatore di ostriche. A quel tempo era impossibile non conoscerlo: era dappertutto, lo conoscevano tutti. I contrabbandieri di ostriche, almeno sulla terraferma, non facevano altro che bere: serviva a celebrare una giornata fortunata; oppure a stringere un’alleanza, a cementare un’amicizia.
E lui, il signor Whisky, sedeva dove c’era un’allegra compagnia, dove tutti ridevano e parlavano a voce alta. Ma lo vedevi anche seduto al tavolo dei solitari. Lo vedevi accompagnare a casa i disperati e perfino metterli a letto. Sì, lui era dappertutto. Ma io partii per cercare l’oro e non lo incontrai più. Era scomparso perché i miei compagni non lo amavano; e poi davvero, non avevamo il tempo. Eravamo troppo stanchi per bere, il sonno ci stendeva prima.
Lo persi di vista, mi dimenticai di lui.
Ma quel pomeriggio, nel bar, lo ritrovai, come si ritrova un vecchio amico. Un bicchiere solo, giuro, un solo bicchiere, per quell’allegria che lui sapeva dare… lui è simpatico, allegro, ti fa vedere l’aspetto buono delle cose, ti rende ottimista, ti scioglie la lingua, ti fa fluire le parole, ti disinibisce. Questo all’inizio. Poi ti prende per mano, ti conduce dove vuole, ti fa girare la testa, ti fa diventare una trottola. Il signor Whisky, che tipo! Non c’è nessuno come lui!
Presi l’abitudine di incontrarlo ogni sera dopo il lavoro: mi placava l’immaginazione, mi preparava a una serata tranquilla.
Ma col tempo mi accorsi che non potevo più farne a meno.
Scrivevo sì, come avevo sempre fatto, ma adesso non ero più tutto lì, nello scrivere; adesso anticipavo, nella mia mente il momento in cui avrei smesso di scrivere, perché non vedevo l’ora di andare al bar per quel bicchiere. E poi mi accorsi che un bicchiere non bastava più per accendermi, per “illuminarmi” lo spirito. Restavo “opaco”. fu così che diventai davvero amico del signor Whisky. A volte mi svegliavo col mal di testa e la lingua legata. A volte anche gli occhi mi dolevano… ma il male vero doveva ancora venire.
Ci vollero anni perché mi rendessi conto di quello che mi stava accadendo, però quando me ne sono reso conto era troppo tardi… Il signor Whisky, che si fingeva mio amico, si era rivelato il mio nemico peggiore: falso, bugiardo, ipocrita, non voleva più lasciarmi. Mi stava alle costole come la mia ombra, il mio demone. Mi lodava per quello che scrivevo, mi prometteva rivelazioni e visioni.
Commisi l’errore di seguirlo fino in fondo, e un giorno capii che cosa voleva:l’anima voleva, cioè il mio talento di scrittore, l’unica cosa alla quale tenessi. E in cambio? In cambio egli mi portò là dove, fin dall’inizio, voleva portarmi – nel cuore di un deserto – là dove domina la Logica Bianca: l’arida, fredda ragione amica del Nulla.
Fu allora che acquistai la rivoltella.
Il mio demone mi aveva lasciato solo con la Logica Bianca, l’amica della morte. e io mi misi a ragionare con lei. Io le opposi il mio talento e il mio successo e lei mi dimostrò che ugualmente nulla erano l’amore e la vita, la fede e la filosofia, la cultura e la civiltà – lei, la ruffiana del Nulla, il pesce pilota, la guida turistica del Nulla.
Tornai da Charmian, quella notte, a cercare conforto nella sua bellezza, ma la sua bellezza aveva perso ogni splendore, e i nostri giochi, e le parole tenere con cui la elogiavo e la eccitavo all’amore… tutto questo era nulla. Quella notte andò via anche Charmian e gli amici andarono via – come uno stormo d’uccelli quando viene l’inverno.
Venne l’inverno e Jack London rimase solo.