Se lo sguardo verso l’esistenza non riesce, o non vuole, restare legato a una contingenza insufficiente a costituire quello stimolo della creatività necessaria a un artista a manifestare sulla tela le proprie emozioni, ecco che si concretizza un approccio pittorico o scultoreo che possa consentire all’autore di immergersi in un mondo irreale quanto idilliaco, dove tutto sembra muoversi in virtù di una sottile magia, la stessa con cui lo sguardo fanciullesco riesce a osservare il mondo intorno a sé. L’artista di cui vi racconterò oggi appartiene a questa categoria di artisti che generano una dimensione idealisticamente pura e semplice nella rappresentazione quanto in grado di far sognare l’osservatore che viene chiamato ad abbandonare la razionalità per farsi trasportare nelle scene da lei narrate.
Intorno alla fine dell’Ottocento, quando cioè le innovazioni artistiche cominciarono a delinearsi e a tracciare il solco che si sarebbe poi ampliato e sviluppato nel corso della prima metà del Ventesimo secolo, emerse uno stile decisamente particolare che in virtù della spontaneità espressiva ed esecutiva venne guardato con sospetto, se non addirittura osteggiato, dai grandi circuiti dell’arte. Il Naïf, questo il nome del movimento, rappresentò infatti una forte rottura con le regole e gli schemi dell’arte accademica, soprattutto per la sua caratteristica di descrivere un mondo ingenuo, semplice, privo di tutta quella perfezione plastica che invece apparteneva al Realismo o anche all’Impressionismo le cui modificazioni a un approccio più classico erano state accettate proprio per la ricerca di equilibrio estetico che lo contraddistingueva.
Il Naïf invece descriveva una realtà parallela rappresentata in chiave fiabesca, dove la magia sembrava avvolgere le scenografie create da artisti privi di una formazione accademica, spesso di origini umili e dunque impegnati a narrare proprio quel mondo spontaneo e ingenuo che apparteneva alla loro cultura; Henri Rousseau fu il capostipite di un gruppo di artisti che nel corso del tempo permisero allo stile di affermarsi e di perfezionarsi senza mai rinunciare alla tendenza a velare la realtà di magia e di meraviglia. Camille Bombois, Antonio Ligabue, Ivan Generalić, Orneore Metelli, furono tutti grandi interpreti, ciascuno secondo la propria poetica espressiva, di uno stile che ha saputo fin dall’inizio imporre le sue regole malgrado andassero contro le linee guida tradizionali.
Tanto quanto fece, qualche anno dopo e quindi intorno all’inizio del Novecento, un gruppo di creativi che scelse di sovvertire ogni schema espressivo scegliendo il colore come unico irrinunciabile precetto, perché il sentire interiore doveva essere finalmente impresso sulla tela in maniera forte e spontanea; i Fauves in qualche modo si avvicinarono all’immediatezza Naïf proprio per la rinuncia a tutto l’apparato costruttivo dell’arte accademica, rinunciando alla profondità, alle sfumature, alla prospettiva e al chiaroscuro, enfatizzando il disegno che emergeva in modo netto dai contorni dei soggetti, e soprattutto dando vita a contesti dove la piacevolezza di immergersi nelle atmosfere familiari doveva sovrastare la ricerca di una perfezione che spesso non era in armonia con l’emozione dell’autore dell’opera.
Gli interni e le nature morte di Henri Matisse venivano dunque affiancati dai paesaggi a tinte forti di Maurice de Vlaminck, così come le vedute totalmente prive di prospettiva e la narrazione di luoghi insoliti di André Derain in qualche modo si avvicinavano alle tematiche più tipiche del Naïf che probabilmente influenzò la tendenza alla semplificazione delle teorie espressive dei Fauves. L’artista ligure Arianna Lagorio attinge a questi due movimenti del secolo scorso per dare vita a un suo personale linguaggio pittorico dove emergono da un lato le intensità cromatiche fauviste, in cui la pienezza e la mancanza di sfumature sottolineano la sua piacevolezza nell’immergersi in quel mondo immaginario che però non può fare a meno di attingere e trasformare la realtà, dall’altro le scenografie e la collocazione degli elementi che compongono le sue tele non possono non ricondurre all’ingenuità e alla purezza espressiva dell’Arte Naïf che trova in lei una riattualizzazione a quelle che sono le tematiche più contemporanee sempre però rispettando la sua inclinazione a rifugiarsi all’interno di un universo giocoso, puro e sempre allegro.
Protagonisti dei suoi dipinti sono a volte i bambini, altre le fate e gli gnomi, in alcune gli animali della giungla, e sempre il sentimento innocente e spontaneo, i legami familiari, dunque in tutte le tele si svela la tendenza di Arianna Lagorio a volersi collocare all’interno di un mondo ideale. La gamma cromatica perde l’aggressività Fauves per caratterizzarsi di tonalità positive, allegre, da cui l’artista può attingere per circondarsi di quelle sensazioni genuine e candide attraverso cui osserva la realtà che la circonda, la trasforma e la modifica per generare quell’universo emozionale che conquista l’osservatore proprio in virtù della semplicità che ne fuoriesce.
Sembra quasi un’esortazione a non mettere mai a tacere, e men che meno a rinnegare, il bambino interiore dentro ciascun adulto lo stile pittorico di Arianna Lagorio perché in fondo è grazie a lui che è possibile astrarsi dalla contingenza per continuare a sognare e a disegnare con l’immaginazione un mondo migliore.
La tela Fairy tale è una celebrazione di tutti quei simboli dell’infanzia che restano e sopravvivono alla maturità come fossero un legame imprescindibile con i desideri dei primi anni di vita, l’incontro con la magia che avvolge tutte le cose e che da sempre costituisce una rassicurazione, un aiuto incantato per tutti i bambini; e così gli gnomi che si arrampicano e vivono sui funghi sono rappresentati insieme a fatine moderne con le delicate ali, le quali sembrano voler sottolineare la loro presenza nel mondo attuale, guardano verso l’osservatore per attrarre la sua attenzione sussurrandogli di non smettere di credere alla loro esistenza anche se ormai adulto. I fiori sono disseminati per tutto lo sfondo, privo di prospettiva come tutte le opere Naïf, e infondono la sensazione di allegria e di leggerezza con cui vivono i bizzarri personaggi di quell’universo immaginario.
Nell’opera In spiaggia Arianna Lagorio si immerge invece nel mondo infantile, in quella spensieratezza che contraddistingue i più piccoli e che permette loro di vivere ogni esperienza come una scoperta straordinaria; lo stile pittorico si adegua pertanto a quella purezza, i colori sono intensi e pieni, contraddistinti da alcune sovrapposizioni che infondono la sensazione di sfumature che però non vengono generate sulla tavolozza, bensì create direttamente sulla tela. Il gioco è la parte focale del dipinto, come se l’artista volesse sottolineare l’importanza di quei gesti semplici che caratterizzano la libertà delle vacanze estive, la possibilità di stare in spiaggia e approfittare delle giornate lunghe e piene di sole; nella parte più in alto del dipinto due barche, una sul bagnasciuga e una in mare che ricorda nell’aspetto i velieri dei pirati, enfatizzando così l’aspetto ludico dell’intera composizione.
In La giungla invece in qualche modo Arianna Lagorio omaggia Henri Rousseau, raffigurando una dimensione selvaggia dove gli animali guardano verso il fruitore, quasi a controllare le sue mosse, ma senza avere quell’aspetto minaccioso che ci si aspetterebbe da tigri e pantere, piuttosto continuando tranquillamente a fare ciò che stavano facendo un attimo prima. Il fermo immagine narrato dall’artista è divertente, luminoso, le tonalità sono molto chiare come se non esistesse l’ombra che abitualmente appartiene alla giungla, bensì vi fosse una luce interna che appartiene alla spontaneità, all’istinto ben lontano da qualsiasi premeditazione e calcolo che invece troppo spesso appartengono all’essere umano.
Nel dipinto New York di contro, e qui Arianna Lagorio mostra tutta la sua contemporaneità, osserva un altro tipo di giungla, quella cittadina delle grandi metropoli dove invece della rilassatezza e della calma l’individuo è costretto a confrontarsi con il rumore, con il traffico incessante, con le strade congestionate; il cielo cupo e nuvoloso sembra entrare in netto contrasto con l’opera precedente, quasi a sottolineare la distanza tra una spontaneità e una naturalezza che legano il mondo della fauna a quello dei bambini, e le complessità del vivere adulto dove l’essere umano è chiamato a perdere la propria purezza per entrare in una dimensione fatta di competitività, di inseguimento di beni materiali, di mancanza di spensieratezza.
Arianna Lagorio, di professione architetto, trova nell’espressione artistica la propria dimensione, quella in cui può lasciar fuoriuscire il suo animo puro e spontaneo con cui riesce a conquistare il pubblico delle mostre collettive dove espone le sue opere e anche degli addetti ai lavori.
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Naïf blends with Fauves in Arianna Lagorio’s fairy-tale and imaginary settings
If the gaze towards existence cannot, or does not want to, remain tied to a contingency that is insufficient to constitute that stimulus of creativity necessary for an artist to manifest his emotions on canvas, here comes a pictorial or sculptural approach that can allow the author to immerse himself in a world as unreal as it is idyllic, where everything seems to move by virtue of a subtle magic, the same with which a childlike gaze manages to observe the world around it. The artist I am going to tell you about today belongs to this category of artists who generate a dimension that is as idealistically pure and simple in its representation as it is capable of making the observer dream, who is called upon to abandon rationality in order to be transported into the scenes she narrates.
Around the end of the 19th century, that is, when artistic innovations began to take shape and trace the furrow that would later expand and develop during the first half of the 20th century, emerged a decidedly particular style that, by virtue of its expressive and executive spontaneity, was looked upon with suspicion, if not outright opposed, by the great art circuits. Naïf, this is the name of the movement, represented in fact a strong break with the rules and schemes of academic art, above all for its characteristic of describing a naive, simple world, devoid of all that plastic perfection that instead belonged to Realism or even Impressionism whose modifications to a more classical approach had been accepted precisely because of the search for aesthetic balance that distinguished it.
Naïf, on the other hand, described a parallel reality represented in a fairy-tale key, where magic seemed to envelop the scenes created by artists with no academic training, often of humble origins and therefore committed to narrating precisely that spontaneous and naive world that belonged to their culture; Henri Rousseau was the progenitor of a group of artists who over time allowed the style to assert itself and perfect itself without ever abandoning the tendency to veil reality with magic and wonder. Camille Bombois, Antonio Ligabue, Ivan Generalić and Orneore Metelli were all great interpreters, each according to their own expressive poetics, of a style that was able to impose its rules from the very beginning despite going against traditional guidelines.
As much as did, a few years later and therefore around the beginning of the 20th century, a group of creative artists who chose to subvert every expressive scheme by choosing colour as the only inalienable precept, because the inner feeling was finally to be impressed on canvas in a strong and spontaneous manner; the Fauves in some ways came close to the Naïf immediacy precisely because of their renunciation of all the constructive apparatus of academic art, renouncing depth, nuances, perspective and chiaroscuro, emphasising the drawing that emerged sharply from the outlines of the subjects, and above all giving life to contexts where the pleasure of immersing oneself in familiar atmospheres had to override the search for a perfection that was often not in harmony with the emotion of the author of the work. Henri Matisse‘s interiors and still lifes were thus juxtaposed with Maurice de Vlaminck‘s strongly coloured landscapes, just as André Derain‘s views totally lacking in perspective and the narration of unusual places somehow came close to the more typical Naïf themes that probably influenced the Fauves‘ tendency towards simplification of their expressive theories.
The Ligurian artist Arianna Lagorio draws on these two movements of the last century to create her own pictorial language in which on the one hand emerged the Fauvist chromatic intensity, where the fullness and lack of nuances emphasise her enjoyment in immersing herself in that imaginary world that cannot help but draw on and transform reality. On the other hand, the settings and the placement of the elements that make up her canvases cannot help but lead back to the naivety and expressive purity of Naïf Art, which finds in her a re-actualisation of the most contemporary themes, always respecting her inclination to take refuge in a playful, pure and always cheerful universe. The protagonists of her paintings are sometimes children, sometimes fairies and gnomes, in some jungle animals, and always innocent and spontaneous feelings, family ties, so in all her paintings is revealed Arianna Lagorio‘s tendency to want to place herself within an ideal world.
The chromatic range loses its Fauves aggressiveness to feature positive, cheerful tones, from which the artist can draw to surround herself with those genuine and candid sensations through which she observes the reality that surrounds her, transforms and modifies it to generate that emotional universe that conquers the observer precisely by virtue of the simplicity that emerges. Arianna Lagorio‘s painting style almost seems to be an exhortation never to silence, and neither to deny, the inner child inside every adult, because after all, it is thanks to him that it is possible to abstract oneself from contingency in order to continue dreaming and drawing a better world with the imagination. The canvas Fairy tale is a celebration of all those symbols of childhood that remain and survive to maturity as if they were an inescapable link with the desires of the first years of life, the encounter with the magic that envelops all things and that has always been a reassurance, an enchanted help for all children; and so the gnomes that climb and live on mushrooms are depicted together with modern fairies with delicate wings, who seem to want to emphasise their presence in the present world, looking towards the observer to attract his attention by whispering to him not to stop believing in their existence even if he is now an adult. The flowers are scattered throughout the background, lacking perspective like all Naïf artworks, and infuse the feeling of cheerfulness and lightness with which the bizarre characters of that imaginary universe live.
In the work In spiaggia (On the beach), Arianna Lagorio, on the other hand, immerses herself in the world of childhood, in that light-heartedness that characterises children and allows them to live each experience as an extraordinary discovery; the painting style therefore conforms to that purity, the colours are intense and full, marked by certain overlaps that instil the sensation of nuances that are not, however, generated on the palette, but rather created directly on the canvas. Playfulness is the focal part of the painting, as if the artist wanted to emphasise the importance of those simple gestures that characterise the freedom of summer holidays, the opportunity to be on the beach and take advantage of the long, sun-filled days; in the upper part of the painting there are two boats, one on the shoreline and one in the sea, reminiscent in appearance of pirate sailing ships, thus emphasising the playful aspect of the entire composition.
In La giungla (The jungle), on the other hand, Arianna Lagorio somehow pays homage to Henri Rousseau, depicting a wild dimension where the animals look towards the viewer, almost as if to control his moves, but without having that threatening appearance one would expect from tigers and panthers, rather calmly continuing to do what they were doing a moment before. The still image narrated by the artist is amusing, luminous, the tones are very clear as if there were no shadow that usually belongs to the jungle, but rather there was an inner light that belongs to spontaneity, to instinct far removed from any premeditation and calculation that all too often belong to human beings. In the painting New York on the other hand, and here Arianna Lagorio shows all her contemporaneity, she observes another kind of jungle, the one of the great metropolises where instead of relaxation and calm the individual is forced to deal with noise, incessant traffic, congested streets; the dark, cloudy sky seems to contrast sharply with the previous work, as if to emphasise the distance between a spontaneity and naturalness that bind the world of fauna to that of children, and the complexities of adult life where the human being is called upon to lose his own purity in order to enter a dimension of competitiveness, the pursuit of material goods, and a lack of light-heartedness. Arianna Lagorio, an architect by profession, finds in artistic expression her own dimension, the one in which she can let out her pure and spontaneous soul with which she succeeds conquer the public of the collective exhibitions where she exhibits her works, and also of the insiders.